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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Perché la risposta iraniana all’uccisione di Nasrallah segnerà le sorti del conflitto in Medioriente

Cosa succederà in Medioriente ora che la tanto temuta escalation si è concretizzata con l’uccisione del leader del movimento sciita libanese Hezbollah Hassan Nasrallah? E soprattutto, cosa farà l’Iran?
A cura di Giuseppe Acconcia
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L'esercito israeliano ha ucciso il leader del movimento sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, con 80 bombe antibunker, parte dell'operazione Nuovo Ordine, sganciate sul quartier generale di Hezbollah a Dahieh nel sud di Beirut. Nei bombardamenti è stato ucciso anche il numero tre del gruppo, Ali Karaki, e altri alti esponenti del movimento. Dopo l'uccisione, voluta dagli Stati Uniti, di Qassem Soleimani, guida delle milizie iraniane al-Quds a Baghdad nel 2020, e l'assassinio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran il 31 luglio scorso, Nasrallah rappresentava il simbolo più popolare ed emblematico del cosiddetto “Asse della Resistenza” che si è opposto alla guerra di Israele a Gaza dopo il 7 ottobre 2023. Cosa succederà in Medioriente ora che la tanto temuta escalation si è concretizzata? E soprattutto cosa farà l'Iran?

Le reazioni iraniane all'uccisione di Hassan Nasrallah

“Vorrei che avessero ucciso me al suo posto”, urlavano i suoi sostenitori nel quartiere di Ain al- Mraysseh a Beirut. “Morto un leader ne nasceranno tanti altri”, continuavano. E i tre giorni di lutto nazionale, indetti in Libano, per la morte di Nasrallah sono arrivati fino a piazza Palestina a Teheran dove già da una settimana i sostenitori del regime degli ayatollah si raccoglievano per protestare contro i gravissimi raid israeliani contro Beirut che hanno fatto centinaia di morti, incluse donne e bambini, e migliaia di feriti.

In altre parole, il primo effetto dei raid costati la vita a Nasrallah è stato di inasprire l'odio verso Israele da parte dei pasdaran e dei politici sia conservatori sia moderati in Iran. Come se non bastasse, nei bombardamenti israeliani è stato ucciso anche Abbas Nilforushan, vice comandante delle Guardie rivoluzionarie, che prendeva parte alla riunione di emergenza dei vertici di Hezbollah a Beirut.

E così tutta la macchina dei finanziamenti di Teheran al movimento sciita libanese è stata messa in crisi sin dal giorno dell'esplosione dei cercapersone e poi dei walkie-talkie, in dotazione ai membri di Hezbollah in Libano, lo scorso 17 settembre. Non solo, dopo la conferma della morte di Nasrallah, il ministro dei trasporti libanese ha bloccato l'atterraggio di un velivolo iraniano su richiesta del governo israeliano che ha fatto sapere di avere il controllo del traffico aereo nei cieli di Beirut.

Per il vice presidente iraniano Mohammad Reza Aref, l'uccisione di Nasrallah causerà la “distruzione” di Israele. Ma a rincarare la dose sono arrivate le parole della guida suprema, Ali Khamenei, che dopo la conferma della morte di Nasrallah è stato trasferito in una località segreta. Nel suo discorso alle Nazioni Unite dello scorso venerdì, il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva inveito contro l'Iran aggiungendo che Tel Aviv può “arrivare dovunque” all'interno del paese. Denunciando la morte di “civili indifesi”, Khamenei invece ha chiesto a tutti i musulmani “di stare dalla parte di Hezbollah e delle forze della resistenza”.

Israele e il fronte iraniano

Oltre a decimare i vertici di Hezbollah, l'esercito israeliano ha aperto un nuovo fronte del conflitto in Libano. Dopo Gaza e Cisgiordania, gli Houthi che continuano a bombardare Tel Aviv dallo Yemen, Beirut è diventato il nuovo campo di battaglia in questa guerra che va avanti da quasi un anno.

E se il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sostiene che Israele sta commettendo un “genocidio” in Libano, Tel Aviv non sembra in nessun modo intenzionata a fermare le ostilità ma è interessata ad allargare il più possibile la guerra sul fronte iraniano. Il capo dello staff dell'esercito israeliano, Herzi Halevi, ha assicurato che l'uccisione di Nasrallah non rappresenta “la fine” del conflitto.

E così non solo vanno avanti i raid a sud di Beirut e nella Valle della Bekaa ma il fronte che potrebbe riesplodere nelle prossime settimane è proprio quello iraniano, già in “allerta massima” con i raid israeliani che hanno interessato le milizie sciite in Siria e in Iraq nelle ultime settimane.

