I continui raid israeliani, oltre 116, contro le basi iraniane in Siria degli ultimi mesi hanno fatto ripiombare il paese nella guerra civile, avviatasi con le prime proteste anti-governative del 2011. Non solo, dopo l'inizio delle operazioni militari dell'esercito israeliano (Idf) a Beirut e nel Sud del paese lo scorso settembre, circa 500mila rifugiati siriani dal Libano hanno tentato di fare ritorno in Siria. E così i fragili equilibri interni del paese, dilaniato dall'ascesa dello Stato islamico (Isis) nel
2014, sono stati messi a dura prova negli ultimi mesi in particolare nella città di Aleppo.
L'accordo tra Russia e Iran che ha rafforzato il presidente Bashar al-Assad, accolto come leader indiscusso in Siria dai paesi del Nord Africa e del Medio Oriente al summit della Lega Araba in Arabia Saudita nel maggio del 2023, è stato rimesso in discussione dai gruppi islamisti radicali, insieme ai fuorisciti dell'Esercito siriano libero (Fsa), sostenuti dalla Turchia, del movimento Tahrir al-Sham (Hts).
Cosa sta succedendo ad Aleppo
L'attacco, partito lo scorso giovedì, ha preso di mira in particolare i quartieri curdi della città dopo la riconquista di Aleppo da parte delle forze lealiste al regime di al-Assad nel 2016 e a quattro anni dall'ultimo tentativo dei ribelli di rimettere le mani sulla città. Alcuni poster raffiguranti Bashar al-Assad e la statua di suo fratello Bassel sono stati attaccati e distrutti dai ribelli. Gli insorti di Hts sono partiti dalla loro base di Idlib, ultima città in cui i jihadisti hanno mantenuto una presenza stabile dopo la liberazione di Raqqa nel 2017, nel Nord-Ovest del paese e dopo tre giorni di combattimenti sono entrati nella periferia di Aleppo raggiungendo anche il centro della città fino ai piedi della storica Cittadella.
Gli insorti hanno preso il controllo di Saraqib, località strategica che porta sull'autostrada per Domasco in direzione Hama. L'esercito regolare pro-Assad
si è ritirato anche da Maarrat Numan, a sud di Idlib. Non solo, i funzionari delle Nazioni Unite hanno lasciato i loro uffici nella città siriana. Secondo gli insorti, Hts controllerebbe la metà di Aleppo, mentre sono andati avanti i raid russi e di
Damasco nell'area. Hts avrebbe imposto un coprifuoco a partire dalla sera di sabato e per la giornata di domenica primo dicembre.
Questi attacchi avrebbero causato già 327 morti e 14mila sfollati. Solo nei primi tre giorni di combattimento sono stati almeno 27 i morti tra i civili, inclusi otto bambini. Le autorità siriane hanno detto di attendere ulteriori rinforzi russi attraverso la base
Hmeimim nella città costiera siriana di Latakia. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha fatto sapere che Mosca, impegnata sul fronte ucraino, considera l'attacco dei ribelli come una “violazione della sovranità siriana” e ha chiesto alle autorità di Damasco di agire velocemente per riprendere il controllo dell'area.
I ribelli, sostenuti dalla Turchia, avrebbero conquistato decine di villaggi e una base militare, entrando in possesso delle armi delle forze governative. “Nessuno avrebbe mai immaginato che Hts sarebbe stato capace di riprendere il controllo del territorio così velocemente”, ha commentato l'analista dell'International Crisis Group, Dareen Khalifa. Ma non è chiaro però se i ribelli saranno capaci di mantenere a lungo il controllo delle aree occupate.
Il ruolo turco e curdo
Le autorità turche hanno negato qualsiasi coinvolgimento nell'offensiva dei ribelli su Aleppo. “Non agiremmo mai con lo scopo di causare nuove ondate migratorie”, ha sostenuto il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan. Anche le autorità turche avevano avviato la normalizzazione delle loro relazioni con al-Assad, dopo aver apertamente sostenuto le opposizioni nella guerra civile siriana. Dal canto loro, i combattenti curdi delle Unità di protezione maschili e femminili (Ypg-Ypj), colpiti nelle scorse settimane dai raid turchi in Siria e in Iraq, hanno avviato la dislocazione di parte del loro contingente dal Rojava.
