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Opinioni

Perché la guerra dei chip tra Usa e Cina ci riguarda tutti

Estratto dal testo di antropologia economica “Effetto Domino” di Mariangela Pira. Un libro nel quale attraverso nove interrogativi e racconti si mostra da un lato la macroeconomia, nascosta dietro ogni nostro piccolo gesto quotidiano, dall’altro come tutto sia profondamente interconnesso in un modo completamente globalizzato.
A cura di Mariangela Pira
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Questo brano è tratto dal capitolo sui semiconduttori del testo di antropologia economica "Effetto Domino" di Mariangela Pira. Un libro nel quale attraverso nove interrogativi e racconti si mostra da un lato la macroeconomia, nascosta dietro ogni nostro piccolo gesto quotidiano, dall'altro come tutto sia profondamente interconnesso in un modo completamente globalizzato (in che modo il costo del pane a Roma è collegato a Nord Africa e Sri Lanka? In quale maniera la siccità in Sicilia si lega al mercato globale del vino e il prezzo della carta al conflitto russo- ucraino? Sono alcune delle domande cui si dà risposta). 

Oggi Tsmc, dopo aver investito moltissimi quattrini, è la più avanzata fabbrica di semiconduttori che esista al mondo. Non a caso la chiave di volta della tensione tra Usa e Cina è su Taiwan. Lo scienziato Alberto Sangiovanni-Vincentelli, professore di ingegneria elettronica e scienza dei calcolatori presso l'Università di Berkeley, non usa mezzi termini: «Se Tsmc non fosse a Taiwan, mi creda, dell’isola non importerebbe nulla a nessuno». Tsmc infatti è molto più avanti di Intel, quasi alla pari con Samsung.

Quando parliamo del viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan, nell’agosto del 2022, che tanto ha fatto storcere il naso a Xi Jinping e compagni, dobbiamo pensare proprio a questo. Taiwan è la pedina che gli Usa muovono contro i rivali cinesi nel settore che governerà il mondo domani, quello dei chip. Quando Washington fa pressioni sul gruppo olandese che produce macchine per creare i semiconduttori Asml – affinché non le vendano ai cinesi – dobbiamo pensare a questo. E lo stesso quando il cancelliere tedesco Scholz se ne va in Cina baldante a siglare accordi. Del resto, con l’Inflation Reduction Act di cui abbiamo parlato nel primo capitolo, gli americani guardano alla transizione energetica e tecnologica puntando tutte le fiches sulla loro industria, tagliandoci fuori.

Perché Scholz non dovrebbe andare in Cina a cercare opportunità? E così Macron? Vi potrà essere capitato di sentire che Tsmc è utile solo perché produce in larga scala ed è comoda. «È una stupidaggine atroce» sostiene Vincentelli. «Non è solo il volume, sebbene certamente producano tanto, ma il fatto che lo facciano molto bene. Altrimenti sono capaci tutti.»

Ci sono anche società, come l’israeliana Tower Semiconductor, che realizzano non per la massa ma con processi adatti a chip di tipo particolare quali i Mems, analogici e fotonici. Vincentelli li paragona a una celebre pasticceria di Milano, nota per i suoi perfetti marrons glacés, e a un’altra di Roma, che incarna la perfezione del caffè. Sono davanti a uno scienziato che utilizza un linguaggio semplice, di chi conosce bene le cose, quindi ne approfitto per fargli domande che necessitano di risposte da lattaio dell’Ohio, come amo dire. «In che modo si misura l’avanzamento della tecnologia in questo settore?» «Dalle dimensioni in senso lato dei transistor. Samsung e Tsmc sono sui 2 nanometri, gli altri intorno ai 10» precisa.

