Perché è così importante la battaglia di Mosul contro l’Isis?
E' iniziata l'offensiva per liberare Mosul dai jihadisti dello Stato islamico. La seconda città irachena – l’antica Ninive, la capitale assira citata anche nella Bibbia – fu conquistata dall'Isis nel giugno del 2014 con relativa facilità e a Mosul il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, proclamò il "Califfato". La liberazione della città rappresenta la più grande operazione militare in Iraq da quando le truppe statunitensi si sono ritirate nel 2011 e, se fosse coronata da successo, sarebbe il più duro colpo inferto finora all'Isis. Ma la campagna per riconquistare la roccaforte irachena dello Stato islamico non si preannuncia facile. In primo luogo perché la coalizione lanciata all'assalto della città è composta da forze frammentate che possono complicare la vittoria finale. Combatteranno fianco a fianco curdi, turchi, l’esercito iracheno e milizie filo-sciite. Le operazioni di terra saranno sopportate dall'aviazione statunitense e dai militari di diverse potenze europee, in primis Francia e Regno Unito. Diversi obiettivi quindi e in contrasto tra loro che avranno un peso sia nella conduzione della battaglia sia una volta liberata Mosul.
Le forze anti-Isis in campo
Alle operazioni di guerra si calcola che partecipino almeno 25mila soldati tra Peshmerga curdi e milizie sciite e sunnite dell'esercito iracheno. Altre fonti parlano di 40-50mila (15mila curdi e quattro divisioni irachene). Un alto comandante iracheno, invece, il generale Talib Shaghati, ha stimatoa circa 6.000 il numero di jihadisti dell'Isis trincerati nella città. Nell'attacco sono coinvolti anche reparti speciali americani e inglesi. Mentre per quanto riguarda il contingente italiano di stanza in Kurdistan, principalmente per proteggere la diga di Mosul, "in caso di necessità interverrà per aiutare l'esercito iracheno". La presenza di tanti protagonisti rappresenta il vero tallone d’Achille della coalizione anti-Isis. Un ruolo cruciale sarà giocato dalle potenze regionali. La Turchia – formalmente alleata degli Usa – ma che ignora l'invito di Washington a lasciare il suolo iracheno se non vi è un accordo con il governo di Baghdad. Da oltre un anno, infatti, i militari di Ankara stanziano nella base di Bashika nella provincia di Niniwa, dove i Peshmerga e le milizie arabo-sunnite e turcomanne controllano parti del territorio strappato all’Isis. Come riconosce Maurizio Melani, professore di Relazioni internazionali alla Link Campus University ed ex ambasciatore italiano in Iraq: “Per il Krg (il governo regionale del Kurdistan), i militari turchi costituiscono una assicurazione contro le milizie sciite filo-iraniane, che nella loro parallela marcia verso Mosul sono quelle più in grado di cacciare i Peshmerga dalle aree a popolazione mista araba e curda”. Ma la presenza dell’esercito turco è motivo di duro contrasto con il governo di Baghdad che ne chiede il ritiro. L‘Iran – alleato di Bashar al Assad in Siria – che con il sostegno alle milizie sciite del Popular Mobilization Units (PMUs), lanciano agli Usa il segnale che senza Teheran non può esservi stabilizzazione della regione. E infine l'Arabia Saudita, che sostenendo gruppi arabo-sunniti di varia natura, inclusi i più estremisti, continuerà presumibilmente ad operare affinché la stabilizzazione dell'Iraq e la conseguente piena agibilità delle sue enormi risorse petrolifere non raggiungano livelli tali da insidiare la sua supremazia nella regione e nel mercato mondiale degli idrocarburi.
La resistenza dello Stato islamico
A Mosul si stima vivano ancora centinaia di migliaia di persone (secondo alcuni dati addirittura oltre un milione) che finirebbero inevitabilmente coinvolte in uno scontro che si preannuncia durissimo. Gli esperti danno per sicuro che i circa 6.000 combattenti dell’Isis tenteranno di utilizzare gli abitanti come scudi umani. Una volta entrati in città, gli attaccanti si troverebbero nella complicata situazione di dover distinguere tra miliziani e popolazione civile e questo giocherà a favore degli uomini di al-Baghdadi. I jihadisti, inoltre, hanno avuto tutto il tempo per preparare una resistenza urbana in cui la schiacciante superiorità numerica delle forze attaccanti sarà indebolita in modo significativo dalle trappole esplosive e barriere fisiche piazzate in città. La decisione degli uomini del califfato di difendere la città ad ogni costo, potrebbe arrivare fino al ricorso ad armi chimiche e all'incendio dei pozzi petroliferi e dei grandi depositi di zolfo che si trovano nella zona di Sharqat, a sud della città. Infine, gli estremisti dell’Isis potrebbero cercare di aprire nuovi fronti, attaccando le linee di rifornimento e aprendo dei “corridoi” attraverso i quali far arrivare a Mosul i jihadisti che si trovano in Siria.
