Perché gli USA hanno distrutto postazioni iraniane in Siria e cosa c’entra la guerra Israele-Hamas
Nella tarda serata di ieri, giovedì 26 ottobre, l’aviazione statunitense ha condotto una serie di raid aerei contro due strutture utilizzate dalle Guardie Rivoluzionarie Iraniane e da “gruppi affiliati” nella Siria orientale: lo ha confermato il Segretario alla Difesa USA Lloyd Austin, spiegando che sarebbero stati colpiti magazzini di armi vicino ad Abu Kamal, sul confine con l’Iraq.
L'operazione non sarebbe stata coordinata con Israele, poiché "l’episodio esula dal conflitto con Hamas" e, ha sottolineato Austin, "non costituisce un cambiamento del nostro approccio". Gli Usa hanno infatti risposto agli attacchi iniziati poco dopo la brutale recrudescenza terroristica degli islamisti palestinesi. "Questi raid di ‘autodifesa' sono la risposta a una serie di attacchi in corso, e per la maggior parte non riusciti, contro il personale statunitense in Iraq e Siria da parte di milizie sostenute dall’Iran", ha precisato Lloyd Austin in un comunicato, riferendosi ai 21 soldati statunitensi feriti in 19 diversi attacchi subiti tra Iraq e Siria. Il Pentagono aveva avvertito che la reazione non sarebbe tardata ad arrivare e lo stesso presidente Joe Biden aveva avvisato la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, mettendo in guardia da qualsiasi aggressione alle truppe USA. "È stato inviato un messaggio diretto. Non andrò oltre", ha confermato il portavoce della Casa Bianca, John Kirby.
Ma cosa sta accadendo in Siria? E in che modo queste violenze si collocano nel più ampio contesto della guerra tra Israele e Hamas? Fanpage.it l'ha chiesto a Lorenzo Trombetta, analista di Limes e ricercatore con sede a Beirut specializzato in Siria.
Innanzitutto, cosa sappiamo degli attacchi condotti dagli Stati Uniti nel territorio siriano?
Sappiamo che sono stati colpiti dei cosiddetti "santuari" di miliziani iracheni filo-iraniani presenti da molti anni nella bassa valle dell'Eufrate, nella Siria orientale, area molto vicina al confine con l'Iraq. Sappiamo anche che i raid americani avvengono periodicamente da alcuni anni a questa parte, soprattutto dall'inasprimento del negoziato iraniano-statunitense. Sappiamo infine che questi attacchi da parte degli USA arrivano dopo circa una settimana di aggressioni e provocazioni di jihadisti sciiti iracheni filo iraniani e di loro alleati yemeniti, anch'essi vicini a Teheran, che hanno ripetutamente colpito obiettivi americani sia nel Mar Rosso sia in Siria che in Iraq.
Il raid in Siria è stato ordinato in risposta a 19 attacchi subiti da soldati americani in Iraq e Siria, attacchi che hanno causato 21 feriti. Perché l’Iran sta colpendo soldati americani?
Questi attacchi rientrano nella strategia iraniana, quella del cosiddetto "asse della resistenza" anti-israeliano guidato da Teheran, ma di cui fanno parte anche gli Hezbollah libanesi, Hamas e la Jihad Islamica, oltre a numerose milizie irachene. Questo fronte ha voluto inviare un chiaro messaggio agli Stati Uniti e a Israele, perché evidentemente la questione di Gaza non è solo ed esclusivamente territoriale e non è limitata alla Striscia.
Quale messaggio è stato inviato a USA e Israele?
