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Guerra in Ucraina

Perché il fronte russo è crollato così improvvisamente a Kharkiv

L’attesa controffensiva dell’Ucraina contro i russi alla fine è arrivata davvero: combattimenti nelle ultime ore nella regione di Kharkiv, occupata dall’esercito di Mosca a inizio marzo. Ma come è stato possibile tutto questo?
A cura di Daniele Angrisani
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Alla fine, è successo davvero. La attesa controffensiva ucraina è davvero iniziata, anche se dall’altra parte del Paese rispetto a dove la si attendeva: vale a dire nella regione di Kharkiv, occupata dai russi ad inizio marzo e dalla quale, secondo il piano originale di Mosca, sarebbe dovuto partire il grande attacco per accerchiare alle spalle il gruppo di armate ucraine nel Donbass.

Di questa offensiva, alla fine, non vi è mai stata traccia. Invece è arrivato a distanza di mesi il turno degli ucraini, che hanno macinato in pochi giorni decine di km per liberare territori con una velocità mai vista dopo i primissimi giorni di guerra, quando sembrava che l’avanzata russa fosse inarrestabile.

Praticamente tutti sono stati presi alla sprovvista di fronte al collasso repentino del fronte russo di Kharkiv, e chi dice il contrario mente. Ma come è stato possibile tutto questo? Cerchiamo di capirlo assieme.

Le premesse della controffensiva

Prima di questa settimana, ad eccezione della regione di Kherson (ne parleremo più dettagliatamente a breve), la situazione era in stallo praticamente su tutti i fronti. Dopo la caduta delle due città gemelle di Severodonetsk e Lysychansk ad inizio luglio nelle mani russe, non si sono verificate infatti più offensive di rilievo da parte russa.

Questo stallo è stato dovuto sostanzialmente a tre motivazioni.

In primo luogo, dalle alte perdite subite dai russi nella lenta e sanguinosa offensiva nella regione di Luhansk, partita a metà marzo, che hanno obbligato i russi stessi a dichiarare una pausa operativa subito dopo la conquista di Lysychansk. Poi, dalla capacità ucraina di riuscire a ritirare con successo le proprie truppe, evitando che venissero intrappolate, e successivamente di mettere in piedi nuove linee difensive fortificate tra Bakhmut e Seversk in poco tempo, approfittando della pausa operativa. Infine, dall'entrata in campo dei sistemi di lanciarazzi M142 High Mobility Artillery Rocket System (HIMARS) americani, che hanno permesso agli ucraini di rivoluzionare la situazione sul campo, togliendo ai russi uno dei loro principali vantaggi, ovvero quello dell’artiglieria.

In che modo gli HIMARS siano riusciti in questo, l’ho spiegato in dettaglio in alcuni dei miei precedenti articoli. In estrema sintesi, comunque, tutto dipende dal modo in cui i russi hanno gestito la logistica prima di allora.

Per consentire un costante afflusso di munizioni di artiglieria al fronte, il comando russo si era basato infatti su una serie di depositi di munizioni abbastanza vicini al fronte, ma non tanto da essere sotto la gittata diretta dell’artiglieria nemica.

Da questi depositi, ogni giorno partivano camion con le munizioni per arrivare diretti al fronte e rifornire le batterie di artiglieria russe che sono state il vero asso nella manica dei russi durante la battaglia del Donbass. L’arrivo degli HIMARS (con i missili GMLRS a guida satellitare che hanno una gittata massima di 80km) ha cambiato totalmente questo paradigma.

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Anzitutto, gli ucraini grazie agli HIMARS sono stati in grado di distruggere decine di depositi di munizioni in pochi giorni, riducendo così immediatamente la capacità di rifornimento delle truppe al fronte. Ma soprattutto hanno costretto il comando russo a spostare più nelle retrovie (oltre 85km di distanza) i nuovi depositi di munizioni, riducendo così la velocità dei rifornimenti al fronte ed aumentandone contemporaneamente i rischi.

