Perché il rischio di escalation del conflitto è reale e cosa devono fare Israele e Hamas per evitarlo
"Abbiamo esteso la nostra attività all'interno della Striscia, aumentando le forze coinvolte". L'ha annunciato questa mattina il portavoce dell'esercito israeliano Daniel Hagari commentando le notizie di fonte palestinese sulla presenza di carri armati e soldati a ridosso di Gaza City, in particolare dell'arteria Sallah-a-din. Le forze di difesa israeliane – ha aggiunto Hagari – stanno procedendo "gradualmente" nel quadro dell'operazione di terra, e sono già avvenuti "contatti diretti" con i combattenti di Hamas.
Il portavoce ha quindi annunciato che ci sarà una escalation delle attività e che le truppe sono state messe in stato di "massima allerta" lungo il confine settentrionale. "Le nostre attività ed operazioni proseguiranno ed avranno una crescita in linea con le fasi della guerra". "Questa è un'operazione di terra allargata nella Striscia. Forze di terra, tank, forze di fanteria, forze blindate stanno muovendo in direzione dei terroristi", che – ha affermato sempre Hagari – "in alcune aree si sono raggruppati per cercare di prendere di mira le nostre truppe". Insomma, a poco più di tre settimane dall'inizio dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza la tanto attesa invasione di terra sta entrando nel vivo. Ma quali saranno le caratteristiche di questa operazione? E quali gli scenari sul terreno? Fanpage.it ha interpellato il generale Paolo Capitini, docente alla Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo, nonché reduce da missioni all’estero (Somalia, Bosnia, Kosovo, Ciad, Repubblica Centro Africana, Haiti e Libia).
Questa mattina l'esercito israeliano ha annunciato di aver ulteriormente esteso le operazioni militari nella Striscia di Gaza. Cosa sappiamo al riguardo?
Partiamo dall'analisi dello scenario operativo: si tratta di un ambiente fortemente urbanizzato e molto degradato dalle attività di bombardamento condotte nei giorni scorsi e tutt’ora in corso. Il terreno, quindi, è di per sé molto complesso. Inoltre, come più volte sottolineato, combattimenti si svolgono su due dimensioni – quella di superficie e quella, molto più pericolosa, sotterranea. In questo scenario la parte principale è svolta dalle forza terrestri, ma non si deve dimenticare l’appoggio della marina israeliana e, soprattutto dell’aeronautica che prosegue le sue missioni di bombardamento sugli obiettivi che man mano si svelano. Dall’altra parte della barricata troviamo Hamas, un'organizzazione che in queste settimane ha costruito la sua strategia intorno all'idea che Israele avrebbe prima o poi attaccato via terra, quindi ha avuto il tempo e il modo per pianificare e organizzare una difesa che potesse – a suo dire – gestire un tale scenario. Insomma, i due elementi di base per l’azione israeliana sono un terreno estremamente complicato e un nemico in attesa e ben preparato a quello che accadrà. Queste sono le premesse per una guerra dura e probabilmente non breve. L’obiettivo? Al di là delle dichiarazioni del primo ministro israeliano l’obiettivo potrebbe non essere quello di eradicare completamente Hamas, ma di certo depotenziarla al punto tale di renderne impossibili nuove azioni almeno per i prossimi 5 o 6 anni.
Cosa sta accadendo sul terreno in questi giorni?
Da giorni Israele sta creando le condizioni per immettere a Gaza nord un numero sufficiente di truppe che possano rimanere nella Striscia per un tempo abbastanza lungo. Questo tempo sarà dedicato principalmente alla ricerca e distruzione della rete dei tunnel sotterranei e secondariamente, alla ricerca degli ostaggi e alla cattura o eliminazione dei militanti di Hamas. Per svolgere una simile missione è però indispensabile che i reparti dell’esercito di Israele rimangano nella Striscia per non dar modo ai difensori di spostarsi al suo interno, di riorganizzare nuove posizioni difensive o anche, semplicemente, di mettersi in salvo, magari mescolandosi al flusso dei profughi verso il sud della Striscia. A tale scopo nei giorni precedenti l'IDF ha mandato in avanscoperta il genio militare, supportato da reparti di fanteria e carri. Il Genio con ruspe corazzate ha provveduto a sgomberare dalle macerie i principali itinerari che serviranno al grosso della forza di attacco. Non solo, lungo queste direttrici ha provveduto anche alla bonifica da mine, trappole esplosive ed altri ordigni improvvisati. Si stanno quindi aprendo delle strade per così dire “sicure” da far utilizzare al grosso della forza di attacco che avrà probabilmente di prendere e mantenere fino a nuovo ordine i punti chiave di questa zona di combattimento. Da qui potranno poi patire le azioni di ricerca e distruzione finalizzate alla neutralizzazione della rete logistica e di comando di Hamas, che è tutta sotterranea.
Per quale motivo l'operazione di terra è stata preceduta da tre settimane di bombardamenti a tappeto della Striscia di Gaza?
Con quei raid Israele ha raggiunto due scopi: innanzitutto colpire i cosiddetti "obiettivi registrati", cioè luoghi militarmente sensibili già noti a Israele attraverso la quotidiana attività di intelligence. In alcuni punti particolari abbattere un palazzo può anche servire ad evitare che lì si piazzino, ad esempio, cinquanta guerriglieri con armi controcarro in grado di rallentare l'avanzata delle truppe per giorni.
Quindi siamo ancora in una fase preliminare e propedeutica rispetto all'attacco di terra vero e proprio?
