Perché Kim spinge il Pacifico a un’escalation senza precedenti
"Questa non è un’esercitazione". Così recitava il messaggio del sistema informatico governativo quando mercoledì 2 novembre, alle 8:55 ora locale, gli abitanti dell’isola sudcoreana di Ulleung sono stati svegliati da un allarme anti-raid e portati a cercare rifugio, incoscienti di quanto stesse accadendo.
Il mese scorso, martedì 4 ottobre, fu l’arcipelago nipponico ad essere attraversato da un missile balistico in grado di trasportare una testata nucleare. Questa volta l’arma nordcoreana era a corto raggio, ma faceva parte di un lancio coordinato di almeno 23 missili (il più alto numero mai registrato in un giorno) che ha superato la linea di confine marittima sudcoreana (non riconosciuta da Pyongyang, ma sempre rispettata finora), con impatti a soli 60 chilometri dalla città costiera di Sokcho. Per il Joint Chiefs of Staff di Seoul, è "la prima volta che questo accade dalla divisione della Corea".
Botta e risposta
L’escalation nel Pacifico sembra raggiungere livelli sempre più allarmanti. Seoul ha infatti risposto con i caccia bombardieri che hanno disposto tre missili aria-terra intorno alle acque di Pyongyang, la quale, a sua volta, ha reagito con altri sei razzi e 100 colpi di artiglieria. Per Kim si tratta di una reazione alle crescenti esercitazioni militari nell’area tra Usa e Sud Corea, considerate “aggressive e provocatorie”. Se continueranno, il leader nordcoreano ha dichiarato che “pagheranno il più orribile prezzo nella storia”. Un’intimidazione simile a quella perpetrata verso Tokyo in seguito all’esercitazione sottomarina congiunta svolta da Usa, Giappone e Corea del Sud. Era la prima da 5 anni, così come l’ultimo missile che sorvolò il Giappone fu nel 2017. Allo stesso modo, le esercitazioni congiunte tra Seoul e Washington hanno visto dispiegati in questi giorni 240 caccia da combattimento.
Un Halloween di vera paura
Il paese vive giorni di terrore, dalla tragedia per le strade della Capitale alle minacce di guerra. Seoul, che esce dalla strage di Halloween nel quartiere di Itaewon che è costata la vita a 156 persone (la gran parte ventenni), non esita a definirla una vera e propria “violazione territoriale”. All’incontro di emergenza del National Security Council, il presidente Yoon ha “ordinato che venisse predisposta una risposta severa in modo che la Corea del Nord pagasse un prezzo chiaro per la sua provocazione”. La nuova presidenza ha cambiato il suo approccio di dialogo con Pyongyang rispetto a quando nel 2018 ci fu l’incontro tra l’ex-presidente Moon e Kim, con la storica stretta di mano sul 38° parallelo. Da allora i rapporti sono deteriorati molto rapidamente.
Escalation senza precedenti
Il Giappone, invece, ancora sconvolto dall’omicidio di Abe, ha cambiato la sua costituzione pacifista, considera di ospitare l’atomica e teme per i suoi vicini nucleari: Nord Corea, Cina e Russia. Per il premier giapponese Kishida si tratta di attacchi di “una frequenza senza precedenti”. Negli ultimi anni e mesi, infatti, Pyongyang non ha mai smesso di effettuare test missilistici e nucleari nel tentativo di portare Washington ad accettare il suo status di potenza nucleare “irreversibile”.
Dal 2006 al 2017 ha eseguito sei test nucleari e si prepara per il settimo. Dal 1984 a oggi, ha effettuato più di 150 test missilistici, di cui oltre l’80% avviati da Kim Jong-un. La pandemia ha ridotto gli sforzi, ma il 2022 e la situazione in Ucraina li hanno riaccesi più forti che mai. Secondo le autorità sudcoreane, da gennaio la DPRK ha lanciato 29 missili, alcuni dei quali il mese scorso durante la visita a Seoul della Vice-Presidente americana Kamala Harris.
Soffiare sul fuoco di acque contese
Non è dunque la prima volta che assistiamo alle minacce di Kim, ma l’intensità di quest’ultimo anno è preoccupante. Persino Mosca è intervenuta nel tentativo di scoraggiare “ulteriori innalzamenti della tensione” visto le attuali fratture globali legate all’Ucraina e a Taiwan. Un contesto che rende la Nord Corea l’unico paese in grado di trarre vantaggio da una situazione di caos crescente in cui poter emergere e rivendicare una nuova posizione rispetto all’isolamento che la caratterizza, sentendosi al tempo stesso legittimata dalle violente pretese territoriali che attualmente alimentano la politica globale.
“La Corea del Nord potrebbe assumere comportamenti provocatori ed esacerbare una potenziale crisi nello Stretto di Taiwan” afferma il Ministro degli esteri sudcoreano Park Jin, “la pace nello Stretto di Taiwan è molto importante per la stabilità della nostra penisola. Per questo, vogliamo continuare a lavorare insieme agli Stati Uniti all’interno di un’alleanza”. Uno schema che, tuttavia, nel contesto attuale viene anche letto come carburante di una dinamica multipolare che porta il blocco nucleare e autoritario di Russia, Cina e Nord Corea a divenire più compatto, o per lo meno, a perseguire in maniera più congiunta l’obiettivo di opposizione alla crescita del controllo americano nell’area.
Un vecchio copione in un nuovo mondo
Come scritto qui su Fanpage.it il mese scorso, ciò che principalmente fa discutere gli analisti è riassunto efficacemente in un titolo del New York Times: “Un vecchio copione in un nuovo mondo”. La crescita delle tensioni nell’area all’interno di una situazione di “nuova normalità” geopolitica, con un nuovo status quo da contendersi e nuove tecnologie nucleari a disposizione. Un insieme di fattori che rende le acque del Pacifico ancora più incandescenti di quanto già non fossero e in cui non si può ignorare l’imprevedibilità di un “tiratore libero” come Pyongyang. Nessuno sa se e quando traboccherà il vaso, ma di sicuro, gocce sempre più grandi e frequenti continuano a colmarlo.