Un milione di sfollati
Secondo l'Agenzia Onu per i rifugiati, la campagna di Mosul potrebbe provocare la fuga in massa di un milione di persone, che si andrebbero a sommare ai 3 milioni di sfollati interni causati dagli ultimi anni di guerra sul territorio iracheno. L’organizzazione umanitaria ha detto di essere attualmente attrezzata per aiutare fino a 400mila profughi, non di più. D’altra parte, gli jihadisti stanno impedendo a chiunque di lasciare la città, a meno che non si sia disposti a pagare fino a 1000 dollari. E ad impaurire gli abitanti di Mosul sono anche le milizie paramilitari e forze governative irachene; Amnesty International le accusa di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani e crimini di guerra nei confronti di migliaia di civili fuggiti dalle zone controllate dallo Stato islamico. In un rapporto intitolato "Uccisi per i crimini di Daesh: violazioni dei diritti umani contro gli sfollati iracheni ad opera delle milizie e delle forze governative", l’Ong lancia l'allarme sul rischio di ulteriori violazioni di massa durante le operazioni militari per liberare Mosul. Ma la riconquista non si trasformerà “in un bagno di sangue confessionale” ha rassicurato comunità internazionale il primo ministro iracheno Al Abadi precisando che l’accesso alla città verrà concesso solo alla polizia e all'esercito iracheno e a nessun altro, riferendosi alle milizie sciite protagoniste di atroci rappresaglie contro la popolazione sunnita.
Cosa succederà dopo che Mosul sarà liberata?
Secondo Andrea Plebani, ricercatore all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, gli effetti della caduta di Mosul sarebbero estremamente rilevanti. In primo luogo rappresenterebbero un duro colpo per al-Baghdadi. La legittimità dello Stato islamico si basava in buona parte sulla capacità di esercitare la sua autorità su territori significativi. La perdita della loro conquista più importante finirà per minare anche la credibilità e la capacità di attrazione dell’Isis. Sul piano più squisitamente militare – aggiunge Plebani – una vittoria segnerebbe un’atomizzazione delle forze di al-Baghdadi attive in Iraq: “Rimarrebbero sacche ostili sul territorio e, con tutta probabilità, si assisterebbe a un incremento degli attentati, ma verrebbe meno un centro nevralgico cruciale per l’azione dello Stato islamico”. “Innanzitutto il Daesh (termine con cui viene denominato in arabo l'Isis) non scomparirà affatto” sostiene Giovanni Parigi, docente all'Università degli Studi di Milano. “Come una perfida araba fenice pronta a rinascere dalle sue ceneri – osserva – rimarrà attivo come movimento di insurrezionale nutrendosi e, allo stesso tempo nutrendo, lo scontento sunnita”. La prova sarebbe che già oggi nelle liberate Falluja, Ramadi e a Baghdad, ci sono continui attentati e attacchi a convogli militari.
Quali saranno le conseguenze per la Siria?
La battaglia per Mosul avrà sicuramente anche delle conseguenze nella vicina Siria. E’ molto probabile che l’offensiva militare della coalizione anti-Isis in Iraq spingerà le milizie del Califfato ad abbandonare Mosul e a ripiegare verso Raqqa, dove il gruppo possiede una seconda roccaforte. In Siria, le conseguenze della disfatta a Mosul potrebbero essere molteplici. Almeno nell'immediato, la sconfitta degli uomini di Al Baghdadi andrà a beneficio del regime di Damasco, sempre più impegnato con le forze russe sue alleate nella campagna militare per la conquista di Aleppo. Sul lungo termine – secondo gli esperti – l’indebolimento del Califfato potrebbe essere sfruttato dalle altre milizie islamiste, come per esempio il gruppo Jabhat Fatah al-Sham (l’ex Fronte Jabhat al-Nusra), ufficialmente non più legato ad Al Qaeda e da tempo impegnato in un’opera di unificazione dei gruppi siriani ribelli in un’unica "grande coalizione" islamista.
In ogni caso ci vorranno mesi, secondo gli esperti militari, per completare la liberazione di Mosul. La battaglia è appena iniziata ma già si prospetta come una delle più sanguinose degli ultimi anni.