Che l’offensiva di terra in Libano da parte di Israele fosse una mossa più politica che strettamente militare era chiaro dall’inizio. Se c’è uno spazio dove Hezbollah può dire la sua è sul terreno, soprattutto quando questo è il terreno di casa sua. L’abisso di tecnologia che esiste tra Israele e il partito milizia è sotto gli occhi del mondo, così come il disequilibrio di forze dato dall’aviazione, di cui gli sciiti non sono forniti.
L'offensiva in Libano da parte di Israele
Entrare via terra rappresenta quindi una strategia in questo senso molto più politica che militare. L’intera questione Unifil, il ferimento di una quindicina di soldati, gli attacchi sul lato del mediterraneo all’altezza di Ras Naqora all’interno della Linea Blu, sono un messaggio di Israele al Libano e al mondo che gli equilibri devono cambiare.
Delle 40mila unità ammassate al confine nord di Israele pronte a entrare in Libano, solo un paio di battaglioni stanno in sostanza effettuando incursioni vere e proprie. Incursioni per lo più respinte da un Hezbollah che da un lato conosce bene il terreno e che dall’altro, nonostante sia stato privato della catena di comando storica, continua a combattere e, almeno al momento, non dà segni di volere arrendersi.
Come ogni organizzazione militare importante (Hezbollah opera in maniera costante dal 1982), la vecchia guardia aveva infatti già ampiamente previsto successori in grado di continuare le operazioni che non si sono mai interrotte.
La tecnica che lo stato maggiore israeliano sta utilizzando nel sud del Libano è simile a quella usata per entrare a Gaza dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023: bombardare a tappeto, radere al suolo intere porzioni di territorio per favorire un massiccio avanzamento delle truppe di terra – che al momento non è però avvenuto – e prendere il controllo. Per quanto, per fare cosa rimane ancora un’incognita. E resta ancora in dubbio se ciò avverrà o meno.
Il Libano non è Gaza e Hezbollah non è Hamas
Ma il Libano non è Gaza e Hezbollah non è Hamas. A supporto di ciò, vale ricordare il lavoro di Julie Norman, Associate Professor in Politics and International Relations (University College London) che insiste sulle differenze strutturali di Hamas e Hezbollah. Come Norman ricorda Hezbollah ha operato e opera in Libano come "stato nello stato", la sua relazione e interazione con l’Iran è totalmente diversa da quella che esiste tra Iran e Hamas.
Il Libano non è Gaza per estensione, perché la striscia ha una grandezza di appena 370 km² circa, e per morfologia del territorio, in quanto Gaza è del tutto pianeggiante, schiacciata tra Israele e il mare, mentre questa parte di Libano è montuosa e ostica. Il tentativo di sfondare a ovest, sul lato del mare, dunque, scalzando le postazioni Unifil, è un tentativo di aprirsi un corridoio in una delle poche zone pianeggianti, arrivando così a Tiro, roccaforte sciita sulla costa meridionale del paese, e allo stesso tempo di delegittimare le nazioni unite, vedendo fino a che punto Israele possa considerarsi l’unica forza egemone dell’area, se escludiamo l’Iran, che in questo momento però non gode di ottima salute all’interno.
Hezbollah non è Hamas perché ha una storia politica e militare molto più lunga di Hamas, è una forza completamente egemonica in quasi 2/3 del Libano, è in parlamento, controlla per via diretta e indiretta interi settori economici e strategici dello stato libanese, è forte di una cultura morale, etica, religiosa, comunitaria millenaria, quella sciita. Hezbollah è sì un complesso sistema di potere politico e militare, ma anche e soprattutto un sistema identitario.
Pensare di sradicare totalmente Hezbollah è impossibile. E, almeno in questo momento, addomesticarlo nei limiti delle risoluzioni 1559 o 1701 -che in sintesi ne prevedono il disarmo completo- vorrebbe dire per il partito-milizia l’accettazione di una sconfitta non solo militare, ma identitaria, visto che il cardine dell’ideologia di Hezbollah si fonda sulla muqawwama, la resistenza al sionismo e all’egemonia neo-coloniale statunitense nell’area.