Tutto ciò ha avuto come ovvia conseguenza quella di rallentare drammaticamente le operazioni offensive russe (che si basavano principalmente sulla superiorità in termini di artiglieria). Il risultato è stato sostanzialmente lo stallo dei fronti di guerra che andava avanti sostanzialmente da due mesi.

Kherson: il successo della disinformazione ucraina

L’uso degli HIMARS ha avuto anche un altro importante effetto: quello di consentire di tagliare direttamente le vie di rifornimento russe nei salienti più complessi da difendere. Tra questi, in particolare, c’è la regione di Kherson, la cui peculiarità geografica è quella di essere l’unica testa di ponte sulla riva occidentale del Dnjepr occupata dai russi.

In quanto tale, le uniche vie di rifornimento di questa regione passano attraverso 3 ponti che permettono di attraversare il fiume in diverse zone della regione: a nord vicino alla diga di Nova Khakovka e più a sud vicino Kherson, il ponte Antonovksky ed un vicino ponte ferroviario.

Da metà luglio, continuando fino a questi giorni, gli ucraini hanno iniziato a bombardare senza sosta questi ponti con i propri HIMARS fino a renderli praticamente inagibili – ed anzi il ponte di Nova Khakovka è alla fine completamente crollato a causa degli impatti dei razzi GMLRS ucraini.

Il comando russo è stato quindi obbligato a cambiare in itinere la strategia per il rifornimento delle proprie truppe nella regione di Kherson, usando maggiormente pontoni e traghetti. Ma anche questi sono stati ripetutamente soggetti ai bombardamenti dell’artiglieria ucraina.

La strategia usata dagli ucraini lasciava chiaramente intendere che il comando delle forze di Kyiv volesse approfittare della situazione per lanciare una offensiva nella regione, sfruttando la dipendenza delle forze russe da questi attraversamenti per i propri rifornimenti.

Questa intenzione è stata poi ribadita a chiare lettere anche dai funzionari governativi ucraini, come ad esempio nella mattinata del 9 luglio, quando hanno iniziato a esortare i residenti della regione ad evacuare le loro case a causa “dell'imminente controffensiva ucraina”.

Ciò nonostante, per l’inizio dell’offensiva vera e propria si è dovuto attendere fino al 29 agosto, quando è stato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in prima persona ad annunciare durante il suo consueto messaggio serale l'inizio di una controffensiva su larga scala per riprendere il territorio occupato dalla Russia nel sud del Paese.

Il governo e l'esercito ucraino hanno subito imposto una stretta censura sui risultati di questa offensiva, anche se funzionari ucraini sotto anonimato, così come giornalisti occidentali e alcuni milblogger russi, hanno riferito che le truppe ucraine avevano nelle prime ore catturato diversi insediamenti a nord e a nord-ovest di Kherson, in particolare in una testa di ponte attraverso il fiume Inhulets.

Vista la minaccia crescente, il giorno dopo, la Russia ha iniziato a spostare un numero sempre più grande di truppe e mezzi militari verso la linea del fronte di Kherson per contrastare l'offensiva ucraina. In risposta, l'Ucraina ha intensificato gli attacchi ai punti di concentrazione russi, ai depositi di munizioni, ai ponti e ad altri obiettivi.

Dopo qualche giorno, comunque, l’euforia iniziale è scemata ed è sembrato evidente ai più che l’avanzata ucraina fosse in realtà molto lenta ed ogni avanzamento fosse ottenuto a duro prezzo a causa della tenace resistenza opposta dai russi.

Sui quotidiani occidentali sono iniziate ad apparire anche le prime notizie di decine di soldati ucraini ricoverati, alcuni in gravi condizioni, per le ferite subite nel corso della sanguinosa offensiva.

Intervistati, molti di loro hanno dipinto un quadro gramo della situazione: soldati sottoposti ad attacchi di artiglieria senza pietà da parte russa e costretti ad espedienti a causa della mancanza dei mezzi necessari per portare velocemente a termine l’offensiva.

