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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Perché i raid contro Israele dimostrano che una guerra in Medioriente non fa più paura all’Iran

Nel dilemma tra sopravvivenza e distruzione sono prevalse tra i pasdaran le considerazioni secondo le quali è meglio una guerra che restare a guardare mentre Israele continua ad attaccare in Medioriente. In altre parole, con gli attacchi di ieri l’Iran ha dimostrato che la guerra non fa più paura agli ayatollah.
A cura di Giuseppe Acconcia
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L'Iran ha reagito agli attacchi israeliani in Medioriente per la seconda volta dal 7 ottobre 2023 lanciando, in due ondate a dieci minuti di distanza l'una dall'altra, 181 missili, inclusi gli ipersonici Fateh 1, che hanno raggiunto Gerusalemme e Tel Aviv. Gli Stati Uniti avevano avvertito di un “imminente” attacco iraniano nel pomeriggio di martedì e hanno intercettato, insieme al sistema di difesa israeliano e britannico, gran parte dei missili partiti dal territorio iraniano.

I raid hanno provocato la morte di un palestinese, Sameh Asli, in Cisgiordania, il leggero ferimento di tre persone in Giordania, hanno colpito una scuola nel centro del paese e un ristorante a Tel Aviv. Si è trattato di un attacco leggermente più significativo rispetto ai 300 tra missili e droni lanciati da Teheran lo scorso 14 aprile in risposta ai raid israeliani contro il consolato iraniano a Damasco.

Perché l'Iran ha deciso di attaccare Israele?

“L'Iran è in stato di guerra”, hanno fatto sapere le autorità iraniane. Secondo la stampa locale, la guida suprema, Ali Khamenei, trasferito in una località segreta per il timore di attacchi israeliani, ha dato personalmente l'ordine di attaccare. Le autorità iraniane hanno detto che si è trattato di un attacco “propozionato” e di “auto-difesa” in risposta alle aggressioni israeliane e dei suoi alleati che hanno provocato gli assassini del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e di Hamas, Ismail Haniyeh.

E hanno avvertito di conseguenze devastanti in caso di risposta israeliana ai raid. “Se Israele vuole fare qualsiasi cosa contro la nostra sovranità e integrità territoriale, le operazioni di questa notte verranno ripetute con sempre maggiore intensità e tutte le loro infrastrutture saranno prese di mira”, ha dichiarato Mohammed Bagheri, capo di stato maggiore dell'esercito di Teheran.

Dal canto suo, il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, su posizioni moderate, ha fatto riferimento ai raid di ieri come a una “risposta alle aggressioni del regime sionista” con lo scopo di dimostrare a Netanyahu che “l'Iran risponde con fermezza a ogni minaccia”. Mentre la missione iraniana alle Nazioni Unite ha aggiunto che le azioni di Teheran sono “legali, razionali e legittime”.

Le conseguenze dell'assassinio di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah

I raid iraniani contro Israele sono stati accompagnati da festeggiamenti a Teheran e a Beirut. In Iran i sostenitori del regime si sono raccolti alle porte dell'ambasciata britannica della capitale. In particolare l'attacco dello scorso 28 settembre che ha ucciso il leader carismatico del movimento sciita libanese, Hassan Nasrallah, ha messo a dura prova il cosiddetto “Asse della Resistenza”.

L'uccisione di Nasrallah ha significato per l'Iran la perdita di uno dei principali leader sciiti nel mondo. Colpire Nasrallah è stato come colpire Khamenei, per i legami saldissimi che ci sono tra i due leader. Per questo una risposta di Teheran era inevitabile in questo caso ancora di più che dopo l'uccisione di Haniyeh, lo scorso 31 luglio in Iran. Il leader del movimento sunnita Hamas che governa la Striscia di Gaza ha legami meno strutturati e più ideologici con la leadership iraniana rispetto ad Hezbollah.

Non solo, Teheran ha seguito lo stesso schema degli imponenti raid israeliani contro Hezbollah di fine settembre. Ha fatto credere che non avrebbe agito limitandosi all'attivazione per procura della rete delle milizie sciite nella regione. Così come Israele sembrava propenso ad accettare un cessate il fuoco di 21 giorni mentre invece era pronto ad uccidere Nasrallah. Il richiamo alla calma che prelude ad un attacco è stato fin qui una strategia utilizzata anche dagli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden ha sempre parlato dell'imminenza di una tregua mentre Israele infrangeva tutte le linee rosse aprendo oltre al fronte con Gaza, quello in Cisgiordania, contro gli Houthi in Yemen, in Libano con Hezbollah e ora di nuovo contro l'Iran.