Per tutti noi non scienziati, 2 nanometri sono qualcosa di estremamente piccolo. Un nanometro corrisponde a un miliardesimo di metro. Il vantaggio delle dimensioni ridotte risiede nel fatto che più piccoli sono i transistor, più ne vengono inseriti all’interno di un chip, che in questo modo diventa più potente, fa più cose e le fa meglio. I chip in questione, che hanno bisogno di una capacità di produzione avanzata (i cosiddetti leading edges), sono quelli che vanno a finire nei cellulari e nei calcolatori, nei server di Google, Amazon, Microsoft. Diversi sono quelli usati nelle automobili a combustione interna, che servono per regolare il motore, controllare la stabilità della vettura, frenare, regolare il cambio automatico, aggiustare le luci, aprire e chiudere le portiere.

Quelli non richiedono processi di produzione avanzati, com’è un processo manifatturiero per chip da uno o 2 nanometri, perché per farli funzionare ne bastano 28. E riescono a essere prodotti più facilmente.

Tsmc si è ritagliata una posizione tale da giocare da sola? Non è proprio così. La competizione c’è, e ruota anche su altri fattori, per esempio sul prezzo di
certi chip che sono un po’ come quei gioielli inaccessibili alla gran parte di noi: per tornare al paragone con la pasticceria milanese, non vende solo marrons glacés, ma anche le raffinatissime violette candite.

Come detto, la seconda compagnia sia per volumi sia per qualità è Samsung, che si differenzia da Tsmc perché produce per sé e per gli altri. Il gruppo sudcoreano realizza telefoni cellulari, televisori e un’ampia gamma di elettrodomestici. In passato è stato anche fornitore di Apple, fatto stranissimo, visto che con la società della Mela compete alla grandissima nell’arena degli smartphone. Ora Apple ha firmato il contratto per affidare la fabbricazione dei suoi processori a Tsmc. Che peraltro nel 2024 avvierà la produzione nel suo nuovo stabilimento in Arizona. Il giorno dell’inaugurazione, nel dicembre del 2022, due frasi hanno colpito come macigni.

La prima, quella del presidente Joe Biden, presente all’evento: «Ora la manifattura è tornata negli Usa». La seconda del mitico fondatore di Tsmc Chang: «La globalizzazione è quasi defunta». Parole che fanno riflettere – Chang non dice mai nulla a caso – e del cui tema si occupa anche questo libro, arrivando a conclusioni diverse da quelle del magnate cinese. Ora anche Intel si è messa in testa di produrre chip per altri. In questa fase è alla ricerca di investimenti ed è per questo che sta andando a chiedere soldi in giro per il mondo. Il Chips Act europeo, il pacchetto legislativo sui semiconduttori del valore di 50 miliardi – per la prima volta parliamo di grandezze all’americana anche se, secondo i bene informati, il valore netto degli investimenti sarebbe decisamente inferiore a quanto pubblicizzato –, è stato approvato l’8 febbraio 2022 anche per iniziativa di Intel, che costruirà non a caso una fabbrica a Dresda. Buona parte dei soldi del Chips Act – stando ad alcune fonti – dovrebbe proprio finire a Intel perché costruisca le sue fabbriche in Europa (…)

Questa minirivoluzione che vede protagonisti Cina e Stati Uniti, e in parte anche l’Europa che si sta svegliando, cambierà molto le cose. Apple, per esempio, pare sia interessata a usare manifattura Intel, se non fosse che Intel ha perso la leadership da anni. «Non ce la farà a riagguantarla» spiega il professor Vincentelli. «O forse sì, ma solo con il supporto dei governi.» (…)

Queste novità avvengono in un momento in cui, dalla fine della pandemia, si è verificata una carenza di chip, perché la domanda ha ricominciato a crescere ma la produzione era ancora bassa a causa degli strascichi del virus. Per una volta, quindi, la carenza, che ha causato anche un aumento dei costi, non era dovuta alla penuria di materie prime, se non per chip sofisticati come quelli di Tsmc, che oltre al silicio richiedono l’uso di gas rari come il neon, come abbiamo visto reperibile in Ucraina. L’offerta è rimasta bassa perché le fabbriche del mondo, pure a emergenza finita, hanno dovuto chiudere, dal momento che la gente si ammalava. In Cina poi, dove si produce la maggior parte dei chip non così avanzati, destinati alle auto, la politica zero Covid ha imposto un solo diktat: state a casa. (…)