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Eppure, praticamente tutti continuavano ad esprimere (ove possibile) la voglia di tornare a combattere il prima possibile e di ritenere inevitabile la vittoria finale dell’Ucraina.

Anche il consigliere presidenziale Oleksiy Arestovych aveva lasciato intendere a questo punto che l'offensiva sarebbe stata "un'operazione lenta per schiacciare il nemico", non una campagna rapida e massiccia come inizialmente ci si attendeva.

In realtà, come si è scoperto dopo, la tanto pubblicizzata offensiva ucraina nel sud del Paese è stata, in buona parte, una campagna di disinformazione per distrarre la Russia da una altra offensiva che si stava preparando all’insaputa di tutti nella regione di Kharkiv.

“L'agitazione mediatica intorno all'offensiva al sud è stata una campagna di disinformazione coordinata dall'Ucraina, rivolta alle forze russe, che si è sviluppata per diversi mesi, per provocare, con successo, la Russia a trasferire attrezzature e personale sul fronte meridionale, spostandolo da altre regioni, inclusa quella di Kharkiv”.

"Nel frattempo i [nostri] ragazzi a Kharkiv hanno ricevuto le migliori armi occidentali a nostra disposizione, soprattutto quelle americane", ha ammesso Taras Berezovets, ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale ucraino, diventato ora portavoce della brigata Bohun delle forze speciali ucraine, in una intervista rilasciata al Guardian il 10 settembre.

Kharkiv: il blitzkrieg riuscito degli ucraini

Cosa abbiano fatto gli ucraini con queste armi, è presto detto. Il 6 settembre, dopo aver concentrato le proprie forze di nascosto a nord di Balakliya, una roccaforte russa, le truppe ucraine hanno lanciato una controffensiva nella regione di Kharkiv.

Le difese russe sono state prese completamente di sorpresa e non hanno avuto neppure il tempo di montare una seria difesa, che le truppe ucraine erano già penetrati in profondità.

Già dopo poche ore le Forze Armate ucraine avevano liberato Verbivka, a meno di 3 km a nord-ovest di Balakliya e da qui sono passate all’offensiva su più direzioni: Balakliya, Volokhiv Yar e Shevchenkove.

L’obiettivo ambizioso di questa offensiva era quello di raggiungere la città di Kupyansk, che si trova sulle rive del fiume Oskol, la capitale amministrativa della regione di Kharkiv occupata dai russi e snodo fondamentale delle vie di rifornimento russe in zona.

Occupare Kupyansk avrebbe significato, quindi, chiudere in un accerchiamento operativo il gruppo di 10 mila truppe russe (oltre quelle separatiste ed i mercenari) presenti ad Izyum da mesi.

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Nonostante l’ambizione di questo piano sembrasse fuori dalla portata dell’esercito di Kyiv, il 7 settembre le forze ucraine erano già avanzate di circa 20 km nel territorio occupato dai russi, liberando circa 400 km quadrati di territorio e raggiungendo posizioni a nord-est di Izyum senza trovare sostanzialmente opposizione.

Il giorno dopo, vale a dire l’8 settembre, gli ucraini erano penetrati ancora più in profondità, raggiungendo una distanza di 50 km dalla linea del fronte precedente l’offensiva. Contemporaneamente, hanno preso il controllo della città di Balakliya, già completamente accerchiata da due giorni, catturando centinaia di prigionieri e mezzi militari russi alcuni dei quali ancora in buono stato.

Si è trattato di una vittoria doppiamente significativa considerando il fatto che nelle vicinanze della città gli ucraini hanno preso il controllo del più grande deposito di munizioni russe della intera regione di Kharkiv abbandonato (ancora pieno di armi) di fretta e furia dalle truppe russe in fuga.

L’avanzata è continuata con maggiore velocità il 9 settembre, quando le truppe ucraine che hanno raggiunto la periferia di Kupyansk e preso il controllo la cittadina di Shevchenkove che si trovava sulla strada.