Dal Kurdistan siriano, noto per le politiche di autonomia democratica, ecologia e femminismo teorizzate da Abdullah Ocalan, leader del partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), in prigione in isolamento in Turchia, sono partiti i miliziani curdi per raggiungere il quartiere di Sheikh Maqsud di Aleppo con lo scopo di contrastare l'avanzata dei gruppi vicini ad Hts.
I ribelli, sostenuti dalla Turchia, sarebbero pronti ad occupare anche Tal Rifaat dove hanno trovato rifugio gli sfollati del cantone di Afrin, occupato dall'esercito turco nel 2018. Le Forze siriane democratiche (Sdf), guidate dai curdi, avrebbero ripreso il controllo di una parte dei quartieri in mano agli insorti e dell'aeroporto internazionale di Aleppo.
Il ridimensionamento delle milizie sciite e la questione del nucleare iraniano
Il processo di ridimensionamento del ruolo regionale iraniano in Medio Oriente, partito con gli attacchi al movimento sciita libanese che ha perso il suo leader, Hassan Nasrallah, nei bombardamenti israeliani su Beirut, ha riguardato anche la Siria. Teheran ha ricoperto un ruolo centrale nella stabilizzazione del paese negli ultimi anni e controlla due importanti basi militari alla periferia di Aleppo e di Damasco. Con gli attacchi di Idf, i combattenti filo-iraniani in Siria, già indeboliti dall'uccisione del capo delle milizie al-Quds, Qassem Soelimani a Baghdad nel 2020, hanno ridimensionato la loro presenza sul territorio. Eppure l'Iran continua a ricoprire un ruolo importante in Siria. Tant'è vero che il ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, dopo aver sentito il suo omologo russo, Sergei Lavror, per
parlare della situazione in Siria, è atteso a Damasco e Ankara nei prossimi giorni.
La tregua del 27 novembre tra Israele e Hezbollah ha allontanato la guerra diretta tra Tel Aviv e Teheran e aperto la strada per una nuova pagina di dialogo tra comunità internazionale e Repubblica islamica, a partire dal dossier nucleare. Iran, Francia, Germania e Gran Bretagna hanno deciso di continuare a volere il negoziato in tema di nucleare nel loro ultimo incontro lo scorso venerdì a Ginevra, prima dell'insediamento del nuovo presidente Usa, Donald Trump a gennaio.
Trump è stato il principale fautore del ritiro unilaterale statunitense dall'accordo sul nucleare nel 2018 e dell'imposizione di nuove sanzioni contro gli ayatollah. La conferma è arrivata da Kazem Gharibabadi, viceministro degli Esteri di Teheran, che ha salutato positivamente la ripresa dei colloqui. Pesa sull'esito dei negoziati proprio l'asse di ferro tra Iran e Mosca nella guerra in Ucraina e la mancanza di volontà, manifestata da parte iraniana, di permettere all'Agenzia internazionale per l'Energia atomica (Aiea) di ispezionare le centrali nucleari iraniane in conformità con le disposizioni dell'accordo di Vienna (2015) sul nucleare.
I paesi europei, coinvolti nei negoziati, temono che l'aumento di riserve di uranio arricchito potrà permettere a Teheran di ottenere un'arma nucleare. In un incontro tra il capo dell'intelligence britannica, Richard Moore, e il suo omologo francese,
Nicolas Lerner, a Parigi, la questione della proliferazione nucleare iraniana è stata citata come la principale “minaccia” dei prossimi mesi. La sfiducia reciproca tra Iran e paesi europei è stata confermata dalla richiesta, presentata all'Aiea, di redarre un report sulle attività nucleari iraniane. L'agenzia Onu ha ammesso che Teheran pianifica di installare altre 6mila centrifughe per arricchire l'uranio nei siti di Fordo e Natanz.
Le violazioni del cessate il fuoco in Libano
Se la Siria è tornata a piombare nella spirale della guerra civile un fattore di instabilità è arrivato anche dal Libano. Dell'oltre un milione di sfollati libanesi, 500mila sono profughi siriani che hanno tentato di fare rientro nelle loro città dopo lo scoppio della guerra in Libano in seguito alle esplosioni dei cercapersone in dotazione dei membri di Hezbollah lo scorso 17 settembre.
