Perché gli arabo-americani del Michigan possono decidere chi vincerà le elezioni Usa: l’analisi dell’esperto
"A meno di una settimana dal voto delle presidenziali USA c'è una situazione di stallo straordinario e, secondo gli ultimi sondaggi, negli Stati chiave è estremamente aperta. È impossibile fare una previsione ma sarà una elezione sicuramente molto combattuta e che si deciderà per pochi voti".
Così Lorenzo De Sio, professore ordinario di Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli, e direttore del CISE – Centro Italiano di Studi Elettorali, ha commentato a Fanpage.it cosa dicono gli ultimi sondaggi relativi all'elezione del presidente degli Stati Uniti a meno di una settimana dall'Election Day del 5 novembre. La situazione è molto incerta ed è possibile che a decidere chi tra Donald Trump e Kamala Harris sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca per i prossimi 4 anni saranno pochi, pochissimi voti.
Che situazione c'è a meno di una settimana dall'Election Day?
"Potremmo definire questa come una situazione di stallo straordinario, nel senso che rispetto alle elezioni presidenziali americane degli ultimi anni si registra tra i due candidati una sostanziale parità nei sondaggi nazionali , che però non hanno molto senso perché come sappiamo l'elezione del presidente avviene con il meccanismo dell'Electoral collage, per cui chi vince anche di un solo voto nel singolo stato porta a casa tutti i delegati di quello stato (tranne in due stati che hanno un sistema diverso). Dunque, quello che conta è sapere cosa succede nei singoli stati. E noi sappiamo che negli Stati in bilico (Swing States) la situazione è estremamente aperta. Noi siamo in contatto con esperti americani che ci dicono che veramente è impossibile fare una previsione, se non quella che sarà una elezione molto combattuta e che si deciderà per pochi voti".
Si parla di tre Swing state in particolare: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Conferma che dovremmo tenere su questi gli occhi puntati?
"Questi sono i tre stati più indecisi tra i 7 Swing states. La grossa partita è qui, dal momento che portano un numero importante di delegati e sono incredibilmente incerti. È qui che si giocherà la gran parte della partita finale".
A livello di elettori indecisi, cosa può dirci?
"Bisogna capire meglio la questione degli elettori indecisi, perché uno dei segreti per vincere le elezioni USA non è necessariamente quello di convincere qualcuno del campo avversario a cambiare idea ma spesso si tratta di convincere ad andare a votare qualcuno che è incerto se dare o meno il proprio voto in generale. Spesso i candidati fanno degli appelli anche polarizzanti e non moderati, Trump ad esempio ha puntato sull'immigrazione, Harris sui diritti alle donne, proprio per convincere qualcuno incerto se rimanere a casa o meno. È un piccolo paradosso, per cui il tentativo di convincere gli elettori indecisi passa per appelli anche radicali. Ci sono sondaggi che mostrano come gli stessi dibattiti televisivi non abbiano spostato molti voti. L'impressione è che i due campi siano abbastanza mobilitati e probabilmente sarà più una gara a chi va a votare in maniera più massiccia riuscendo a strappare voti al partito avversario che altro".
Quale gruppo sociale potrebbe influenzare l'elezione?
"Il punto è che ormai molti di questi gruppi non sono considerati più incredibilmente compatti. Ad esempio, tra i latinos, che tradizionalmente venivano considerati più vicini ai democratici, recentemente c'è una maggiore approvazione della politica anti-immigrazione proposta da Trump. Perché anche gli americani di origine latina, che sono cittadini USA, sono preoccupati da ulteriori future ondate migratorie, quindi paradossalmente non sono più compatti verso il campo democratico come avrebbero potuto essere in passato. Si parlava anche di polarizzazione dei livelli di istruzione, per cui Trump sarebbe sostenuto dai meno istruiti, ma in realtà non è così. Vediamo che le percentuali di voto a Trump sono alte anche tra le persone con un livello di istruzione alta. Quindi, per quello che abbiamo visto finora nei sondaggi, non si vedono allineamenti chiave di particolari gruppi sociali, tranne che per qualche caso particolare".
Ad esempio?
"L'importantissima comunità di arabi-americani che è nel Michigan. Mesi aveva fatto presente a Joe Biden che una politica accomodante nei confronti del premier israeliano Netanyahu e quindi di non difesa nei confronti di Gaza li avrebbe portati a non votare per il candidato democratico o addirittura a votare per Trump. Questo è, direi, il caso più macroscopico di un gruppo sociale che potrebbe fare la differenza perché potrebbe darsi che il Michigan passi da candidato all'altro per effetto della scelta di voto compatta di questa comunità".
A questo punto, data questa situazione di sostanziale parità tra i due candidati, che scenari potrebbero aprirsi?
"Sono scenari di tensione. Quello che noi sappiamo è che proprio per questo meccanismo dell'Electoral college può succedere che anche una elezione molto ravvicinata poi porti ad una maggioranza chiara, in cui magari c'è un vantaggio abbastanza chiaro di un candidato in tre o quattro Stati chiave. A quel punto il risultato sarà netto e senza particolari contestazioni. Il problema è che se il risultato in termini di delegati diventa estremamente ravvicinato e magari viene determinato dal risultato in alcuni stati dove veramente la partita si gioca per pochi voti, questo potrebbe portare a momenti di grande tensione. Pensiamo a cosa è successo dopo l'ultima elezione con l'assalto a Capitol Hill. Dobbiamo augurarci per la democrazia americana che ci sia comunque un risultato netto perché questo ovviamente toglierebbe molte tensioni".