A questo punto la situazione è diventata oggettivamente complicata per i russi tanto da costringere per la prima volta il Ministero della Difesa russa ad ammettere difficoltà nella regione di Kharkiv e a pubblicare un video mostrante i rinforzi russi inviati sia via terra che mediante elicotteri a Kupyansk ed Izyum per rafforzare le difese delle due città.

Ma in realtà era già troppo tardi. Con un attacco HIMARS gli ucraini erano infatti già riusciti a danneggiare il  ponte stradale principale sul fiume Oskol, rendendo pressoché impossibile il rifornimento delle truppe russe che stavano cercando di impedire agli ucraini di entrare nella città di Kupyansk.

Per darvi una idea della velocità con la quale sono avvenute le cose, vi basti sapere che la sera del 9 l’Istituto americano per lo Studio della Guerra aveva dichiarato di ritenere probabile che Kupyansk cadesse nelle mani ucraine nelle successive 72 ore. In realtà già poche ore dopo, la mattina del 10 settembre, a Kupyansk sventolava la bandiera gialla e blu dopo il ritiro dei russi.

A renderlo noto per prima è stata una consigliera regionale di Kharkiv, Natalia Popova, che ha pubblicato su Facebook la foto dei soldati che tenevano una bandiera ucraina dinanzi al municipio cittadino, accompagnandola con la scritta: "Kupiansk è Ucraina. Gloria alle forze armate dell'Ucraina".

Contemporaneamente, un altro gruppo di soldati ucraini, dopo aver sfondato nei pressi di Balakliya, ha raggiunto a sua volta il fiume Oskol a sud di Kupyansk il 9 settembre, tagliando così tutte le vie di comunicazione tra le retrovie ed il raggruppamento russo vicino a Izyum, che aveva cercato senza successo di avanzare verso Slavyansk nel Donbass per diversi mesi.

Da questo momento in poi il fronte russo è completamente collassato, con i soldati che sono letteralmente scappati da molte zone prima dell’arrivo dei primi reparti dell’esercito ucraino.

In particolare, nelle ore immediatamente successive alla liberazione di Kupyansk anche Izyum è stata evacuata dalle forze russe e gli ucraini sono riusciti così a liberare questa città chiave praticamente senza colpo sparare. Separatamente, più ad est, le truppe ucraine hanno anche attraversato il fiume Seversky Donets, in cui affluisce l'Oskol, da dove hanno raggiunto la città di Lyman.

Insomma, quella che inizialmente sembrava una ritirata ordinata si è trasformata con il passare delle ore sempre più in una vera rotta, stile Caporetto.

Dietro di sé i russi hanno lasciato migliaia di prigionieri ed enormi quantità di mezzi militari, munizioni, in una fuga precipitosa che a tratti ha raggiunto aspetti comici, come nel video subito diventato virale di un tank russo che nel fuggifuggi generale è finito a sbattere direttamente su un albero.

Come ha dichiarato nella serata del 10 settembre il presidente, l’esercito ucraino ha in totale riconquistato più di 2.000 km quadrati di territorio e l’esercito russo ha “preso la scelta giusta” decidendo di lasciare la regione di Kharkiv.

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La reazione delle autorità russe alla catastrofe militare in atto è stata inizialmente quella di ignorare del tutto le notizie provenienti dalla regione di Kharkiv, con il presidente russo Vladimir Putin impegnato durante la giornata ad inaugurare ruote panoramiche e tenere discorsi per l’anniversario della nascita della città di Mosca.

Ma in serata anche il Ministero della Difesa russo ha dovuto alla fine ammettere che qualcosa non andava, sebbene usando queste particolari parole:

“Al fine di raggiungere gli obiettivi dichiarati dell'operazione militare speciale per la liberazione del Donbass, è stata presa la decisione di raggruppare (ritirare, ndr) le truppe russe nelle aree di Balakliya e Izyum per aumentare gli sforzi nell’area di Donetsk”.

