Kabul riparte talebana con una certezza: gli Stati Uniti conoscono il secondo Emirato dell’Afghanistan molto meglio del primo. Ci hanno combattuto per vent’anni avendo avuto a che fare con molte correnti del movimento radicale islamico, sanno chi sono i capi e a chi fanno riferimento. Le lunghe trattative di Doha hanno portato in Qatar i leader politici e religiosi ma anche diversi capi militari regionali che hanno fatto sentire tutto il loro peso durante i negoziati. In questo i talebani sono cambiati: il movimento era soprattutto – e lo è ancora – formato da pashtun, la maggioranza della popolazione, ma ha saputo stringere alleanze, anche di comodo, oltre le tradizionali divisioni etniche e settarie del Paese. Altrimenti non l'avrebbero conquistato in poche settimane.
A partire dal Mullah Baradar, il vice dell’emiro e capo supremo Mullah Akhunzhada. È il volto della diplomazia talebana, colui che davanti alle telecamere strinse la mano al precedente segretario di stato Usa Pompeo: Baradar, con una certa ironia, si potrebbe definire una “creatura” americana: era stato arrestato nel 2010 nel Pakistan meridionale dove è rimasto dietro le sbarre per otto anni fino a quando è stato scarcerato proprio su richiesta americana. Insomma Baradar per anni è stato nelle mani di Islamabad ma ovviamente anche degli americani e della Cia altrimenti non lo avrebbero scelto come controparte nei negoziati. Baradar ha i tratti del moderato e del politico accorto. Prima di finire in carcere era stato lui l’autore di un codice di comportamento dei combattenti talebani a quali si chiedeva di evitare di colpire, in attentati e azioni militari, la popolazione civile innocente.
Al contrario del primo Emirato dove i capi viaggiavano fuori del Paese poco o nulla, l’Ufficio talebano in Qatar è diventato in questi anni il crocevia di fitte relazioni diplomatiche e di incontri dentro e fuori la monarchia qatariota. Sono noti i recenti accordi raggiunti dai talebani afghani con Russia, Cina e Iran ma i contatti sono stati frequenti anche con la Turchia che insieme all’Iran sono i due principali sponsor mediorientali del Qatar. A Doha i turchi hanno una base militare, rafforzata durante la crisi tra il Qatar, l’Arabia saudita e le altre monarchie del Golfo. Mentre sono ben noti gli stretti rapporti politici ed economici tra Teheran e Doha che tra l’altro sono soci nello sfruttamento dei giacimenti di gas nel Golfo. Non è un caso che tutti questi Paesi abbiano tenuto aperto le loro ambasciate a Kabul e non abbiano fatto evacuazioni dalla capitale afghana. Insieme ovviamente al Pakistan che è bene ricordarlo è sempre stato il principale sponsor degli studenti coranici: fu il governo di Benazir Bhutto, poi assassinata in un attentato ne 2008, a dare la spinta maggiore alla loro ascesa.
Ma veniamo al sodo. L’Emirato ha davanti due priorità. La prima è assicurarsi il pieno controllo del territorio e per questo deve rimettere in piedi al più presto la macchina sgangherata dello stato afghano: dalla polizia ai funzionari, agli impiegati. E dovrà pagarli. Da qui proviene la seconda necessità fondamentale: riempire le casse. I talebani dovranno dimostrare di dare stabilità, sicurezza e soddisfare le pance degli afghani che vivono in media come un dollaro e mezzo al giorno. Nel primo Emirato non esistevano auto e neppure benzina, a Kabul si andava in giro in bicicletta. Quindi i talebani avranno bisogno di soldi, per la gestione e le infrastrutture, che finora provenivano soprattutto con gli aiuti e le donazioni di Stati Uniti ed Europa.
Chi sostituisce i donatori occidentali? Il principale candidato è la Cina che ha già interessi minerari nel Paese e può cooptare l’Afghanistan nei progetti della Via della Seta, come ha già fatto con dozzine di miliardi in Pakistan ma anche in Iran. Certo anche i russi vorranno far sentire la loro influenza, così come gli iraniani e i turchi. E ovviamente anche i Paesi arabi del Golfo, dagli Emirati – che è già il principale partner commerciale – al Qatar, all’Arabia saudita.
Tutto questo non vuole dire che avremo un secondo Emirato più moderato rispetto al primo: i metodi per applicare la sharia non cambieranno, così come resteranno le relazioni con il jihadismo internazionale. Forse sarà soltanto un Emirato più pragmatico.