Perché il colpo di Stato in Niger ci deve preoccupare e cosa c’entra la Russia di Putin
A una settimana dal colpo di Stato in Niger, la situazione non sembra avere risvolti positivi, né nell'immediato, né nel futuro più prossimo. Hanno fatto il giro del mondo le proteste contro la Francia e a favore di Putin, con bandiere della Russia sventolate in strada. Crescono le pressioni internazionali dopo il rovesciamento del presidente eletto Mohamed Bazoum, mentre i Paesi dell'Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale, hanno dato ai golpisti l'ultimatum di una settimana. Fanpage.it fa il punto sulle conseguenze di quanto sta accadendo in uno dei Paesi chiave del Sahel con la ricercatrice dell'Istituto Affari Internazionali, Francesca Caruso.
Qual è, nel momento in cui stiamo parlando, la situazione in Niger?
Il presidente Mohamed Bazoum, eletto democraticamente nel 2021, è stato rovesciato il 26 luglio 2023 dai membri della sua guardia presidenziale. Il loro comandante, il generale Abdourahamane Tiani, è stato proclamato capo di Stato il 28 luglio, dopo essere riuscito a radunare il resto dell'esercito intorno a sé. Il golpe militare è stato condannato dalle Nazioni Unite, Stati Uniti, Unione europea, e organizzazioni regionali come l’Unione africana e l’Ecowas, che ha dato un ultimatum di una settimana ai golpisti del Niger per il ripristino dell'ordine costituzionale e del governo civile, non escludendo l'uso della forza se ciò non accadrà. Tuttavia, il generale Tiani non sembra voler arretrare di un passo. Ieri stesso ha dichiarato: "Il Cnsp respinge queste sanzioni a priori e rifiuta di cedere a qualsiasi minaccia, da qualsiasi parte provenga. Rifiutiamo qualsiasi interferenza negli affari interni del Niger e respingiamo la pretesa di alcuni e di altri di punire il Cnsp e il popolo nigerino come esempio".
Perché la situazione deve preoccuparci, come italiani ed europei, e quale può essere la ripercussione a livello geopolitico?
La situazione deve preoccuparci da diversi punti di vista. Primo, le ripercussioni di un intervento militare dell’Ecowas in Niger. Di fronte a tale minaccia, il Burkina Faso, Mali e Guinea – che a loro volta hanno avuto dei putsh militari negli ultimi anni e sono stati sospesi dall’Ecowas – hanno dichiarato di essere pronti a intervenire militarmente in favore del Niger se ciò accadesse. Ciò non farebbe altro che aumentare l’insicurezza e l’instabilità in una regione che dalla caduta di Gheddafi è diventata una sorta di polveriera a cielo aperto. Secondo l’Indice globale sul terrorismo 2022, tra il 2007 e il 2021, il numero di morti legate al terrorismo è raddoppiato.
Inoltre, dal 2021 questa regione è diventata il teatro di una competizione multipolare tra Occidente e Russia che ha avuto un impatto sulle relazioni regionali. Da quando c’è stato il colpo di Stato in Mali, nel 2021, seguito da quello in Burkina Faso, la regione si è spaccata in due blocchi: da una parte vi sono i Paesi – o meglio i governi – che sono ancora legati ai partner tradizionali, in primis alla Francia. Dall’altra, i Paesi che invece rivendicano una sovranità rispetto all’ex-colonia e la volontà di tessere legami, soprattutto in ambito militare, con la Russia. Tali frizioni creano ovviamente una mancanza di cooperazione tra alcuni Paesi confinanti, cosa che è estremamente problematica, soprattutto per la sicurezza, in una regione dove i confini sono porosi. In questi contesti, come del resto nell’Africa centrale, la sicurezza e la stabilità – e quindi la pace – non possono esistere se non c’è una solida cooperazione tra gli Stati limitrofi.
Tuttavia, prima di trarre conclusioni sul possibile intervento dell’Ecowas, va comunque sottolineato il fatto che in questo momento vi sono, anche in Europa, diversi dubbi sulla capacità di questa organizzazione di intervenire militarmente. Lo ha dimostrato anche il caso del Mali: nel 2013, dopo sei mesi dell’intervento militare a guida Ecowas-Unione africana, sono subentrati i caschi blu dell’Onu con l’operazione Minusma.