La enorme differenza esistente tra la realtà sul campo e le parole ufficiali del Ministero è stata oggetto di pesantissime critiche da parte dei commentatori russi su Telegram sempre più dubbiosi nei confronti della fallimentare strategia russa.

Alcuni hanno espresso chiaramente la propria insoddisfazione di fronte a questa spiegazione, arrivando persino affermare che le autorità sovietiche erano state più oneste nel 1942 quando avevano dovuto annunciare a loro volta il ritiro delle truppe sovietiche di fronte all’avanzata nazista proprio a Kupyansk.

Altri hanno definito il Ministero della Difesa russo come il Ministero della Sconfitta russo e paragonato le notizie in arrivo dalla regione di Kharkiv alla sconfitta di Tsushima nella guerra russo-giapponese del 1905, che da lì a poco sarebbe finita proprio con la sconfitta russa.

Perché il fronte russo a Kharkiv è crollato così repentinamente?

L'attuale controffensiva rappresenta indubbiamente il cambiamento più rapido nella linea del fronte in Ucraina da quando le truppe russe hanno abbandonato l'assedio di Kyiv e sono state costrette a ritirarsi dalla capitale e dall'Ucraina settentrionale all'inizio di marzo.

Ma soprattutto rappresenta un momento di svolta nella guerra in quanto dimostra che gli ucraini, per la prima volta dall’inizio dell’invasione militare russa, hanno assunto l’iniziativa. Questo significa che sono diventati loro a dettare l’agenda ed i tempi della guerra e non intendono mollare a breve questo vantaggio.

Ma come è stato possibile tutto ciò? Ci sarà modo di discutere in dettaglio quanto successo in questi giorni nelle prossime settimane e mesi, con retroscena e analisi molto più dettagliate di questa, ma a caldo è già possibile fare alcune valutazioni.

L’elemento sorpresa

Anche grazie alla campagna di disinformazione accennata in precedenza, è stato possibile prendere totalmente alla sprovvista le forze russe che, almeno in questa zona, non si attendevano certo una controffensiva di queste dimensioni.

Il fatto che ciò sia stato possibile nel 2022, con tutte le capacità a disposizione degli eserciti per spiare i movimenti del nemico, è davvero degno di nota e merita una analisi a parte quando si verrà a conoscere maggiormente i retroscena che hanno portato a questa offensiva.

Per ora tutto ciò che si può fare è prendere atto di ciò che è successo: si è trattato indubbiamente di uno dei più grandi fallimenti della storia dell’intelligence militare russa che Mosca sta già pagando amaramente.

La mancanza di personale dei russi

Questo è un problema di cui si è parlato già più volte in precedenza. I russi non hanno abbastanza personale militare per controllare tutto il territorio in loro possesso in Ucraina. Il Cremlino lo sa benissimo, eppure non intende dichiarare la mobilitazione generale, l’unico modo per risolvere alla radice il problema.

Ciò significherebbe infatti assumersi rischi politici molto elevati — al momento i morti tra i soldati provengono in gran parte dalle zone più povere del Paese, mentre con la mobilitazione generale finirebbero per andare al fronte anche i figli delle famiglie delle grandi città, con il rischio di aumento del malumore popolare proprio dove conta maggiormente.

Come hanno affermato molti corrispondenti occidentali in estate, a prima vista Mosca non sembra proprio la capitale di un Paese in guerra. L’operazione militare in corso in Ucraina è lontana dalla mente dei cittadini della capitale, e questo è un elemento critico per il successo della politica del Cremlino, in quanto allontana il rischio di pericolose proteste di massa contro la guerra.

Di conseguenza la strategia di Putin per far fronte al problema è stata finora quella di effettuare una “mobilitazione ombra” creando battaglioni si volontari e soprattutto appoggiandosi come “carne da cannone” sui mercenari di PMC Wagner (reclutati anche nelle carceri) e sulle persone mobilitate a forza dai territori occupati dell’Ucraina.

