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Perché il caso Errejon rischia di essere la fine della sinistra alternativa spagnola e del governo di Sanchez

Il caso che in Spagna ha al centro Íñigo Errejón, l’ex capogruppo di Sumar, che si è dimesso per le accuse di molestie sessuali fatte contro di lui sui social da diverse donne e in seguito con una denuncia.
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Altre cinque donne hanno dato testimonianza nell’account Instagram della giornalista Cristina Fallarás, della violenza machista, sotto forma di aggressioni sessuali, molestie, comportamenti misogini, agita su di loro da ĺñigo Errejón, cofondatore di Podemos nel 2014, fondatore di Más Madrid all’inizio del 2019 e deputato e portavoce parlamentare di Sumar fino allo scorso giovedì. Quando la prima denuncia anonima che faceva riferimento a un politico della capitale spagnola molto conosciuto, lo ha costretto alle dimissioni da tutte le cariche istituzionali e di partito.

Lo ha fatto con una lettera autoassolutoria, in cui attribuisce al sistema della politica l’emergere della contraddizione tra ideologia che si professa e comportamento praticato, senza chiedere scusa alle vittime. Poi è seguita la querela nei suoi confronti, sporta dall’attrice Elisa Mouliaá per l’aggressione sessuale sofferta nel settembre del 2021 e su cui indagherà il tribunale di istruzione 47 di Madrid.

Una vicenda che ha sconcertato la sinistra femminista spagnola, che del consenso delle donne alla relazione sessuale ha fatto la propria bandiera. E che rischia di seppellire di vergogna, per ciò che non si è saputo o voluto vedere a tempo, l’esperienza più originale in Europa negli ultimi dieci anni di una sinistra alternativa di trasformazione, mettendo a rischio per il futuro la stessa prospettiva di un governo di coalizione progressista.

Non è la prima volta in Spagna che un personaggio pubblico viene denunciato per il suo comportamento sessista. In questi giorni si richiama spesso alla memoria il caso di Nevenka Fernández, assessora alla fine degli anni novanta nel municipio di Ponferrada, che denunciò il sindaco Ismael Álvarez per abuso sessuale, vincendo la battaglia giudiziaria. Ma non quella nella società, che la osteggiò fino alla fine, mantenendosi dalla parte del sindaco aggressore. Da allora, molta strada è stata fatta.

Come si è visto nei recenti casi assurti alla cronaca internazionale, riguardanti il calciatore Dani Alves, condannato in primo grado a quattro anni e mezzo di carcere per stupro; o l’ex presidente della federazione spagnola di calcio Luis Rubiales, presto a giudizio per un bacio non consentito alla calciatora spagnola Jennifer Hermoso nella finale del mondiale di calcio femminile. È il femminismo spagnolo, le giovani donne soprattutto, ad aver cambiato il paradigma, identificando la violenza secondo la percezione che hanno della loro libertà sessuale. Per cui alcune condotte nelle relazioni tra i sessi un tempo considerate nella norma, oggi sono oggetto di riprovazione sociale.

Ma è la prima volta che un caso di violenza sessuale perpetrato da un personaggio pubblico acquisisce una rilevanza così drammatica per le conseguenze che può determinare: “Mi addolora che una persona che è stata un riferimento ideologico della sinistra possa essersi comportata così – dichiara l’ex sindaca di Madrid Manuela Carmena, cofondatrice di Más Madrid, “Mi azzardo a suggerire che dei politici non dobbiamo solo conoscere la lucidità politica e intellettuale, ma anche la loro intelligenza sentimentale”. “Mi sento profondamente ingannata e questo inganno risulta devastante”, ammette Rita Maestre, portavoce di Más Madrid nella capitale spagnola ed ex compagna di Errejón, che assicura di non avere saputo in quel momento che il politico spagnolo fosse già un aggressore quando ancora stavano insieme.

