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Guerra in Ucraina

Perché i generali delusi possono diventare una minaccia per Putin: parla lo storico Mark Galeotti

“Né proclami di vittoria né idee sul futuro”, nel discorso del presidente russo. “Ma presto ci sarà una mobilitazione”. Il Donbass, “verso l’annessione”. Escalation nucleare “altamente improbabile”.
A cura di Riccardo Amati
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“Nessuna nuova idea” in supporto del conflitto in Ucraina: Putin “per ora” rimanda la mobilitazione di massa e delude i suoi generali, alle prese con “una guerra che sono costretti a combattere in condizioni che non hanno scelto”. Mark Galeotti, storico, autore di The Weaponization of Everything (Yale, 2022) e di Putin’s Wars (di prossima uscita, Osprey, 2022) vede nell’insoddisfazione delle forze armate e della élite più nazionalista una minaccia per il regime. Nel discorso alla nazione per le celebrazioni del 9 maggio, da parte del capo del Cremlino “un’anticipazione della possibile annessione del Donbass” e anche “un tentativo di ricostruire un minimo di fiducia” nei confronti dell’Occidente. “Altamente improbabile” una escalation nucleare, dice l’esperto a Fanpage. it

Professor Galeotti, nel discorso di Putin ha trovato nuove idee riguardo alla guerra in corso?

Nessuna. E nel “Giorno della vittoria” non ha in alcun modo celebrato alcuna vittoria in Ucraina. Si è focalizzato sui caduti, sui feriti. “Nessun prezzo è troppo alto”, ha spiegato. In pratica ha solo detto che la guerra – che considera contro tutto l’Occidente – continuerà. Non ha prospettato vie d’uscita.

Si prospetta un lunga fase di guerra a bassa intensità? 

Di certo non ha dato appigli per far ritenere che veda la situazione come abbastanza soddisfacente da potersi “congelare”. Per proclamare la vittoria, ha bisogno di conquistare non solo il corridoio verso la Crimea, ma anche gli oblast (regioni, ndr) di Luhansk e Donetsk, per intero. Non può certo esser contento della situazione attuale.

Putin a un certo punto ha detto: “La Russia sta combattendo sul suo proprio territorio”. Non ha elaborato.  Ma è una rivendicazione precisa, mi pare.

Questo è interessante. Richiama certamente l’ipotesi che una volta assicuratosi il controllo degli oblast delle repubbliche separatiste, possa immediatamente annetterle alla Russia. Questo limita  immediatamente la cornice di un eventuale accordo di pace con l’Ucraina. Forse Putin pensa che l’Ucraina sarà comunque obbligata ad accettare la situazione. Credo che questa sia una precisa anticipazione contenuta nel discorso di Putin.

“L’orrore di una guerra globale non deve ripetersi, e la Russia è stata sempre favorevole a un sistema di sicurezza globale”. Ha detto ancora il presidente russo. Voleva rassicurare l’Occidente?

Un tentativo di ricostruire un minimo di fiducia, probabilmente. Ma anche una precisa affermazione:  il conflitto in corso non riguarda tanto l’Ucraina quanto l’architettura della sicurezza in Europa. l’Ucraina è il campo di battaglia, al momento. Ma per quanto riguarda la Russia –  pensa Putin -, è una linea di difesa contro l’avanzata della Nato e delle infrastrutture militari occidentali. Putin sta dicendo: “Siete voi che ci attaccate, e noi ci stiamo difendendo. Noi crediamo nella coesistenza pacifica ma non se siamo minacciati”.

Nessuna mobilitazione di massa. L’ipotesi ci una chiamata alle armi, magari dopo una formale dichiarazione di guerra, si è rivelata infondata.

Per ora.

Quindi è ancora una possibilità, la mobilitazione?

Lo è certamente. Anzi, mi sembra inevitabile. La Russia sta combattendo una vera e propria guerra sul terreno, con un esercito da tempo di pace. Che è sotto organico. Non era stato pensato per questo tipo di guerra. Non ha  truppe sufficienti. Ecco perché c’è pressione per una mobilitazione. Non penso a una mobilitazione generale di massa che porti un milione o un milione e mezzo di persone sotto le armi, perché una cosa del genere sarebbe impossibile da organizzare. Ma l’eventualità di una mobilitazione parziale è ancora al centro delle discussioni nel Cremlino.

