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Perché il Papa non ha nominato cardinali i vescovi di Milano, Venezia, Torino, Bologna e Palermo

Nell’elenco dei nuovi ‘principi della Chiesa’ nominati dal Papa ed annunciato ieri mancano i pastori di alcune delle più importanti diocesi italiane e monta la polemica. Negli anni Bergoglio ha ridimensionato la presenza degli italiani nel collegio cardinalizio: se si tenesse domani un conclave, sarebbero appena 20 su 115.
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L’arcidiocesi di Milano è la più popolosa del mondo, ma il suo pastore non è cardinale. Ugualmente, i vescovi che guidano storiche sedi cardinalizie italiane, cioè Venezia, Torino, Bologna, Palermo, non sono cardinali. Ha destato scalpore, infatti, la scelta di papa Francesco di escludere queste sedi dal prossimo concistoro, che si terrà il prossimo 29 giugno a Roma. Si tratta di diocesi che, nella storia della Chiesa, hanno da secoli il diritto non scritto a veder diventare cardinale il proprio vescovo. Papa Francesco, come spesso ha fatto vedere in questi anni, ha così stravolto un’altra regola.

Ieri il Papa ha nominato cardinale il vescovo dell’Aquila (Giuseppe Petrocchi), negli scorsi anni era toccato a pastori di diocesi abbastanza piccole e comunque marginali nella storia della Chiesa, come Perugia (Gualtiero Bassetti) e Cassano allo Ionio (Nunzio Galantino, diventato nel tempo uno degli alti prelati più stretti al pontefice). L’onore della berretta rossa, invece, non è toccato a pastori che guidano diocesi strategiche, a cominciare da Mario Delpini, da alcuni mesi a capo della diocesi meneghina dopo le dimissioni per raggiunti limiti di età di Angelo Scola: nel clero locale milanese la scelta ha destato sconcerto, anche perché è invece diventato cardinale Angelo De Donatis, che guida da vicario la diocesi di Roma, nominato proprio insieme a Delpini.

Perdono un altro giro anche altri vescovi di primissimo piano nella Chiesa italiana. Il caso più incredibile è quello del patriarca di Venezia Francesco Moraglia: parliamo di una arcidiocesi che nel secolo scorso ha espresso ben tre papi, Pio X (Giovanni Sarto), Giovanni XXIII (Angelo Roncalli) e Giovanni Paolo I (Albino Luciani). Niente da fare neppure per Torino, diocesi in cui si trova la Sacra Sindone: ormai sembra che Cesare Nosiglia non diventerà mai cardinale.

A Bologna e Palermo, altre due storiche sedi cardinalizie italiane, ci sono due vescovi molto stimati da Francesco, due ex parroci senza precedenze esperienze episcopali e fortemente voluti da lui alla guida di diocesi di primo piano: Matteo Zuppi e Corrado Lorefice. Nonostante tanta stima, anche loro sono rimasti a bocca asciutta. Magari per loro se ne parlerà in un prossimo concistoro. Insieme a Petrocchi e De Donatis sarà cardinale monsignor Angelo Becciu, considerato l’eminenza grigia del Papa e suo collaboratore più ascoltato.

Dalle nomine effettuate negli anni da papa Francesco emerge chiaramente la sua volontà di creare un collegio cardinalizio quanto più internazionale possibile: in questo senso va letto l’abbattimento del numero dei prelati italiani, che per secoli sono stati la maggioranza assoluta. Nel 2013, all’elezione di Bergoglio gli italiani elettori, quelli che, cioè, possono votare ad un conclave, erano 28; oggi sono appena 20 su 115.

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