Finora contro Errejón vi è un’unica denuncia con nome e cognome, perché è ancora difficile per le donne dichiarare di essere state vittime di un abuso, soprattutto se viene da un personaggio pubblico che perciò è potente e confida nell’impunità. Lo spazio sicuro di denuncia messo a disposizione dalla giornalista, in pochi giorni, ha ricevuto varie segnalazioni di condotte violente praticate da uomini che operano in altri ambiti della politica e del sindacato. Perché la violenza contro le donne è trasversale a schieramenti e ideologie politiche, nasce da una cultura patriarcale radicata in ogni ambito della vita privata e pubblica e l’aggressore è spesso una persona che la vittima conosce, appartenente al proprio intorno familiare o amicale.

Per quanto riguarda la politica, la questione è se i partiti e le organizzazioni sociali dispongano o meno di protocolli contro le violenze sessuali nei confronti delle donne e del collettivo lgtbiq e se li facciano funzionare. Sumar dichiarava il giorno dopo aver costretto Errejón alle dimissioni, che questi protocolli non avevano funzionato. Más Madrid ha riconosciuto di non avere approfondito sufficientemente le informazioni riguardanti un caso di denuncia sui social di una donna che dichiarava di essere stata molestata da Errejón in una manifestazione pubblica un anno e mezzo fa.

La formazione madrilena ha espulso perciò dalle sue fila una dirigente, accusandola di avere coperto l’accaduto, indisponibile a identificare altre responsabilità personali. Podemos dichiara che non era a conoscenza di questi comportamenti quando Errejón faceva ancora parte del partito. Tutti affermano che è il momento di sostenere le donne che hanno il coraggio di denunciare, che le vittime devono essere al centro della riparazione e della cura. In queste ultime ore ci si chiede se c’era qualcuno nelle formazioni politiche in cui Errejón ha militato a conoscenza delle accuse che gli vengono mosse: tutte le formazioni della sinistra alternativa lo negano. Il Psoe, preoccupato per il contraccolpo sul governo, schiera tutti i suoi ministri a sostegno del socio di coalizione perché, sostiene, ha gestito la situazione con rapidità ed efficacia.

Sumar sta attraversando un processo di ristrutturazione interna e di ridefinizione ideologica. La formazione di Yolanda Díaz è riuscita ad accreditarsi nelle elezioni dello scorso anno per governare assieme ai socialisti, ma in tutti gli ultimi appuntamenti elettorali ha perso voti. Perciò Díaz si è dimessa da tutte le cariche di partito, conservando solo quella istituzionale di vicepresidente e ministra nell’esecutivo spagnolo.

La vicenda Errejón potrebbe rappresentare la fine della sua formazione politica, concludendo nel modo peggiore, dieci anni di sinistra alternativa in Spagna. E ciò avrebbe ripercussioni  sul governo di coalizione progressista, già stretto da un altro scandalo relativo alla compravendita di mascherine, con il presunto coinvolgimento dell’ex ministro dei Trasporti ed ex numero due del Psoe, José Luis Ábalos.

In conferenza stampa, la ministra del Lavoro insiste su due concetti: bisogna mettere fine all’impunità, perché vi è “una nuova cultura femminista che non la tollera” e ricomporre la fiducia che si è rotta con molta gente perché “si è aperta una crisi”. “Non siamo tutti uguali – conclude Díaz – Siamo un governo femminista, compromesso con le lotte delle donne e l’eguaglianza: abbiamo agito rapidamente e con forza”. Chissà che questa crisi non suggerisca almeno per il futuro di riorganizzare lo spazio alla sinistra del Psoe in una piattaforma plurale ma unitaria.

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Elena Marisol Brandolini, giornalista, laureata in Economia, con un master in Diritti del lavoro e un dottorato in Relazioni Internazionali ha lavorato come ricercatrice economica, sindacalista della Cgil e dirigente nella pubblica amministrazione. Da corrispondente dalla Spagna e attenta ai paesi del Sudamerica, ha collaborato con l’Unità, Il Fatto Quotidiano e Radio3Mondo. Scrive su Il Messaggero, il Manifesto, Domani e la rivista East West.
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