Chissà come si dice in cinese “non ci hanno visti arrivare”. La frase più trendy della politica italiana ben si adatta alla svolta diplomatica più clamoroso degli ultimi anni: la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran sponsorizzata dalla Cina che, mentre Joe Biden pensava a mandare armi all’Ucraina e si faceva ossessionare da Taiwan, ha messo con un certo successo le mani in una regione, il Medio Oriente, che per decenni è stata riserva di caccia degli Usa e in uno dei contrasti più insanabili del Medio Oriente, che di contrasti insanabili ha una certa esperienza.
L’annuncio è stato dato ieri in contemporanea a Teheran, Ryad e Pechino. Proprio nella capitale cinese, peraltro, è stata apposta la storica firma da parte del segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran, Ali Shamkhani, e dal consigliere per la sicurezza nazionale, Musaid al-Aiban. Nelle prossime settimane, poi, i rispettivi ministri degli Esteri, l’iraniano Hossein Amirabdolahian e il saudita Faisal bin Farhan, si incontreranno per discutere le questioni pratiche: ambasciate, ambasciatori, modalità delle rappresentanze diplomatiche.
“Le relazioni tra Teheran e Riad porteranno allo sviluppo della stabilità e della sicurezza regionale e aumenteranno la cooperazione tra i Paesi del Golfo Persico e il mondo islamico”, ha detto Shamkhani dopo la firma. In potenza, infatti, è questo il nuovo scenario. E se si pensa alle questioni che hanno finora diviso i due Paesi, dal nucleare iraniano alla gestione del Golfo Persico (dove transita circa un terzo del petrolio commercializzato nel mondo), dalla guerra nello Yemen (dove i sauditi combattono i ribelli Houthi filo-iraniani) all’influenza iraniana in Iraq, Libano e Siria, fino al perenne scontro tra Iran e Israele, che ha invece rapporti cordiali con l’Arabia Saudita, sperare diventa quasi doveroso.
L’Arabia Saudita aveva interrotto le relazioni diplomatiche con Teheran nel 2016, dopo che la condanna a morte dello sceicco sciita Nimr al-Nimri aveva provocato alcuni attentati a moschee sunnite in diversi Paesi del Medio Oriente e un attacco all’ambasciata saudita in Iran. Ma già l’anno prima, quando decine di sciiti erano morti nella calca durante il tradizionale pellegrinaggio alla Mecca, la tensione tra i due Paesi aveva raggiunto il livello di guardia.
Il disgelo, dopo anni in cui non sono mancate nemmeno minacce di guerra, è iniziato nel 2021, con una serie di incontri a Baghdad (Iraq) prima tenuti segreti e poi rivelati. Poi altre trattative in Oman e, il passo più clamoroso, nel 2022 la presenza di tre diplomatici iraniani in Arabia Saudita come rappresentanti dell’Organizzazione per la cooperazione islamica.
La ripresa dei rapporti dopo sei anni sul filo del rasoio, però, non è casuale ma rientra nel grande rimescolamento globale indotto dalla guerra in Ucraina, che ha scosso e spesso sconvolto i tradizionali equilibri della politica internazionale. Molti Paesi hanno approfittato del trambusto per ritagliarsi posizioni e interessi nuovi, in maggiore autonomia. L’esempio più clamoroso è quello della Turchia, che traffica sia con la Russia (da cui compra armi, centrali nucleari, gas) sia con l’Ucraina (cui vende armi e da cui compra grano) pur essendo un Paese della Nato.
Segue l’India, diventata uno dei migliori clienti del petrolio russo e ora anche licenziataria di fabbriche di armi. Anche l’Arabia Saudita, però, si è messa in movimento, complici i pessimi rapporti personali tra il principe ereditario e uomo forte del regno Mohammed bin-Salman e il presidente Biden.
Nel dicembre scorso il presidente cinese Xi Jinping è arrivato a Ryadh per una visita ufficiale che ha sancito la nuova realtà: l’Arabia Saudita è il primo fornitore di petrolio della Cina, che a sua volta è il primo partner commerciale dell’Arabia Saudita. Non solo: con la solita accorta strategia di penetrazione economica, negli ultimi vent’anni la Cina ha investito in Arabia Saudita 106,5 miliardi di dollari, l’impegno di gran lunga maggiore non solo nei Paesi del Golfo Persico ma in tutto il Medio Oriente. Infine, Ryadh (primo esportatore mondiale di petrolio) e Pechino (primo importatore mondiale) hanno annunciato un progetto per realizzare gli scambi commerciali in yuan e non più in dollari. E si sa quanto gli Usa tengano al predominio della loro moneta.
Se l’Arabia Saudita ha ricalibrato le proprie relazioni internazionali, prendendo un minimo di distanza dagli Usa (che per molti altri aspetti, soprattutto nel settore della Difesa, restano un alleato indispensabile del regno) e accorciando quella con la Russia e la Cina, l’Iran non ha avuto bisogno di farlo. In rotta da sempre con gli Usa, Teheran ha sempre trovato in Pechino un partner comprensivo e generoso.
La Cina è il primo acquirente del petrolio e del gas iraniani. Nel marzo del 2021 Cina e Iran hanno firmato un “accordo di cooperazione” venticinquennale che dovrebbe portare la Cina a investire 400 miliardi di dollari in Iran. Ossigeno prezioso per l’economia iraniana, supersanzionata dagli Usa e dalla Ue, ma sbocco strategico importante per la Cina, che non ha abbandonato la Road and Belt Initiative, il gigantesco progetto con cui Xi Jinping vuole connettere la Cina al resto del mondo attraverso una rete commerciale e politica di collegamenti stradali, ferroviari e marittimi. L’Iran, con la sua posizione strategica di anello tra Oriente e Occidente e, attraverso il Mar Caspio, tra Sud e Nord, svolgerebbe in essa un ruolo fondamentale.
Sono i vagiti di un mondo non necessariamente migliore ma di certo nuovo. Vedremo gli sviluppi. Intanto la pacificazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran è una buona notizia, forse ottima per 450 milioni di mediorientali piagati dalle guerre. E come tale dobbiamo accoglierla.