È anche una guerra per procura

L'attacco iraniano contro Israele era stato preceduto dall'uccisione del comandante del gruppo affiliato ad Hezbollah in Siria, Imam Hussein, al-Faqar Hanawi. E dall'assassinio di Muhammad Jaafar Qasir, comandante di Hezbollah incaricato di trasferire armi e tecnologia dall'Iran in Libano. L'uccisione di Nasrallah e le parole di Netayahu che hanno fatto intendere che Ali Khamenei potrebbe essere il prossimo della lista di Israele, hanno determinato la forte reazione dei pasdaran iraniani.

Divisi sulla possibilità di sopravvivere o di attaccare, le autorità iraniane hanno appreso molto dalla strategia israeliana, adottata in Libano, di anticipare gli attacchi di Hezbollah aggredendo per primi. Per evitare un attacco preventivo che mettesse a dura prova la leadership della Repubblica islamica, o la decimasse, proprio come è avvenuto con Hezbollah, gli ayatollah hanno deciso di abbandonare l'attendismo e intervenire.

Questo potrebbe servire, secondo Teheran, da deterrente per evitare un'escalation che implichi la fine della Repubblica islamica per come la conosciamo. E questo è anche l'unico obiettivo degli ayatollah: proteggere le istituzioni post-khomeiniste così come sono oggi più che difendere la causa palestinese o la rete di milizie controllate da Teheran.

Cosa farà Israele dopo l'attacco dell'Iran

Poco prima dell'annuncio degli attacchi iraniani, stava già avanzando la narrativa israeliana, proprio nel momento in cui nella giornata di martedì Tel Aviv ha avviato operazioni di terra mirate nel Sud del Libano e mentre l'esercito israeliano si addentrava nei tunnel del movimento sciita libanese, secondo la quale, Hezbollah era in procinto di preparare attacchi simili a quelli di Hamas dello scorso 7 ottobre.

Questa chiave di lettura servirebbe a Israele per giustificare i devastanti raid in Libano delle ultime settimane che hanno causato oltre mille morti e un milione di sfollati. Con i raid di ieri, Teheran è diventato il nuovo obiettivo israeliano. Secondo le autorità di Tel Aviv a questo punto “l'Iran pagherà”. Per Netanyahu, Teheran ha fatto “un grave errore”.

L'obiettivo, mai celato, del governo israeliano è la fine della Repubblica islamica al culmine di una guerra contro Teheran che coinvolga gli Stati Uniti. In questo scenario il prossimo passo sarebbe un attacco di Tel Aviv contro le centrali nucleari iraniane. Teheran persegue il suo programma nucleare a scopo civile. Ha subìto sanzioni internazionali fino all'accordo siglato a Vienna con i P5+1 (paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite insieme alla Germania), poi stralciato dall'ex presidente Usa, Donald Trump.

Ma Israele, colpito anche dall'attacco terroristico che a Jaffa lo scorso martedì ha causato 8 vittime, è impegnato su altri fronti dallo Yemen al Libano. In particolare gli Houthi in Yemen hanno lanciato un attacco che ha danneggiato la nave Cordelia Moon nel Mar Rosso lo scorso
martedì. Il 30 settembre Israele aveva colpito porti e infrastrutture yemenite a Ras Isa e Hodeidah. Dal canto suo, il movimento sciita libanese Hezbollah ha fatto sapere che le truppe di terra israeliane, che continuano ad aumentare la pressione sui villaggi di confine con il nuovo invio di
soldati, stanno affrontando molte difficoltà nel tentativo di entrare nel Sud del Libano.

E quindi le possibilità di successo di un attacco di terra dell'esercito israeliano nel Sud del paese sembrano in salita in questa fase. Infine, per il timore di un ampio conflitto che coinvolga tutto il Medioriente, i prezzi del petrolio sono saliti del 39;1% raggiungendo i 74,4 dollari al barile in seguito ai raid iraniani su Israele di ieri.

Con gli attacchi su Beirut, l'uccisione di Hassan Nasrallah, il genocidio a Gaza e gli oltre 41mila morti palestinesi, di cui 16 mila bambini, Israele ha superato tutte le linee rosse. Le autorità iraniane per la seconda volta hanno risposto alle azioni israeliane. Ma sanno molto bene che mentre Tel Aviv non ha freni e nessuno ferma le guerre israeliane, i margini di manovra iraniani sono molto limitati. Attacchi di Teheran su larga scala contro Tel Aviv potrebbero determinare una risposta molto pericolosa da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna.

Tuttavia, nel dilemma tra sopravvivenza e distruzione sono prevalse tra i pasdaran le considerazioni secondo le quali è meglio una guerra che restare a guardare mentre Israele continua ad attaccare in Medioriente. In altre parole, con gli attacchi di ieri l'Iran ha dimostrato che la guerra non fa più paura agli ayatollah. Anzi potrebbe essere utile a cemenatare le istituzioni della Repubblica islamica in un contesto di vulnerabilità interna, dopo le proteste anti-governative scoppiate due anni fa, come fece la guerra Iran-Iraq negli anni Ottanta permettendo il successo dei progetti di Khomeini.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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