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Opinioni
Guerra in Ucraina

Perché il ricatto del grano è l’arma più potente in mano a Putin (ed è puntata contro di noi)

I 22 milioni di tonnellate di grano ferme a Odessa sono il ricatto perfetto di Putin contro l’Europa. Perché affamano i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. E possono provocare un’ondata migratoria in grado di destabilizzare il quadro politico europeo. A partire dall’Italia.
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22 milioni di tonnellate sono una cifra difficile da quantificare. Più o meno, immaginateveli come una fila di 500mila autotreni. O se preferite una coda di camion lunga 9000 chilometri. In linea d’aria, poco più della distanza tra Milano e Pechino.

Ecco: più o meno è questa la quantità di cereali ferma nel porto di Odessa, bloccata dall’embargo navale imposto dalle navi militari russe nel mar Nero. Embargo che non è stato annunciato dal presidente russo quanto quello dell’energia dall’Occidente. Ma che lui ha messo in pratica, a differenza nostra.

L’effetto di questo embargo non ci colpisce direttamente. I nostri principali fornitori di grano sono la Francia, il Canada e l’Ungheria. A differenza di quanto accade con l’energia, dove quasi la metà del nostro fabbisogno dipende dalle fonti fossili russe, la nostra dieta a base di pane, pasta e pizza non sembra essere a rischio.

Questo non vuol dire però che l’embargo del grano non sia un cinico ricatto di Putin verso l’Occidente. Anzi, a ben vedere è la minaccia più violenta che lo zar di Mosca ha in mano per mettere pressioni alle democrazie europee. Per capirlo, basta vedere dove andrebbero a finire quei 22 milioni di tonnellate di grano, se non fossero bloccati a Odessa.

A dircelo è il World Food Program: Il primo importatore di grano ucraino è l'Egitto, poi ci sono i Paesi dell'Africa Subsahariana , poi la Turchia, poi il resto dei Paesi di Medio Oriente e il nord Africa. A seguire, arrivano Pakistan, Bangladesh, Indonesia e Libano. Un altro dato, per completare il quadro: i Paesi del nord Africa, complessivamente, dipendono per il 90% del loro fabbisogno, dal grano russo e ucraino.

Un proseguimento della guerra e del blocco anche solo per pochi mesi, vorrebbe dire carestia per molti di questi Paesi, perché altre fonti di approvvigionamento di simili quantità di grano non ne esistono, perlomeno a breve: l’India ha già annunciato che non esporterò quote aggiuntive del grano prodotto, per paura di finire senza a sua volta. E l’Australia, che ha annunciato proprio la scorsa settimana un raccolto record, ha dichiarato che tutta la produzione in eccedenza è stata venduta, e non ce n’è per i Paesi rimasti orfani del grano ucraino.

Eccolo, il ricatto di Putin all’Europa, che poi è sempre il solito: destabilizzare il Vecchio Continente con la minaccia di una crescente pressione migratoria. Una pressione duplice, in questo caso: da est, con milioni di rifugiati ucraini in fuga dalla guerra. E da sud, con milioni di migranti nord africani in fuga dalla fame.

Quanto questo possa destabilizzare il quadro politico europeo lo sappiamo bene, e l’abbiamo visto con l’afflusso dei profughi siriani in fuga dalla guerra nel 2015. Tutti gli exploit delle destre sovraniste nel ciclo politico che va dal 2016 al 2019, che inizia con la Brexit e si conclude con il trionfo di Salvini alle elezioni europee è figlio di quel sommovimento tellurico. Che molte di quelle destre, peraltro, fossero legate a doppio filo con la Russia – dall’Italia alla Francia, dall’Austria all’Ungheria – è un dettaglio non irrilevante di questa strategia di destabilizzazione.

Chi è al governo in Europa sa bene quel che può succedere, e non serve scomodare gli anni venti del secolo scorso. Con una pandemia alle spalle e una crisi economica alle porte, di cui già vediamo pesanti effetti sui prezzi, una forte ondata migratoria avrebbe un impatto fortissimo sull’opinione pubblica europea. Sufficiente per aumentare la percentuale di elettori favorevole a concedere a Putin quel che vuole pur dei far finire la guerra. O per mandare al governo partiti che abbiano questa volontà -e magari pure parole d’ordine tipo “chiudere i porti” e “prima gli italiani”-  al governo.

Ecco perché Putin si dice pronto a revocare il blocco se l'Occidente revocherà le sue sanzioni. Ecco spiegate le telefonate di Draghi a Putin dei giorni scorsi, e le proposte di piani di pace italiani, e le frenate della Germania e della Francia sul fronte degli aiuti militari. E ancora, più in generale, il gelo calato tra Europa e Ucraina, più volte denunciato da un sempre più infastidito Zelensky, delle ultime settimane. Di fronte al ricatto del grano, tutta la retorica della resistenza degli indomiti ucraini e dell’Europa che lotta con loro sino alla vittoria si scioglie come neve al sole. Così come tutta la sicumera di aver messo sotto scacco Putin con sanzioni che alla prova dei fatti stanno indebolendo più noi che la sua leadership.

Fino a prova contraria, per il momento, ad averci messo sotto scacco è lui. Affinché non sia matto, ci sono due soluzioni. Far finire la guerra in fretta, con una vittoria ucraina. O convincere Zelensky a sedersi ora al tavolo delle trattative. Il tempo non è un nostro alleato. Questo almeno dovremmo averlo capito.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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