La crisi in Niger può avere delle conseguenze dirette sull’Italia? L’aumento dell’instabilità nel Sahel può favorire delle ondate migratorie ancora più numerose?
Il Sahel è già estremamente instabile: come ho detto prima, l’insicurezza per via degli attacchi terroristici non ha fatto che aumentare in questi dieci anni nonostante la regione abbia ospitato operazioni militari multilaterali di ogni genere. Oltre all’insicurezza, la popolazione è stremata dalla povertà, dalle conseguenze del cambiamento climatico e dall’insicurezza alimentare. Il Niger non sarebbe altro che un ulteriore fattore di instabilità.
Tuttavia, ci concentriamo sempre sulle ripercussioni che queste guerre possono avere per noi, ma i primi a subire sono gli Stati regionali: solo in Burkina Faso quest’anno si contano due milioni di sfollati interni. Inoltre, le minacce non vengono più solo dal Sahel, ma anche dall’Africa centrale: non dobbiamo dimenticarci che in questi giorni in cui ci si occupa solo di Niger, la guerra civile in Sudan sta continuando. E ciò ha delle conseguenze non solo a livello interno, ma anche su Paesi come il Ciad, che oltre che confinare con il Niger confinano anche con il Sudan. Da quando è scoppiata la crisi ad Aprile, il Ciad ha già ospitato quasi 200mila rifugiati sudanesi.
Perché migliaia di persone in Niger sono scese in piazza al grido di “viva Putin” e cosa c’entra la Russia in questa storia? Quali sono gli interessi del Cremlino e com’è organizzata la sua sfera di influenza nell’area?
Il Niger, come altri Paesi della regione e dell’Africa centrale, fa sicuramente parte delle ex-colonie francesi dove c’è una parte della popolazione che ha un forte risentimento verso Parigi. L’errore dell’Europa, nella sua politica estera nel Sahel di questi ultimi anni, è stato infatti quello di far dipendere le sue alleanze con i governi locali dalle relazioni che questi avevano con gli attori esterni. La Russia appunto. Il Niger è l’ennesimo esempio di come oggi tutti i Paesi della regione rivendicano la propria sovranità nazionale e la volontà di diversificare i propri alleati, rifiutando qualsiasi tipo di interferenza esterna nella propria governance. Fino alla destituzione del presidente Bazoum, il Niger era un governo alleato di Parigi e di Bruxelles.
Questo ovviamente ha una presa su Mosca, che dal 2014 ha riorientato la sua politica estera verso il continente africano, concentrandosi soprattutto sul tessere dei legami di cooperazione militare. Tuttavia, l'esempio della Repubblica Centrafricana dimostra che, sebbene il ritorno della Russia in Africa per il momento sia stato prevalentemente militare – come con Wagner – l'obiettivo di Mosca è quello di costruire una cooperazione a lungo termine che sia anche economica, umanitaria e culturale. La Russia sta sviluppando il suo partenariato con la Repubblica Centrafricana in diversi settori, come l’istruzione, offrendo ad esempio ai giovani la possibilità di studiare medicina, agricoltura o difesa in Russia. Ma anche offrendosi di insegnare russo e relazioni internazionali all'università pubblica del Paese e promuovendo un centro culturale russo per i giovani. Inoltre, cosa da non sottovalutare come abbiamo visto con l’Ucraina, la Russia sta approfondendo anche i suoi legami religiosi con il continente, dove da quasi due anni ha inaugurato l’esarcato africano della Chiesa ortodossa russa.
I golpisti stanno ricevendo da giorni ultimatum da parte dell’Occidente e della Ecowas, come andrà a finire? Quali sono le prossime tappe?
È difficile fare previsioni, anche se per il momento sia le posizioni del golpisti che dell’Ecowas sembrano ferme ma contrapposte, cosa che non fa pensare a nulla di buono. Per questo, più che minacce di interventi militari, in questo momento bisognerebbe far prevalere la diplomazia e una mediazione interna al Niger. Bazoum, il presidente deposto, è stato sicuramente eletto democraticamente, ma ciò non toglie che la sua elezione abbia suscitato diverse tensioni interne. Era stata preceduta e seguita da profonde fratture politiche e sociali, anche all’interno del suo partito. L’aver stretto la cooperazione militare con la Francia aveva provocato un forte malcontento popolare.