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Ma proprio questa ultima cosa è stata una delle principali debolezze sfruttate dagli ucraini nella regione di Kharkiv: infatti buona parte delle truppe presenti sulla linea del fronte al momento dello sfondamento degli ucraini a nord di Balakliya era costituita proprio da personale mobilitato con la forza nelle Repubbliche separatiste.

Come già accaduto in precedenza in altre zone del Paese (ma su scala minore), queste truppe, poco motivate e per nulla abituate al combattimento in prima linea, non appena sono finite sotto il fuoco dell’artiglieria nemica hanno abbandonato la propria postazione senza pensarci due volte.

Il risultato di questa disastrosa scelta è stato il collasso pressoché immediato della prima linea che ha esposto il grosso delle truppe russe presenti in zona a pericolosi attacchi sui fianchi, costringendo quindi anche loro alla fuga precipitosa per salvarsi la vita.

Le diverse tattiche dei due comandi.

A guidare l’assalto ucraino nella regione di Kharkiv è stato il generale Oleksandr Syrskyi, già leggendario comandante della difesa di successo di Kyiv durante la prima fase della guerra a marzo. È stato lui ad avere l’idea dell’attacco verso Kupyansk nel tentativo di tagliare dai rifornimenti l’intero gruppo russo ad Izyum e cercare di ottenere il collasso dell’intero fronte.

Si è trattato indubbiamente di un piano ambizioso, ma allo stesso tempo ben progettato e perfettamente implementato, tanto è vero che si è dimostrato essere un clamoroso successo.

Di converso la tattica del comando russo è stata caratterizzata da un elevato tasso di incompetenza che ha impedito loro di rendersi conto velocemente di cosa stesse succedendo e cercare di tappare il buco creatosi, spostando velocemente delle riserve a copertura delle zone più vulnerabili prima che gli ucraini fossero in grado di penetrare così in profondità.

Si è trattato solo dell’ultimo di una lunga lista di errori commessi da parte dei comandanti militari russi, che si sono susseguiti durante tutto il corso dell’invasione russa e che probabilmente hanno già danneggiato in maniera irrecuperabile le chance russe di vittoria.

Le armi (e le sanzioni) occidentali

Il ruolo delle armi occidentali è stato sicuramente essenziale nell’ottenere questa vittoria. Tralasciando gli HIMARS, del cui ruolo chiave abbiamo già ampiamente parlato, occorre notare che in questa offensiva gli ucraini hanno usato (e soprattutto hanno dimostrato di farlo molto bene) mezzi ed armi fornite dagli occidentali negli ultimi mesi.

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Parliamo ad esempio di Humvee ed obici M777 di provenienza americana e di Panzerhaubitze 2000 forniti dalla Germania che sono stati visti in azione in diversi video pubblicati in questi giorni provenienti dalla regione di Kharkiv.

Come ha spiegato su Twitter il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak: "Cosa dice al mondo l'efficace controffensiva ucraina? Che l'Ucraina ha la capacità di riprendersi il territorio occupato e che non ci sarà un congelamento di questo conflitto". Soprattutto, l'Ucraina "ha dimostrato di poter utilizzare efficacemente le moderne armi occidentali" per ottenere questo risultato, ha affermato Podolyak.

Anche le sanzioni imposte dall’Occidente hanno avuto il loro effetto, seppure indiretto, sulla capacità militare russa. A causa di tali sanzioni, infatti, i russi hanno sempre maggiori problemi ad acquisire sia munizioni di artiglieria ed armi basilari, che missili di precisione e carri armati di ultima generazione.

Il risultato è che sono spesso i soldati russi sono costretti a combattere con equipaggiamento datato e questo non fa altro che peggiorare la loro già scarsa produttività militare sul campo di battaglia. Chiunque chiede di porre fine alle sanzioni o alla fornitura di armi militari occidentali a Kyiv dovrebbe tenere a mente tutto questo.