E quando verrebbe eventualmente proclamata?

Presto. Perché ci vorranno tra i due e i tre mesi prima che una mobilitazione possa avere effetti operativi. L’offensiva attuale è l’ultima che la Russia può sferrare con le forze che al momento ha. Se si vogliono lanciare nuove offensive, nell’estate, bisogna procurarsi nuove truppe, in qualche modo. La campagna di arruolamento in corso potrebbe fornire 35.000 nuovi soldati. Ma non tutti nelle forze di terra. E comunque non sarebbero sufficienti. Credo che vedremo qualche tipo di mobilitazione, e che la decisione sarà presa entro un mese. Sennò sarebbe inutile, perché ogni offensiva seria dovrebbe essere rimandata all’inverno, che è una stagione sfavorevole per le offensive militari.

Un’alternativa alla mobilitazione, per dare una svolta alla guerra, è una escalation. Che potrebbe essere nucleare, dicono alcuni analisti: con l’utilizzo a scopo dimostrativo di un’ arma tattica, per esempio. La ritiene un’ipotesi realistica?

È una possibilità. Ma la ritengo altamente improbabile. Prima di tutto non ci sono obbiettivi militari chiari. Quindi, come diceva lei, sarebbe semmai un’azione strettamente dimostrativa. Per creare terrore. Ma il tutto sarebbe incredibilmente problematico dal punto di vista politico. Gli effetti sarebbero imprevedibili. Come reagirebbe la Nato? E neanche i cinesi sarebbero contenti: Pechino vuole certamente che il tabù nucleare persista. Anche perché potrebbe essere utile alla Cina quando deciderà di riprendersi Taiwan. E poi ci sono i problemi pratici: la Russia non ha testato i suoi ordigni nucleari tattici dal 1990. Nessuno sa esattamente come fare a utilizzarli. Si conosce solo la teoria. Agendo unicamente sulla base di manuali di istruzioni, gli ufficiali incaricati dovrebbero prendere la testata nucleare da uno dei 12 depositi dove sono conservate, ricondizionarla e spostarla fino alla piattaforma di lancio prescelta. Questo, poi, richiede tempo. E  i servizi di intelligence occidentali verrebbero certamente a conoscenza dell’operazione. Se non altro con i satelliti spia. Certo, è  sempre una possibilità ma si tratta di un’operazione estremamente più complessa di quel che possa sembrare.

Come avranno preso il discorso del presidente gli alti gradi dell’esercito? In un suo articolo sul Sunday Times ha scritto che da loro e dal  “fianco nazionalista” della élite al potere potrebbe nascere “una minaccia seria” per Putin? 

I generali non si aspettavano molto. Ma nelle parole di Putin non c’era proprio niente, per loro.

Ma ha annunciato di aver firmato un decreto che prevede benefit per i combattenti.

Si ma il suo discorso non ha dato nulla ai capi militari delusi della situazione. E che proprio per questo potrebbero diventare, insieme agli ambienti più nazionalisti, una minaccia per il regime. In pratica, Putin ha detto solo che la guerra continuerà. Una guerra che alti gradi, ufficiali e truppa sono costretti a combattere in condizioni che non hanno scelto. Ovviamente non hanno sentito un “mea culpa”: sarebbe stato chieder troppo. Ma neanche hanno sentito un accenno alla mobilitazione o a nient’altro che possa  preludere a un cambiamento della situazione sul terreno. I generali che sedevano accanto a Putin sulle tribune della piazza Rossa si saranno goduti la giornata. Ma quando domani torneranno al lavoro – probabilmente con i postumi di una sbronza – la situazione non sarà migliore, per loro. Da Putin avrebbe voluto parole su un prossimo miglioramento della situazione militare. Non le hanno avute.

E questo potrebbe finire per portare a una rivolta, nel futuro?

Non penso necessariamente a una rivoluzione. Ma che succederebbe e come reagirebbero i delusi se il sistema diventasse sempre più brutale e meno adatto ad assorbire shock? E se ci fosse uno sfondamento da parte degli ucraini? O se ci fossero proteste di piazza che la Guardia Nazionale si rifiutasse di reprimere?  Oppure se ci fosse qualche improvviso e inatteso collasso dell’economia, con un aumento drastico della disoccupazione? Quando queste cose succedono, il sistema diventa molto meno capace di controllare la situazione.

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