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Opinioni

Perché il trionfo di Renzi mi fa paura

Dopo il voto degli italiani in tanti, non solo del Pd, hanno tirato un respiro di sollievo: sconfitto il populismo, vince la stabilità e si rafforza il Governo. Il punto è che la scomparsa dell’alternativa o del conflitto, non è mai un bene. Soprattutto per un Paese in ginocchio.
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Uno degli elementi di analisi più utilizzato nel dopo elezioni europee è stato certamente quello della "tenuta" del fronte europeista rispetto alle "tensioni populiste ed euroscettiche". Tecnicamente si tratta di un dato difficilmente contestabile, considerando soprattutto il numero di parlamentari italiani che confluirà nei gruppi filo-europeisti, ma è chiaro che una analisi siffatta è parzialissima e decontestualizzata. Dire che in Italia il populismo è stato respinto dal voto del 25 maggio non è solo una forzatura, è una sciocchezza bella e buona. Allo stesso modo valutare come una scelta europeista l'enorme numero di consensi catalizzati da Renzi è del tutto improprio, soprattutto perché ci sono pochi dubbi sul fatto che questa campagna elettorale sia stata più l'occasione per il braccio di ferro fra Renzi e Grillo che per un confronto sulle "idee d'Europa" dei diversi schieramenti.

Che piaccia o meno, il dibattito sull'Europa è stato decisamente marginale, con una serie di letture peraltro trasversali agli schieramenti (la critica all'Austerity, sia pur declinata in maniera diversa, la richiesta di "aiuto" alla Ue sul tema dell'immigrazione, il richiamo all'Europa dei popoli, tanto per citarne alcuni). È vero, non appaiono azzardate le ipotesi di un consenso "planato" su Renzi a causa delle tensioni antieuropeiste e per i richiami a cambiamenti radicali nelle strutture istituzionali del Paese delle altre forze politiche: come nota l'Istituto Cattaneo, "il successo di Renzi si è costruito sulla tenuta dell’elettorato Pd nei confronti dell’astensione, sulla conquista del bacino di Scelta civica, sul cedimento di elettori M5s e Pdl verso l’astensione". Ma si tratta di movimenti interni a gruppi sociali ben definiti, che hanno spesso (sempre) deciso il risultato delle consultazioni elettorali in Italia. In questo caso il voto ha rappresentato una sorta di delega in bianco, che i cittadini hanno regalato a Matteo Renzi affinché prosegua nel suo percorso di riforme e di Governo. O almeno è così che il Presidente del Consiglio sembra intenzionato ad interpretare il voto degli italiani.

Un voto che ha di fatto sancito l'inconsistenza dell'alternativa a Renzi. Né quel che resta di Forza Italia, né il Movimento 5 Stelle rappresentano un'alternativa sostenibile, almeno agli occhi di milioni di italiani. Questo poi porta all'ulteriore punto di analisi che merita di essere esaminato. Come nota Laclau, "persino nei progetti più radicali e democratici, la trasformazione sociale significa costruzione di un nuovo potere e non la sua radicale eliminazione". In tal senso la proposta politica del Movimento 5 Stelle è apparsa deficitaria, lacunosa, vaga nei suoi propositi di cambiamento e ristrutturazione (il referendum sull'euro che non si può fare e non serve a nulla, i tanti "vedremo", "decideremo", "poi si vedrà"). E lascia aperta una enorme questione: che succede quando un fronte compatto e che gode del consenso popolare si trova a dover governare senza una opposizione strutturata e ancora non preparata, ma soprattutto senza veri concorrenti alla guida del Paese? Quali sono le conseguenze a medio e lungo termine di questo (vero o presunto) unanimismo?

Perché di questo si tratta, "della ineliminabilità del conflitto e della creazione di frontiere tra “noi” e “loro”, dell’impossibilità di pensare una realtà priva di antagonismo", che è tanto più preoccupante nel nostro Paese ed in questo momento storico, proprio perché l'antagonismo, politico e sociale, "è insieme la condizione di possibilità e di impossibilità della società, è l’esperienza del limite del sociale". E rappresenta un contrappeso essenziale. Intendiamoci, potrebbe essere una vera boccata d'ossigeno per il Paese quella di avere un Governo finalmente legittimato dal consenso popolare, con un leader capace di applicare una sorta di disintermediazione morbida (capace cioè di interpretare le istanze del Paese, di avere un rapporto il più possibile diretto con i cittadini, ma senza rinunciare ai tradizionali strumenti della democrazia rappresentativa e alle sue forme). Ma allo stesso tempo la prospettiva di un finto "tripolarismo", con un'area di centrodestra in fase di smantellamento e un aggregato instabile per consenso e struttura, non può che preoccupare. Sarà anche "la solita lagna" di chi preferisce il dibattito alla retorica del fare, di chi sottolinea le tante sfumature di colore nella presentazione della lotta fra il bene ed il male, ma non c'è rivoluzione, politica o culturale, senza conflitto e non c'è progresso senza confronto, contrapposizione o scontro. E questa è, in ultima istanza, una questione di democrazia, della tutela di un ordine democratico pluralistico. Che, se permettete, vale molto più di 80 euro al mese.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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