Era già avvenuto la scorsa primavera quando Israele ha attaccato il consolato iraniano a Damasco provocando il lancio da parte di Teheran di 300 tra missili e droni, intercettati dall'aviazione israeliana. Se l'Iran ha avvertito che potrebbe inviare truppe di terra in Libano, come avvenne nel 1981, dopo l'uccisione di Nasrallah, Netanyahu nel suo discorso show alle Nazioni Unite, poche ore prima di dare il via libera al raid costato la vita al leader di Hezbollah, ha inserito ancora una volta l'Iran tra “i paesi dell'asse del male”, insieme a Siria, Iraq e Libano, definendo le stesse Nazioni Unite una “palude antisemita” mentre molte delegazioni lasciavano l'aula all'inizio del suo intervento.

Le parole di Pezeshkian tra escalation e descalation

Anche il fronte moderato in Iran è compatto nel condannare gli attacchi israeliani in Libano. Il presidente Masoud Pezeshkian, eletto dopo la morte in un incidente aereo dell'ex presidente Ebrahim Raisi, ha reagito alla notizia degli ultimi raid israeliani su Beirut parlando di “crimini di guerra con la complicità degli Stati Uniti” e “terrorismo di stato”.

Eppure nel suo intervento all'Onu lo scorso mercoledì, Pezeshkian aveva parlato della possibilità di una “nuova era di cooperazione” con l'Occidente. Secondo lui, a creare le tensioni in Medioriente non è Teheran ma Israele e gli Stati Uniti. “Ci stanno portato a un punto in cui non vorremmo arrivare”, ha aggiunto.

Eppure, in questa fase, solo gli ayatollah iraniani possono calmare gli animi e frenare una possibile dura reazione di Hamas, Hezbollah e delle milizie sciite contro Israele che ha già messo in massima allerta Tel Aviv. Ma il malumore in Iran è fortissimo.

Gli Stati Uniti avevano fatto di tutto per evitare una reazione iraniana dopo l'assassinio di Haniyeh a Teheran che aveva messo in luce la vulnerabilità del sistema di sicurezza iraniano. “Ci hanno promesso la pace in poche settimane ma non è mai arrivata”, è stato il commento di Pezeshkian al mancato raggiungimento di un accordo tra Israele e Hamas che avrebbe portato al cessate il fuoco a Gaza.

In altre parole, per l'Iran sono Israele e Netanyahu a volere una guerra su larga scala. “Siamo pronti a mettere le armi da parte se lo farà anche Israele. Non vogliamo destabilizzare la regione”, aveva assicurato il presidente iraniano. Ma per accontentare i politici radicali, ha anche avvertito che “il ceco terrorismo israeliano non può rimanere senza risposta”.

La guerra nella guerra: i profughi libanesi e siriani

L'estensione del conflitto e la guerra sul fronte libanese, significherà anche una nuova crisi umanitaria che coinvolgerà migliaia di profughi, rifugiati e sfollati. Se sono 130mila i libanesi che hanno lasciato le loro case dall'inizio dei bombardamenti israeliani su Beirut, questo numero potrebbe facilmente salire a 500mila nei prossimi giorni, come confermano fonti del ministero della Salute di Beirut.

Non solo, oltre 50mila siriani, due volte profughi, prima dalla Siria e poi dal Libano, hanno lasciato Beirut per tornare a Damasco dopo i raid israeliani. Secondo l'Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, sono almeno 200mila i siriani, sfollati all'interno del Libano, tra i 2 milioni di siriani che hanno lasciato il loro paese per rifugiarsi a Beirut in seguito allo scoppio della guerra civile a Damasco dopo il 2011.

Se nel conflitto tra Israele e Hezbollah del 2006, Tel Aviv aveva sottostimato le capacità militari del movimento sciita libanese, i raid in Libano dell'ultima settimana che hanno provocato l'uccisione del leader carismatico del movimento, Hassan Nasrallah, hanno colto di sorpresa il movimento. Israele ha voluto completare così l'opera iniziata 18 anni fa decimando i vertiti del gruppo e mettendo in serie difficoltà il suo apparato militare prima che potesse agire pienamente contro Tel Aviv.

Questo attacco segnerà il futuro di Hezbollah e di tutta la rete a sostegno delle milizie sciite in Medioriente che dovranno avviare una fase di riorganizzazione strategica e militare. Ma soprattutto le autorità israeliane hanno messo gli ayatollah iraniani di fronte a un bivio: non reagire per sopravvivere o dimostrare che la Repubblica islamica è capace di difendere davvero la causa palestinese e il fronte della Resistenza? La risposta a questa domanda segnerà le sorti del conflitto in Medioriente per i prossimi anni.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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