Siamo all'inizio di quella fase. Ma prima di far entrare il grosso delle truppe c'è bisogno di mettere il più possibile in sicurezza le vie di collegamento che uomini e mezzi dovranno percorrere per svolgere le loro operazioni, che consisteranno nella distruzione di tunnel e depositi di armi e – secondariamente – nell'uccisione dei leader di Hamas. In questo quadro a Israele converrebbe ripristinare le forniture di acqua per gli sfollati palestinesi e aumentare il flusso di aiuti umanitari. Insomma, deve cercare di tenere a bada la popolazione, nei limiti del possibile, per non avere due nemici da affrontare: Hamas a nord, e i civili ridotti alla fame a sud. Ma questo, visto il livello di indignazione in cui vive oggi Israele, è tutto da vedere.
Nel frattempo l’aviazione americana sta colpendo alcune postazioni filo-iraniane in Siria. Come mai? È un messaggio che si vuole lanciare agli alleati di Hamas, Hezbollah e Iran?
La notizia è passata in sordina, ma negli ultimi giorni alcune basi americane in Medio oriente hanno subito una serie di attacchi da milizie filo-iraniane e una ventina di militari statunitensi sono rimasti feriti, sebbene in modo non grave. Inoltre è necessario parlare di Hezbollah: sulla carta l'organizzazione libanese è immensamente più armata e addestrata di Hamas, ma vive in realtà un periodo di grande difficoltà dopo l'esplosione del porto di Beirut del 2020 e in genere il quasi collasso dello stato libanese. USA e Israele vogliono mettergli "i piedi in testa", ma tengono a far comprendere loro che non accetteranno la loro pesante intromissione nella disputa in atto: possono cioè tollerare il lancio di qualche razzo, capiscono anche che sono azioni che Hezbollah deve compiere per salvare la faccia essendo sostenuto e armato dall'Iran, ma hanno posto loro una linea rossa superata la quale la reazione sarà molto più violenta. Il messaggio che Washington e Tel Aviv stanno lanciando è chiaro: "Capiamo che dovete lanciare dei razzi per ‘policy interna', e finché lo farete la nostra risposta sarà proporzionata, ma vi sconsigliamo di alzare il livello dello scontro".
E poi c'è l'Iran…
Che però deve gestire una rivolta interna da ormai più di un anno. Non penso che Teheran voglia davvero imbarcarsi in una guerra contro Israele e Stati Uniti, e d'altronde l'Iran non prende parte a un conflitto dal 1988. Ricordo che il loro obiettivo strategico militare ma soprattutto politico è molto preciso: dotarsi della bomba atomica, diventare quindi una potenza nucleare regionale il che consentirebbe a Teheran di avere tutt’altro peso non solo nello scacchiere Mediorientale e della Mezzaluna Fertile ma anche nel resto del mondo. Non è detto però che ci riescano, comunque tutto ciò che può perturbare questo processo di lungo termine non conviene a Teheran, checché ne dicano i leader di quel Paese.
Qual è invece la "linea rossa" che invece Israele non deve superare se non vuole scatenare una violenta reazione in tutto il Medio Oriente?
La linea rossa l'ha dettata Biden nelle scorse settimane: evitare che la risposta militare arrivi al punto tale da destabilizzare l’intera area. Malgrado da più parti l’informazione sembra porre l’accento su altro, Israele fino ad ora si è uniformato a questo avvertimento, anche quando colpisce duramente all’interno della Striscia. Mi riferisco, ad esempio, al paventato prossimo bombardamento dell'ospedale Al Shifa di Gaza: nel nostro Paese una simile decisione viene spesso presentata come un crimine di guerra, e forse potrebbe esserlo, ma non si può omettere di aggiungere che gli articoli 18 e 19 della Quarta Convenzione di Ginevra, firmata da Israele nel 1951, prevedono certo che gli ospedali e i luoghi di cura siano sempre preservati dalla aziono di guerra, a patto che nessuna delle due parti li utilizzi a fini militari. Posizionare sotto un ospedale depositi di munizioni, officine per la riparazione di armi, posti comando, centrali di comunicazioni li rende automaticamente luoghi non più protetti. A chi intende colpirli spetta l’obbligo di avvisare delle sue intenzioni dando il tempo al personale sanitario e ai pazienti di evacuare. C’è da domandarsi forse perché Hamas abbia scelto proprio gli ospedali come basi per la propria attività bellica che ricordo prosegue con il lancio quotidiano di decine e decine di razzi contro Israele. Il fatto che il sistema di difesa aerea Iron Dome ne intercetti la maggior parte – ma non tutti – non rende questo bombardamento meno grave.
Se vogliamo trovare una linea rossa nell’azione di Israele dobbiamo forse guardare ai territori palestinesi occupati della Cisgiordania. Qui da giorni i coloni israeliani – che secondo l’ONU e il diritto internazionale nonché in violazione degli accordi di Oslo, occupano parti di quel territorio – stanno esercitando violenza contro la popolazione palestinese, arrivando anche all’uso delle armi da fuoco. Ritengo che tollerare questo sia un grave errore e che Tel Aviv debba ora tenere a bada i suoi estremisti, soprattutto quelli di Cisgiordania perché se si accende anche quel lato della Palestina i problemi possono diventare davvero seri. L'esercito israeliano sarebbe infatti chiamato contemporaneamente a combattere a Gaza, tenere d'occhio il confine libanese e affrontare una guerra in West Bank, un territorio molto più vasto di Gaza e che comprende anche Gerusalemme. Al momento la situazione sembra essere sotto controllo, però è chiaro che se i coloni continueranno a sparare ai contadini palestinesi intenti a raccogliere olive prima o poi la reazione ci sarà, e sarà durissima.