E l’Italia come è messa? ST è il nostro gruppo di riferimento. Italofrancese, in parte produce i propri chip con tecnologie inventate in casa e mai condivise, per esempio i chip di potenza che vanno a finire nei motori elettrici. Per gli altri, si serve di Taiwan, senza consegnarle alcun know- how. Le società, infatti, utilizzano tutte Tsmc perché non è in concorrenza, è una fonderia che produce per altri. È come se chi fa vestiti Christian Dior avesse paura di dar lavoro ai setaioli di Como: non avrebbe senso, perché questi ultimi fanno seta, non realizzano abiti.  (…)

ST è di nicchia, come Nvidia, che in un semestre del 2022 ha portato a casa un fatturato più elevato di Intel. I chip che progetta, e fa produrre ad altri, sono impiegati in vario modo, dai calcolatori alle potentissime Gpu (Graphic Processor Unit) delle grandi server farms di cui si servono colossi come Google o Amazon, ai cellulari. Tsmc non fa questo tipo di chip perché ritiene non vi sia convenienza economica. (…)

Prima di scrivere questo libro, mentre iniziavo a informarmi, mi dicevano che l’unica soluzione per gli Usa era comprare Tsmc e trasportarla in terra statunitense. Ora questo in parte è avvenuto, con l’investimento di 40 miliardi di dollari e l’apertura della fabbrica del gruppo taiwanese in Arizona. Potremmo puntare a portare il modello di grandi produzioni alla Taiwan anche in Europa. È forse proprio a questo che punta il Chips Act. (…)

Anche in questo, al pari degli altri capitoli, appare evidente come sia aumentata la consapevolezza che la globalizzazione debba trasformarsi in qualcosa da avere in comune «con i paesi amici». Torna quindi il concetto di friendshoring. Perché ha senso portare i sistemi di produzione in giro per il mondo (offshoring), ma ce l’ha ancora di più portarli dove ci sono tranquillità, sicurezza e garanzie dal punto di vista geopolitico. È la terza linea di produzione ST, decisa a luglio del 2021.

Ad Agrate ST realizza circuiti molto sofisticati, per esempio i Mems, ossia sensori digitali o sensori di potenza, quelli che si mettono nelle auto o nei dispositivi per controllare la potenza elettrica. Ovviamente nulla di paragonabile alle tecnologie di Tsmc. Ecco perché Tsmc ha deciso di investire, in combutta con gli Usa, in Arizona: perché ora è chiaro che se la Cina invade Taiwan, e faccio un esempio che spero non diventi mai veritiero, sarebbe un gravissimo problema.

Certo, però, una politica di ripensamento del meccanismo di distribuzione delle capacità produttive non è una cosa che si fa in pochi mesi. Sono fenomeni
che richiedono anni per essere dispiegati. Siamo pronti a mettere in campo una strategia che sia globale, che comprenda tutte queste variabili e abbia un obiettivo, una programmazione?

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Giornalista professionista. Conduttrice e Reporter di SkyTg24. Su Linkedin cura la rubrica #3fattori, con cui la mattina spiega con linguaggio semplice gli elementi che caratterizzeranno la giornata finanziaria, economica e geopolitica. Ha lavorato a Class Cnbc e Milano Finanza. Qui ha curato le finestre sui mercati per il Tg5 e La7 ed è stata responsabile del Desk China. E’ stata contributor del South China Morning Post e di Caixin.com. Per il Ministero degli Affari Esteri è stata conduttrice di Esteri News Dossier, progetto per cui ha viaggiato in Afghanistan, Iraq, Libano, Israele, Palestina. Continua a occuparsi di cooperazione con Terre des Hommes. Ha iniziato la sua carriera all'Ansa di New York, seguendo alcuni processi e la prima Inauguration Week del Presidente George Bush. Ha scritto con Baldini&Castoldi "Fozza Cina" e con Chiarelettere nel 2020 l'ebook "Cronaca di un disastro non annunciato" e il libro "Anno Zero d.C."
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