Un sistema contro-egemonico allora, in linea finora con l’Iran e l’asse della resistenza, che almeno in Libano è molto difficile pensare slegato dalla resistenza armata. Non ha senso pensare a una eventuale demilitarizzazione di Hezbollah come a un processo unilateralmente forzato, che un’azione del genere rischia addirittura di radicalizzare ulteriormente.
Questo Israele lo sa bene e i messaggi indirizzati da Netanyahu ai libanesi al fine di isolare e delegittimare il partito-milizia vanno in questa direzione, come in questa direzione vanno gli attacchi anche a quadri minori e sempre più spesso a civili rifugiati in zone non necessariamente sciite, come dimostrano gli ultimi bombardamenti a Ras Naba’a (quartiere misto e centralissimo di Beirut, fuori dall’ormai famosa Dahieh, come è chiamata la periferia sud di Beirut) o a Zgharta, città cristiana nel nord del Libano, quelli nello Chouf e in altre regioni dove la presenza sciita è momentanea o marginale.
Emergenza umanitaria senza precedenti
Un tentativo di isolamento assieme a un tentativo di destabilizzazione all’interno della comunità stessa, attraverso la messa in luce dell’incapacità di Hezbollah di proteggerla, e uno all’esterno, con la creazione un’emergenza umanitaria senza precedenti, con un milione e mezzo di sfollati interni che lo stato e le altre comunità hanno già difficoltà a gestire nel breve periodo, figurarsi nel lungo.
Tutto ciò in uno stato, il Libano, nella peggior crisi economico-finanziaria della sua storia e in una empasse politica che va avanti dal 2019 e che si è impantanata con la fine del mandato del presidente della repubblica Michel Aoun nell’ottobre 2022, mai sostituito. La partita si gioca infatti anche sul nome del presidente, cristiano per costituzione (il primo ministro deve essere sunnita, il presidente della camera sciita), e garante degli equilibri del paese.
Che tradotto vuol dire, in un paese dalla corruzione dilagante, garante degli interessi di tutti e ciascuno secondo la propria forza nelle varie aree del paese, nelle varie comunità di riferimento, in un’organizzazione della politica interna a gestione familiare e clientelare. I due assi di riferimento principali sono, semplificando, il blocco filo-iraniano attualmente al governo -i due partiti sciiti Amal e Hezbollah, i cristiani del Movimento Patriottico Libero di Aoun e quelli di Marada di Frangieh, parte dei sunniti- e quello filo-occidentale -la destra cristiana del Kataeb e delle Forze Libanesi, i drusi di Jumblatt, e un’altra parte del mondo sunnita-. Confini in ogni caso labili, in quanto molte delle forze in campo hanno interessi da una parte e dall’altra. L’espressione del presidente della Repubblica indica quindi il posizionamento del paese nella regione e nella sfera internazionale. E quindi il posizionamento più o meno favorevole a Israele, nonostante una formale avversione che potrebbe essere mantenuta per questioni retoriche.
La guerra Israele-Hezbollah nell'attesa delle elezioni Usa
La guerra tra Israele e Hezbollah, specialmente nella forma presa nell’ultimo mese, si inserisce in questo quadro già frammentato e prova a polarizzarlo ulteriormente, in una dimensione di sospensione data dall’attesa delle elezioni americane.
Israele prova a forzare, allora, un processo di demilitarizzazione di Hezbollah che lo renderebbe l’incontrastato dominatore di questa parte di medioriente e che, data la debolezza militare della Siria e i buoni rapporti con Egitto e Giordania, eliminerebbe l’ultimo vero avversario ai confini. Ma Hezbollah non è milizia e basta e il tentativo di eradicare un’ideologia ha nella maggior parte dei casi l’effetto di estremizzarla. Hezbollah nasce proprio per contrastare l’invasione israeliana del Libano del 1982.
Gideon Rachman, analista per il Financial Times, sottolinea di come l’intenzione di Israele di cambiare l’ordine della regione possa avere come risultato quello di peggiorare la situazione.
Se l’emergenza umanitaria libanese non dovesse avere alcuna prospettiva di rientro, se lo stallo politico dovesse protrarsi senza aver espresso un presidente, insomma, se non si troverà una soluzione che possa andare bene a tutti, Hezbollah compreso, la possibilità che il paese -e con esso la regione- cada nel caos più totale rimane molto alta.