Perché il lockdown a Shanghai sta mandando in crisi il commercio online
Lo scorso 27 marzo le autorità di Shanghai hanno imposto ai circa 26 milioni di abitanti della più grande città cinese un nuovo lockdown totale nell'ambito della strategia "Covid zero" perseguita da Pechino: test di massa sulla popolazione avevano infatti rivelato infezioni "su larga scala", con il rischio concreto che a causa di Omicron i contagi si estendessero oltre la soglia di guardia in un Paese che, stando ai dati ufficiali, ha subito meno di molti altri le conseguenze della pandemia in termini di vite umane. Da un mese esatto a questa parte milioni di persone sono dunque bloccate in case, hotel o altre strutture appositamente adibite, con conseguenze che a cascata si sono ripercosse su tutto il mondo produttivo e sull'organizzazione logistica, in particolare quella del porto di Shanghai, uno degli scali più importanti del mondo: qui, da settimane, si sono accumulati importanti ritardi nello scarico e nel carico delle merci sulle navi container.
I dati non fanno ben sperare: secondo la società di analisi marittima Windward , il 20% delle circa 9.000 navi portacontainer attive nel mondo si trovano attualmente in ingorghi fuori da porti congestionati. Quasi il 30% di questo arretrato è localizzato in Cina. Sempre secondo Windward i lockdown cinesi, iniziati a metà marzo, hanno quasi raddoppiato il numero di navi portacontainer che navigano al largo delle coste del Paese. Al 19 aprile, Windward ha registrato 506 navi in attesa di spazio per l'ormeggio nei moli cinesi, in aumento del 195% rispetto alle 260 ferme al largo a febbraio.
Pechino ha più volte tentato di rassicurare che i ritardi sarebbero stati contenuti, visto che migliaia di lavoratori avrebbero potuto operare in sicurezza vivendo in "bolle" isolate dal resto della popolazione per scongiurare nuovi focolai. La realtà, tuttavia, sembra essere ben diversa. Ma quali potrebbero essere le conseguenze per noi? E quando si sbloccherà la situazione? Fanpage.it l'ha chiesto al professor Paolo Giaccaria, docente di geografia economico-politica presso l’Università di Torino.
La congestione di navi nel porto di Shanghai può avere conseguenze per le nostre catene di approvvigionamento?
Sì, anche se non è ben chiaro cosa sia bloccato e cosa invece sia in viaggio a causa della forte opacità da parte del governo cinese, che sta minimizzando fortemente il problema. Di certo si rischia un effetto domino esponenziale: se cargo e container sono bloccati nel porto di Shanghai, significa che sono indisponibili a caricare altre merci nei magazzini di altre fabbriche in giro per il mondo. Chiaramente ciò che sta avvenendo è la conseguenza del nuovo lockdown a Shanghai e all'emergenza Omicron in Cina: ciò rende difficile far funzionare in maniera fluida il porto e l'intera catena logistica alle spalle, ovvero l'arrivo dei container, l'approvvigionamento, il porto fluviale e tutto ciò che ne consegue. E questo è un tema molto serio, in un mondo abituato al "just in time", cioè a prodotti che vengono ordinati e consegnati nel giro di pochi giorni. Ecco, questa è anche un'occasione per riflettere sull'immaginario del tempo, oltre che dello spazio.
Cosa intende?
Siamo abituati a un immaginario di tempo reale e iper connessione, mentre in realtà vi è uno scarto temporale di 30-50 giorni tra la produzione di una merce e il suo arrivo al consumatore finale. In questo quadro il blocco delle navi al porto di Shanghai rappresenta una novità: sappiamo che Amazon può consegnare in tutto il mondo in 24 ore, ma in verità la catena logistica ha tempi diversi, ben più lunghi, e un intoppo qualsiasi compromesse la fluidità dell'intero processo.
È possibile stimare quando si tornerà alla cosiddetta "normalità"?
Impossibile saperlo con certezza. Ritengo che dipenda in gran parte dalle autorità cinesi e dalla loro capacità di tenere insieme la politica Covid Zero con le necessità delle catene di commercio globali. Credo che le preoccupazioni di Pechino dipendano anche dall'inferiore efficacia dei vaccini cinesi, dalla loro diffusione non capillare nel Paese e dal timore di nuove gravi ondate; è soprattutto per questo che in Cina si insiste con i lockdown mentre da noi sembra che la pandemia sia finita. Quindi no, non sappiamo quando le merci potranno tornare a circolare a ritmi "normali" e credo che gli stessi operatori economici navighino al buio: le autorità cinesi anche in questo caso non brillano per trasparenza e non forniscono dati che permettano di fare delle stime corrette, o investire su delle valide alternative.
In questo quadro che ruolo ricoprono la guerra in Ucraina e le crescenti tensioni internazionali?
Si tratta di circuiti differenti. Dal punto di vista dei commerci è stato bloccato il Mar Nero e ciò determinerà seri problemi di approvvigionamento di grano e cereali per molti Paesi in via di sviluppo che dipendono fortemente dalle esportazioni da Russia e Ucraina.