Perché la Cina non manderà armi alla Russia (ma ha tre ottimi motivi per non mollare Putin)
Qualche giorno fa due notizie ufficiali hanno fatto presagire il peggio per le trattative in Ucraina. La prima, russa, accusava gli Stati Uniti di produrre armi batteriologiche in un laboratorio di Kiev. La seconda invece, americana, vedeva le autorità di Washington e il Financial Times affermare che la Cina avrebbe “mostrato interesse di aiutare militarmente la Russia”. Entrambe le notizie, nella loro inattendibilità, rivelano un azione strategica. Entrambe, infatti, miravano a stanare Pechino e forzarla a prendere una posizione più netta. Putin ci ha provato con un’accusa infondata ma che fu sostenuta dalla Cina nel 2021 all’Onu, paventando dunque il rischio di un nuovo allineamento Mosca-Pechino. Biden ha ingigantito, invece, delle percezioni allo scopo di tracciare una linea da non oltrepassare in vista dell’incontro tra il suo Consigliere per la Sicurezza – Jake Sullivan – e il suo omologo cinese Yang Jiechi, appellato da George Bush padre come “Tiger Yang”.
Sullivan – Yang
L'incontro si è svolto il 14 marzo a Roma. L’italia è risultata il punto comune ideale per le agende dei consiglieri. Nel quartiere di Balduina, presso l'hotel Cavalieri Waldorf Astoria, per oltre otto ore si è discusso del futuro dell’Europa e del mondo. Otto ore per poche righe di comunicato stampa statunitense. Più accesa, invece, la reazione della “tigre” che ha rimarcato “la questione taiwanese” e l’inconsistenza americana nel riconoscere la politica dell’Unica Cina solo a parole (riferendosi all’enorme tensione militare intorno a Taiwan). Yang ha inoltre smentito di fornire tecnologia bellica a Mosca e ribadito l’opposizione a chiunque diffonda notizie false volte a scalfire l’immagine della Cina. L’incontro, tuttavia, sembra aver dato alcuni frutti. Nonostante i media continuino a ribadire il timore per gli armamenti cinesi in Russia, l’appuntamento ha fatto seguito agli scambi tra Xi, Macron e Scholz, aprendo la strada alla telefonata di oggi tra Xi e Biden.
La fresatura delle opinioni
The Atlantic l’ha definito come una “brutta e imbarazzante fresatura”, ovvero, la capacità dell’opinione pubblica e dei social di speculare su quanto accade, aprendo la strada a scenari destabilizzanti e potenzialmente disastrosi. Si passa, in poco tempo e in poco spazio, dal descrivere il rapporto Usa-Cina come destinato alla guerra, a parlare di “Xi-Biden Consensus”. Al netto però delle esagerazioni, si può riflettere su alcuni fatti concreti. Il primo potrebbe riguardare, per esempio, l’impossibilità logistica per i cinesi di fornire armamenti ai russi in breve tempo. Il secondo, invece, si riferisce agli studi del Stockholm International Peace Research Institute, secondo i quali circa l’80% delle armi importate dalla Cina tra il 2017 e il 2021 proveniva da Mosca.
Ci sarebbe da chiedersi come sia possibile che, dopo neanche un mese di guerra con una potenza minore, un colosso bellico come la Russia abbia bisogno di armi da un paese a cui solitamente le esporta. Potrebbe essere considerata come un'ammissione dello stato di grande difficoltà di Putin in questo momento? Se infatti la Cina ha negato di fornire armi alla Russia, il Cremlino ha realmente inoltrato la richiesta. C’è chi ne è convinto: Ward e Gedeon riportano su Politico che diverse loro fonti affermano come “Pechino abbia già fatto la propria scelta di assistere Mosca”. Altri sostengono che basti voler distruggere l’Occidente per far sì che Xi Jinping faccia di tutto per stare dalla parte di Putin e non rimanere solo in questa battaglia.
Altri analisti sono invece convinti che il supporto al Cremlino debba essere limitato e che la Cina possa, o sia persino costretta, a seguire l'Occidente in un eventuale negoziazione in cui porre pressione su Putin. Anche questa ipotesi non nega un eventuale supporto indiretto alla Russia. D’altra parte, persino la nostra stessa dipendenza dalle fossili siberiane permette – con circa un miliardo di dollari al giorno – gli sforzi di Mosca in Ucraina. Pechino lo fa in maniera più spinta, supportando Putin in diversi modi: opponendosi alle sanzioni; togliendo restrizioni sull’importazione di grano; siglando -prima dell'invasione- un nuovo accordo energetico da 117 miliardi di dollari; o approfittando per internazionalizzare maggiormente lo yuan. Come afferma Alessia Amighini dell’ISPI, “Nel bel mezzo dell’instabilità finanziaria internazionale dovuta alle sanzioni finanziarie sulla Russia, la Cina si muove per fare progressi su questo fronte”. Ci sono infatti 90 miliardi di dollari nelle riserve estere russe di yuan. In qualche modo, Xi supporterà Putin, bisogna capire fino a che punto. La linea tracciata dagli Usa, quella da non oltrepassare, è il supporto bellico.
