Perché la minaccia nucleare di Putin deve essere presa sul serio secondo l’Ispi
"La minaccia nucleare di Putin non deve terrorizzarci, ma dobbiamo prenderla sul serio: viene da uno Stato il cui leader ha investito molto in questa guerra a livello di immagine, prendendo rischi politici molto forti, e che ora si trova in una posizione di vulnerabilità".
A parlare è Eleonora Tafuro Ambrosetti, analista politica dell'Ispi-Istituto per gli studi di politica internazionale, esperta di questioni che riguardano l’area Russia, Caucaso e Asia centrale, che a Fanpage.it ha analizzato il discorso tenuto ieri mattina dal presidente russo Putin, con il quale ha annunciato la mobilitazione militare parziale e minacciato l'Occidente di usare le armi nucleari, al culmine di giorni difficili per il suo esercito, colto di sorpresa dalla controffensiva ucraina.
Quanto dobbiamo preoccuparci circa la minaccia nucleare avanzata da Putin?
"Sono dell'idea che per ora la minaccia nucleare non sia qualcosa di cui preoccuparci. Ovviamente, abbiamo la responsabilità di prendere sul serio qualsiasi dichiarazione del genere che ci venga da uno stato come la Russia, in declino e che ha investito tantissimo in questa guerra a livello di immagine, prendendo dei rischi politici molto forti, e che, dopo la controffensiva ucraina, si vede in una posizione di vulnerabilità.
Non dico che la Russia sta perdendo, perché in fin dei conti hanno ancora poco più del 15% del territorio ucraino occupato, ma effettivamente la controffensiva di Kiev ha minato la propria immagine di potenza invincibile. Tutti all'inizio pensavamo che una vittoria dell'Ucraina sarebbe stata impossibile.
Da un lato dovremmo forse avere timore delle successive mosse di un paese e di un leader messo così in un angolo, dall'altro dobbiamo considerare anche che questa minaccia viene ormai ripresentata da tanto tempo. Non è la prima volta che viene evocato in maniera più o meno velata lo spettro nucleare, che risponde a quella immagine della Russia come potenza militare forte e di cui aver paura, che ora sta venendo meno".
Con la possibile annessione delle quattro regioni ucraine in cui da domani si svolgeranno i referendum questa minaccia potrebbe diventare più concreta?
"Certo. Questi referendum non sono accettati dalla comunità internazionale. La loro sarebbe considerata una annessione illegale, al pari di quello che è successo in Crimea nel 2014. La gran parte degli Stati del mondo oggi non la riconosce come territorio russo a livello formale, lo è solo de facto.
Ma ciò porrebbe delle difficoltà ulteriori, sicuramente sarebbe un deterrente anche per l'Ucraina perché è chiaro che se Kiev attaccasse i territori che Mosca considera russi allora ci sarebbe probabilmente una risposta più violenta.
E visto che Usa, Nato e Unione europea hanno sempre avuto l'obiettivo di evitare lo scontro nucleare, credo che inviterebbero comunque l'Ucraina alla cautela, ci sarebbe un po' di attività diplomatica per convincere Kiev a sedersi al tavolo dei negoziati con la Russia, che di fatto ha annesso altre parti del territorio.
Questo è quello che spera Putin ma è anche quello che teme l'Ucraina: è per questo che Zelensky e i suoi stanno smentendo la Russia su un possibile uso dell'arma nucleare, volendo dimostrare che è un bluff".
A proposito di diplomazia, abbiamo visto nei giorni scorsi molto impegnati il presidente turco Erdogan e quello francese Macron. Chi potrebbe effettivamente intervenire per favorire il dialogo tra le due parti?
"Credo che nessun leader europeo abbia delle chance in questo momento. Persino Macron, che si è dimostrato più conciliante nei confronti della Russia, è parte di un blocco che ha preso una posizione molto netta a sostegno del'Ucraina e non è visto dalla Russia come mediatore super partes.
Diverso è il ruolo della Turchia, cha porta avanti una politica da equilibrista nel tentativo di gestire il rapporto con la Russia che rimane importante su diversi fronti, da quello economico a quello energetico e politico in Medioriente, ma anche con l'Ucraina. Per il momento ci sta riuscendo, tanto è vero che l'unico grande successo diplomatico di questa guerra è avvenuto sul grano grazie alla mediazione di Erdogan e Onu.
Non credo, però, che bisogna puntare in riflettori sui mediatori, che possono sì facilitare ma alla fine sono le parti che devono essere pronte a scendere a compromessi. Tuttavia, penso che il vero peso massimo in questo gioco politico sia la Cina, che per il momento ha deciso di avere un ruolo non attivo in questo senso. Se ci fosse davvero una pericolosa escalation militare può darsi che cambi idea".
L'altro tema all'ordine del giorno è quello della mobilitazione parziale e delle proteste scoppiate in Russia. Quanto può essere pericolosa questa situazione per Putin?
"Purtroppo quello che stiamo vedendo sono proteste abbastanza ristrette, di giovani nelle città che stanno scendendo in piazza contro questa decisione della mobilitazione parziale.
Francamente c'è un clima in Russia di repressione politica che rende difficile qualsiasi manifestazione del dissenso non solo da parte dei comuni cittadini ma anche degli oligarchi, quindi persone ricche e potenti, che addirittura vengono uccise o muoiono in circostanze misteriose. Negli ultimi mesi sono morti 12 oligarchi, quindi è un clima di repressione estrema che coinvolge diversi strati della società.
Questo non vuol dire che non possa succedere qualcosa. La Russia ci ha abituato a evoluzioni e cambi improvvisi, nessuno avrebbe pensato che l'Unione Sovietica sarebbe crollata in quel modo e in quel momento. Bisogna guardare a ogni dinamica politica e sociale in campo. Ma non si devono nemmeno sovrastimare quelle che sono state le proteste finora.
Se comunque uniamo la paura generale rispetto alla mobilitazione parziale alla consapevolezza che questa è sempre più una guerra e non tanto una operazione speciale e alle conseguenze economiche delle sanzioni che si faranno sentire sempre di più, allora potremo considerare la presenza di un vero pericolo per Putin".
Cosa dovremmo aspettarci che accada nei prossimi giorni?
"Dobbiamo vedere prima di tutto questa decisione della mobilitazione parziale come dal punto di vista militare influenzerà la situazione sul campo. Stiamo parlando di un numero non precisato di soldati russi e dobbiamo vedere anche i tempi tecnici che serviranno a questi soldati per essere operativi. Sono tutte variabili che gettano ombra di incertezza sul successo della contro-controffensiva. Sarei anche interessata a vedere sul fronte russo il sostegno di élite e popolazione dopo le ultime dichiarazioni".