Tuttavia numerosi sono stati i raid reciprici dopo l'avvio della tregua lo scorso 27 novembre. L'esercito israeliano (Idf) ha colpito un deposito di armi del movimento sciita libanese Hezbollah a Baysariyah, a Sud di Sidone. Idf ha anche confermato di aver aperto il fuoco contro “sospetti” che si sono avvicinati in almeno cinque aree del Sud del Libano, a due km dalla “linea blu” che delimita il confine con Israele.
Il parlamentare di Hezbollah, Hassan Fadlallah, ha accusato Israele di aver violato l'intesa attaccando chi sta tentando di fare ritorno alle sue case. “Di sicuro la tregua è un sollievo dopo tutto quello che abbiamo sofferto in questi due mesi”, ci ha spiegato Mira Kurayyem, attivista e rifugiata palestinese che vive nel campo profughi di Burj el-Barajneh a Beirut. “Ma la nostra speranza era che la guerra finisse con un cessate il fuoco anche a Gaza. Quindi il conflitto continua”, ha ammesso Mira.
“I miei amici hanno perso familiari e le loro case. Le prossime settimane saranno molto dure ma siamo orgogliosi che la guerra sia finita e che l'esercito israeliano non sia stato capace di occupare la nostra terra nel Sud del paese”, ha concluso Mira Kurayyem.
La guerra continua a incendiare il Medio Oriente
Le stesse accuse a Idf sono arrivate da parte dell'esercito regolare libanese. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, aveva fatto sapere che Idf sarebbe stato pronto a partecipare in “intensi combattimenti” se il cessate il fuoco fosse stato violato. Le truppe israeliane sono rimaste di stanza in alcuni villaggi del territorio libanese mentre i droni di sorveglianza israeliani sorvolano l'area. Idf ha anche imposto un coprifuoco a Sud del fiume Litani dalle 5 del pomeriggio alle 7 di mattina.
Non solo, i militari israeliani hanno imposto ai libanesi di non rientrare nelle loro case in 60 villaggi nel Sud del Libano, nonostante l'entrata in vigore della tregua.
“Francamente sono scettico che l'accordo per la tregua possa reggere. È possibile che entrambe le parti non lo rispettino o che ci siano cambiamenti allo scadere dei 60 giorni della fase preliminare o quando Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca”, ha commentato il giornalista libanese Raghid Awdeh. “Personalmente sono felice che la guerra stia finendo in Libano e spero che ci sia un altro cessate il fuoco a Gaza”, ha aggiunto l'analista della Banca mondiale, Aref al-Krez.
“Il Medio Oriente è stata una regione tormentata da guerre per troppo tempo, c'è una grande necessità di pace. Per questo Israele deve smettere di agire in modo paranoico, e l'Iran deve smettere di intervenire con le sue milizie”, ha continuato al-Krez.
“L'esercito israeliano deve lasciare il Sud del paese al più presto possibile, mentre Unifil e l'esercito regolare libanese devono essere dispiegati nella regione”, ha concluso.
La riconquista di Aleppo, dopo quattro anni di calma apparente, da parte dei ribelli di Hts ha fatto ripiombare la Siria nell'incubo della guerra civile. Se con la tregua del 27 novembre il fronte libanese potrebbe lentamente tornare a una tesa normalità, gli altri sei fronti di guerra in cui è impegnato l'esercito israeliano, a partire dalla guerra che va avanti a Gaza e in Cisgiordania, e in particolare con la recrudescenza dei conflitti in Siria e Iraq, con il coinvolgimento di Yemen e Iran, non accennano a stabilizzarsi. Se il conflitto ha prodotto il ridimensionamento dell'intera galassia delle milizie sciite in Medio Oriente, questo sta avendo i suoi primi effetti con la rottura dei fragili equilibri tra forze lealiste e ribelli e con la recrudescenza della guerra civile in Siria. Non solo, potrebbe essere un chiaro messaggio per Usa e Israele: senza le milizie sciite e il sostegno di Mosca possono tornare i tempi bui della guerra in Siria.