La motivazione

Ultimo aspetto, ma non per importanza, è quello della motivazione, fattore che è sempre fondamentale in guerra. Gli ucraini hanno motivazioni molto chiare per combattere e sopportare le sofferenze legate alla guerra: stanno difendendo il proprio Paese, la propria libertà e la propria indipendenza da chi li vuole annettere e nega la loro stessa esistenza come popolo separato dai russi.

La scoperta dei massacri dei civili a Bucha ed Irpin, così come i tanti crimini commessi dai soldati di Mosca dall’inizio di questa guerra non ha fatto altro che compattare il popolo ucraino dietro questa battaglia.

Le immagini di questi giorni mostrano come, anche in zone ad alta densità di popolazione russofona, i soldati ucraini siano stati accolti come liberatori da coloro che hanno dovuto subire mesi di dura occupazione russa e questa è forse la dimostrazione più evidente del fallimento strategico russo in questa guerra.

Sul web è inoltre sempre più facile vedere video di soldati ucraini che tornano dal fronte che vengono abbracciati dalle proprie mogli e madri che avevano paura di averli perduti per sempre, accompagnati dalla didascalia “ecco per cosa combattiamo”.

Ebbene, si può dire lo stesso dei russi? In che modo si può spiegare ai genitori o ai parenti di un soldato russo morto perché il proprio caro sia morto su terra straniera, per una guerra che viene combattuta in un Paese che avrebbero dovuto accoglierli come “liberatori dal nazismo” e che invece li odia sempre di più ogni giorno che passa?

La risposta a questa domanda renderà chiaro il motivo per cui molti soldati russi abbiano deciso di lasciare la propria postazione senza neppure cercare di controbattere di fronte all’avanzata ucraina.

Ed ora cosa può accadere?

La testa di ponte di Lyman creata negli ultimi giorni al di là del Seversky Donets potrebbe essere utilizzata dall'esercito ucraino (subito o in futuro) per raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi: un'offensiva in profondità per riconquistare le zone della regione di Luhansk perse a metà estate – a Svatove e Starobelsk od addirittura fino a Rubizhne e Severodonetsk.

Un'altra idea (meno ambiziosa) per l’esercito ucraino è quella di continuare a spingere le truppe russe fuori dalla regione di Kharkiv, spingendo da Kupyansk verso la vicina città di Volchansk e l’insediamento di Velyky Burluk che si trova vicino al confine russo-ucraino.

L'unica speranza del comando russo è che l'offensiva ucraina si esaurisca da sola più si allontana dalla base di partenza nei pressi di Chuguev, e che il Ministero della Difesa russo – grazie alle le riserve e le truppe ritirate dai pressi di Izyum – sia in grado di creare una solida linea difensiva sulla riva orientale dei fiumi Oskol e Seversky Donets.

A tal fine, nel breve termine, la Russia deve fermare a tutti i costi l'espansione della testa di ponte ucraina nei pressi di Lyman prima che si espanda troppo.

Allo stesso tempo, però, guardando più in là dell’immediato, esistono probabilmente molti altri punti deboli sul fronte che l’Ucraina potrebbe sfruttare come ha già fatto magistralmente nella regione di Kharkiv.

La Russia ha infatti troppe poche forze a disposizione in prima linea per controllare un fronte di migliaia di chilometri, e le riserve che l'Ucraina è riuscita ad accumulare durante l'estate non si sono affatto esaurite, così come le forniture delle armi occidentali necessarie per effettuare nuove offensive di questa portata.

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Il Ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov si dice perciò ottimista e ritiene che la guerra non durerà a lungo:

"Sono convinto che basta ancora qualche successo al fronte come vittorie certe, per quanto piccole, e le truppe russe fuggiranno… e lo faranno, credetemi, perché oggi stiamo distruggendo le loro catene logistiche, i magazzini e così via. E ci si chiederà: dove andranno? E il morale… sarà come una valanga: una linea di difesa dopo l'altra vacillerà e cadrà".