Perché Pechino non può rischiare troppo
Come scritto negli scorsi giorni su Fanpage.it, il rapporto tra Russia e Cina è arrivato ai massimi storici per poi iniziare a evidenziare i suoi limiti. Non si sa se Pechino sapesse, o quanto sapesse dell’attacco. Xi Jinping è nella difficile posizione di poter “diu mianzi”, ovvero perdere la faccia. Sia che fosse a conoscenza o meno, infatti, potrebbe essere visto come complice intenzionale di un massacro o come uno sprovveduto tradito da colui che definì “migliore amico”. Oltre alle questioni personali, ci sono i vincoli politici ed economici. Da una parte della bilancia, troviamo un nuovo potenziale status quo, gli interessi anti-americani e il rapporto con Mosca. Dall’altra ci sono invece: gli investimenti in Ue e in Ucraina sulla Nuova Via della Seta; l’interdipendenza commerciale con gli Usa; la politica di non-ingerenza; l’effetto domestico delle sanzioni; la crescita delle tensioni nel Mar cinese e le rivendicazioni territoriali di Pechino, che nulla hanno da spartire con quelle russe. Pechino ha dunque attuato un cambio di linguaggio: si è passati da “alleanza” a “partnership strategica”; si parla di “guerra” non di “missione militare”. Non finisce qui. Il Covid è riesploso in Cina e nonostante l’85% della popolazione abbia completato il ciclo vaccinale, circa 37 milioni di persone sono tornate in lockdown a causa della variante Omicron.
I cinesi hanno dunque i piedi in due scarpe, ma anche le mani legate. Come prospettato, nonostante le esitazioni iniziali, hanno deciso di impegnarsi come pacificatori, ma per farlo non possono esporsi troppo né con Mosca né con l'occidente. Non hanno, infatti, ancora una proposta sul tavolo e non possono permettersi di perdere la fiducia delle parti. Come riportato da Joseph Torigian in un articolo di Simone Pieranni su Il Manifesto, “Pechino non rischierà granché: se la Cina fosse vista inequivocabilmente dalla parte della Russia, ne sarebbe danneggiata, specie nel suo rapporto con l’Occidente”. Motivo per cui si suppone che Xi aiuterà Putin ma difficilmente varcherà la linea tracciata dalla Nato, perlomeno, non nel breve termine. Anzi, come riportato da Giulia Pompili su Il Foglio, durante l'incontro romano Sullivan ha ribadito che “l’unica cosa che può sollevare la Russia dalla pressione economica è la de-escalation”, non la Cina, e la de-escalation sembra anche essere l’unica via percorribile dai cinesi.
Tre nodi al pettine (di giada)
Tutti questi elementi ci portano a riflettere su tre punti: 1) la richiesta di armi cinesi è solo uno dei tanti indicatori che mostrano la crescente dipendenza della Russia da Pechino, il quale rafforza il proprio potere di negoziazione su Mosca; 2) le dichiarazioni di Yang dopo l’incontro con Sullivan, mettono al centro Taiwan e il Pacifico, il punto di maggior tensione globale tra Usa e Cina, il quale non potrà non riguardare la trattativa (nonostante Kiev e Taipei abbiano ben poco in comune); 3) le dichiarazioni di Wang Yi e il dialogo tra Xi, Macron e Scholz, da cui emerge la chiara opposizione alle sanzioni e alla Nato, la vicinanza alla Russia, ma al tempo stesso nessun contrasto all'UE o a un'eventuale annessione ucraina come membro dell’Unione. Anzi, le parole "speriamo che l’Europa possa ottenere una percezione più indipendente e obiettiva della Cina, che lavori con noi per evitare una nuova guerra fredda" sono coerenti con le politiche passate cinesi che mirano a rendere l'UE un potere più autonomo dagli Stati Uniti e dalla Nato.
Alla luce di questo e dell’incontro di oggi tra Xi e Biden, si delinea sempre più un quadro in cui il Presidente cinese potrebbe presto trovarsi in una posizione privilegiata nel foraggiare un’eventuale proposta Occidentale e far riflettere Putin sulla de-escalation, sul futuro dell’Ucraina, della Russia e dell'Europa. A patto, sicuramente, di un qualche ritorno diplomatico che non può non considerare gli interessi anti-Nato. I più impulsivi direbbero "Taiwan", un maggiore controllo del Mar cinese, oppure, sul piano commerciale, di un ruolo privilegiato nella ricostruzione del Paese. La verità è che se davvero la Cina riuscisse nell’operazione di pacificazione, non le servirebbe tutto quello per preservare gli interessi e aver salva la faccia, ne per cambiare il mondo e la percezione che il mondo ha di essa.