Il messaggio è che esiste un ampio schieramento che coinvolge tutto il Medio Oriente, un'alleanza che va dall'altipiano iranico fino al Mar Rosso, dal Mediterraneo all'Eufrate. Tale messaggio è stato sostanziato con una serie di atteggiamenti sul terreno: proprio per questo negli ultimi giorni si sono accesi focolai in funzione anti-israeliana e anti-americana a mo' di avvertimento politico. D'altra parte nel suo viaggio a Tel Aviv Biden ha espresso pieno sostegno a Israele, ma sappiamo anche che il capo della Casa Bianca ha invitato Benjamin Netanyahu ad evitare un'offensiva di terra nella Striscia di Gaza, perché questo avrebbe esposto gli USA a una serie di rappresaglie da parte di attori filo-iraniani. La sera stessa in cui Biden parlava coi generali israeliani in Yemen e in Iraq si accendevano le prime scaramucce, che sono proseguite per giorni. Gli Stati Uniti solo questa notte hanno deciso di rispondere, colpendo in Siria.
Insomma, non è vero che "l’episodio esula dal conflitto con Hamas", come ha detto la Casa Bianca.
Senza dubbio le cose sono connesse tra loro. Noi dobbiamo sempre distinguere il discorso politico dalla realtà politica sul terreno. C'è sempre una certa distanza tra retorica e azione: alcuni la leggono, altri si limitano all'assorbimento delle notizie.
Ci ricorda i posizionamenti e le alleanze in Medio Oriente e perché l'Iran supporta Hamas?
Fin dalla nascita della Repubblica Islamica del 1979 la scelta strategica di Teheran è stata quella di schierarsi contro Israele. Basando la propria stabilità di potere su questo principio, nel corso di questi decenni l'Iran ha sempre cercato alleanze con chi, più vicino al Mediterraneo, potesse farsi strumento di questa strategia, sostenendola a pieno. Questo non avviene necessariamente perché l'Iran vuole distruggere Israele (anche questo fa parte della retorica, ma tale concetto va declinato sul terreno in maniere molto più sfumata), ma perché Teheran cerca costantemente attori vicini a Israele che possano minacciarla. Ricordiamo infatti che l'Egitto ha stretto la pace con Tel Aviv nel 1979, calmando il fronte del Sinai; la Giordania ha stabilizzato le relazioni con Israele nel 1994, sistemando anche la Valle del Giordano. Sono rimasti aperti il fronte siriano, con le alture del Golan contese, quello libanese e la Cisgiordania, che tuttavia da anni è in mano a un'entità, come l'Autorità Nazionale Palestinese, di fatto controllata da Israele. Infine c'è la Striscia di Gaza, che dal 2006 è in mano a un attore – Hamas – che non rientra nel progetto americano-israeliano, ma è stato gradualmente cooptato nella strategia iraniana.
Quali sono, dal punto di vista militare, le capacità del "campo" composto da Iran, Hamas, Jihad Islamica ed Hezbollah?
Possono incendiare l'intero Medio Oriente almeno tanto quanto può farlo Israele. La deterrenza è sostanzialmente equilibrata. Il sistema israeliano-statunitense è minacciato dal Golfo Persico, dal Mar Rosso, dall'Iran, Iraq, oltre che dalla Striscia di Gaza e dal Libano. Tutto questo costituisce non solo un vasto schieramento militare, ma anche istituzionale. La parola dell'Iran ha un peso assai rilevante in Iraq, Libano e Siria persino a livello di consigli comunali. Un ulteriore elemento rilevante di questo schieramento è l'innegabile consenso da parte delle popolazioni locali, soprattutto nelle zone più vicine al fronte come nel caso del Libano, oppure in zone dell'Iraq sciita in cui le milizie jihadiste sono capaci di mobilitare decine se non centinaia di migliaia di giovani attratti da prospettive economiche favorevoli, in un contesto che altrimenti sarebbe estremamente povero.
Un allargamento del conflitto al resto del Medio Oriente potrebbe cambiare i connotati geografici di quell'area, arrivando anche a modificare i confini degli stati nazionali?
Questo lo escludo, ma possono cambiare sensibilmente altri equilibri. Per esempio Hezbollah negli ultimi anni sembrava in crisi in Libano, invece adesso è tornato ad essere un attore molto più potente. Lo stesso vale per Hamas, diventato di fatto l'unico interlocutore palestinese di fronte alla comunità internazionale occidentale. Non credo che però che nessun attore, statuale o non statuale, abbia l'interesse a cambiare i contorni geografici del Medio Oriente.