Di posti brutti l’ex Urss abbonda. Ma un posto davvero brutto, senza offesa per chi ci vive, è Kaliningrad, l’exclave russa stretta tra la Lituania, la Polonia e il Mar Baltico e quindi completamente isolata rispetto alla Russia di cui fa parte dalla fine della seconda guerra mondiale. C’è una ragione, però. Kaliningrad (ovvero “città di Kalinin”, dal nome di un rivoluzionario e politico bolscevico) si chiama così solo da 4 luglio del 1946. Prima, e a partire dal 1255, cioè da quando era stata conquistata dai cavalieri teutonici, era stata Konigsberg (“città del re”), di fatto la capitale della Prussia orientale, insomma una città tedesca. E Hitler l’aveva trasformata in una piazzaforte molto munita, con tre anelli di fortificazioni collegate tra loro da gallerie sotterranee e circa 150 mila soldati. Durante l’offensiva sovietica che infine portò al crollo del nazismo, Konigsberg e i suoi quasi 400 mila abitanti tedeschi rimasero a lungo ai margini delle operazioni. Ma poi dovettero pagare il conto. Nell’agosto del 1944 l’aviazione inglese scaricò sulla città un diluvio di bombe, provocando danni enormi. E nella primavera del 1945, temendo che le truppe sovietiche che muovevano verso Berlino potessero essere attaccate alle spalle, Stalin ordinò al maresciallo Rokossovskij di prendere la città. Konigsberg fu tagliata fuori dai collegamenti di terra con il resto della Germania e attaccata.
La battaglia finale durò quattro giorni, dal 6 al 9 aprile 1945. I tedeschi capitolarono dopo aver perso quasi 50 mila soldati. Tutta la popolazione tedesca (erano rimaste circa 200 mila persone) fu espulsa e poi sostituita con una popolazione sovietica. E nel corso della battaglia altre distruzioni si aggiunsero a quelle provocate dagli inglesi l’anno prima. Risultato: una città svuotata e per l’85% demolita. Per intenderci: una Mariupol’ all’ennesima potenza. E poiché l’Unione sovietica non andava famosa né per il gusto architettonico né per la pianificazione urbanistica, Kaliningrad rinacque, appunto, alla sovietica: piena di palazzoni tutti uguali, piatta, grigia, triste, burocratica. Con un gioiello rimasto miracolosamente intatto: la piccola chiesa protestante che ospita la tomba di Immanuel Kant, uno dei più famosi filosofi moderni, nato a Konigsberg nel 1725 e lì morto nel 1804, senza essersi mai mosso dalla città.
Ai colloqui di pace di Potsdam, Stalin volle fortemente che questo lembo di terra ex tedesca fosse assegnato all’Urss per avere, come disse, “un porto che non gela”. Uno sbocco sul Mar Baltico, insomma, che fosse di più facile impiego rispetto a quelli a Nord sul mare artico. E da allora il significato strategico di Kaliningrad non è cambiato. A Stalin interessava il porto e, soprattutto, l’affaccio sull’Europa. Certo, lui non avrebbe mai pensato che un giorno l’Urss cessasse di esistere, che la Repubblica sovietica di Lituania riconquistasse l’indipendenza, che le due Germanie tornassero a essere una sola e che uno Stato come la Polonia, un tempo vassallo di Mosca, diventasse il primo nemico della Russia. Ma proprio per questo Kaliningrad è tuttora preziosa per il Cremlino: se prima era affacciata sul potenziale “nemico”, ora è incastonata tra nemici reali, e serve sia a difendersi da loro sia a minacciarli.
Non a caso, una delle tre basi russe di lancio per i missili nucleari si trova proprio a Kaliningrad (le altre due a Rostov, nel Sud, e nella regione di San Pietroburgo) dove sono piazzati i 9M729, ovvero i missili con un raggio d’azione più limitato, fino a 2.500 chilometri, predisposti appunto per colpire l’Europa fino all’Irlanda e alla Spagna. In altre parole, Kaliningrad è lì per noi. Molti analisti occidentali sono convinti a nell’exclave non ci siano solo le basi missilistiche ma anche le bombe nucleari, rimaste lì fin dai tempi dell’Urss. Ma è una speculazione che, per quanto verosimile, non ha ovviamente mai ricevuto conferme ufficiali da parte russa. A scanso di equivoci, però, il primo canale della Tv russa ha di recente trasmesso una simulazione del lancio da queste basi del nuovissimo missile russo Sarmat: 202 secondi per colpire Londra, 200 secondi per Parigi, 106 per Berlino, 30 per Varsavia.
Il punto vero è che Kaliningrad è tornata ad assumere, proprio in virtù della situazione strategica che si è creata con la fine dell’Urss e soprattutto con l’ingresso nella Nato di paesi, appunto, come Polonia e Lituania, la funzione che aveva la vecchia Konigsberg dei cavalieri teutonici: quella di un centro fortificato destinato, in caso di scontro militare generalizzato, a inserirsi come un cuneo nelle manovre degli avversari. A Kaliningrad non ci sono le basi per i missili nucleari, ma anche i sistemi anti-aerei S-400, i sistemi anti-nave Bastion e i missili ipersonici Iskander. E infine sono arrivati i cacciabombardieri capaci di portare sotto le ali i missili Kinzhal. Un apparato di difesa e offesa completo, almeno in teoria capace di bloccare i mari e i cieli e di colpire lontano. La dimostrazione più evidente che ormai la Russia, come del resto le grandi capitali europee, vive la guerra in Ucraina non come uno scontro con Kiev ma come una sfida contro l’intero Occidente.