Reznikov aggiunge che i russi "non hanno morale, motivazioni per cui combattere". "Noi invece stiamo difendendo il nostro Paese, la nostra famiglia e la nostra terra, abbiamo una morale completamente diversa. Non abbiamo altra scelta, dobbiamo sopravvivere come nazione, popolo, Paese e popolo". Sono parole sacrosante.

Da parte sua, Mosca è sempre più in vicolo cieco. Le alternative per Putin a questo punto sono allo stesso tempo poche e pessime: la prima è quella che viene chiesta a gran voce dall’ala più dura dei nazionalisti russi su Telegram, ovvero la dichiarazione ufficiale di guerra all’Ucraina, con conseguente mobilitazione generale per mandare immediatamente al fronte centinaia di migliaia di coscritti (soldati di leva) e potenzialmente milioni di riservisti.

Questa soluzione, come abbiamo già visto, porrebbe serie controindicazioni dal punto di vista politico. Inoltre, non aiuterebbe a risolvere (ed anzi paradossalmente peggiorerebbe) il secondo grave problema che i russi hanno, ovvero la mancanza di munizioni ed armi moderne e di alta precisione.

La seconda alternativa – che apparentemente sembra essere al momento seguita dalle autorità russe – è quella di ritirarsi dalla regione di Kharkiv (e forse in futuro anche dalla regione di Kherson che resta altrettanto complicata da difendere) per dedicarsi a difendere il possibile sia nel Donbass che nelle zone occupate del sud dell’Ucraina.

Tutto questo per prendere tempo, sperando che nel frattempo la ‘fatica occidentale’ e la crisi energetica si facciano sentire, costringendo i Paesi occidentali a porre fine al proprio supporto per Kyiv (che ho già definito più volte come il vero “tallone di Achille per Kyiv”) e costringere l’Ucraina a scendere a patti alle condizioni di Mosca.

Infine, la terza soluzione, che il sottoscritto considera come più auspicabile ma allo stesso tempo anche la meno praticabile, è che i russi capiscano una volta per tutte che non hanno alcuna possibilità di vincere questa guerra, e pongano fine a questo insensato bagno di sangue ritirandosi dai territori occupati per aprire seri negoziati di pace.

Il punto è che questo sarebbe inaccettabile per Vladimir Putin, che ha messo in gioco il suo stesso futuro personale sull’andamento di questa guerra e non può più permettersi di fare marcia indietro pena la sua fine politica — e forse della stessa Federazione Russa come la conosciamo.

La verità è questa guerra è stata basata sin dall’inizio sulle menzogne, iniziando dal fatto stesso che i russi hanno invaso un Paese proclamando ufficialmente una “operazione militare speciale” per difendere le Repubbliche del Donbass da una presunta aggressione ucraina invece di riconoscere la realtà per quella che è, ovvero una guerra di annessione su larga scala.

“I nostri segreti, le nostre menzogne. Sono esattamente ciò che ci definisce. Quando la verità ci offende, noi mentiamo e mentiamo fino a quando nemmeno ricordiamo che ci fosse una verità, ma c’è, è ancora là. Ogni menzogna che diciamo, contraiamo un debito con la verità”, affermava Valery Legasov, interpretato magistralmente da Jared Harris, nella serie Tv Chernobyl per spiegare il motivo del disastro nucleare.

La Russia di oggi di Vladimir Putin così come l’Unione Sovietica del 1986 (ed altre dittature di oggi) è un Paese che continua ad essere fondato sulla menzogna, la paura di dire la verità ai potenti, la corruzione che permane tutta la società e la totale incompetenza al potere. La débâcle militare russa nella regione di Kharkiv è il logico risultato di tutto questo.

Come disse Winston Churchill, qualcuno che l’orrore della guerra e del totalitarismo lo conosceva molto bene, in un discorso alla Camera dei Comuni del novembre 1947, “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. Faremmo bene a tenere sempre a mente queste sagge parole.

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Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
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