Perché dopo il tentato golpe di Prigozhin il regime di Putin è entrato in fase di “pre-agonia”
"L’età del consenso è finita": Vladimir Putin "ha perso la fiducia delle élite, che preferirebbero cambiare direzione". E una delle ripercussioni "più destabilizzanti" della abortita marcia su Mosca intrapresa da Yevgeny Prigozhin è che ha scatenato la repressione tra gli stessi sostenitori del regime. Che corre "i maggiori rischi della sua storia più che ventennale". Non siamo alla fine ma si è entrati "nella fase che normalmente precede la fine dei regimi": Alexander Baunov, ex diplomatico russo, poi direttore delle pubblicazioni della branca moscovita del think tank Carnegie, collaboratore del quotidiano Vedomosti e di media internazionali come Financial Times e The Atlantic, non si aspetta rivolgimenti a breve termine ma ritiene che il sistema Putin sia entrato in un periodo di pre-agonia.
Baunov è l’autore di "Fine del regime", un libro che non parla della Russia ma che in Russia, da quando è stato pubblicato sei mesi fa, va letteralmente a ruba. Evidentemente, l’autore ha toccato i sentimenti dei molti russi che leggono saggi, e proposto scenari intonati alle domande che i sudditi di Putin stanno facendosi. Il premio Nobel per la pace con l’organizzazione Memorial di cui è presidente, Oleg Orlov, sotto processo per aver espresso la propria opinione contraria alla guerra in Ucraina, nei giorni scorsi è entrato in tribunale con in mano il libro di Baunov.
Fanpage.it ha incontrato Alexander Baunov di fronte a un’insalata e a un tè freddo sulla terrazza di un bar di Firenze, dove è visiting fellow all’Istituto universitario europeo (Eui).
Dottor Baunov, Putin deve guardarsi le spalle?
Deve stare attento, come ogni dittatore. E lo fa. Ma un dittatore può esser pugnalato alle spalle solo da chi gli è molto vicino. Da chi ha molto potere. E il sistema di Putin, al contrario di quelli di altri dittatori, non prevede che ci siano persone vicine al capo. Putin è solo al comando. Il potere è tutto suo. Esiste un “cerchio magico”. Ma resta su un piano più basso. Mica sono persone poi così vicine a lui. Quindi non hanno alcuna possibilità di soppiantarlo. Figuriamoci Prigozhin.
Eppure Prigozhin ha quasi marciato su Mosca.
Certo, l’ammutinamento è stato un tradimento, un colpo alle spalle. Ma vibrato da una notevole distanza, non da vicino. Prigozhin non è mai stato davvero “vicino” a Putin. Che neanche gli parlava, ultimamente.
Quale era il vero scopo di Prigozhin?
Scuotere Putin per convincerlo ad ascoltare finalmente le sue preoccupazioni: il ministero della Difesa sta espropriandogli il maggiore asset: il suo esercito privato. E con il consenso dello stesso Putin. L’ammutinamento era finalizzato a discutere con il presidente per arrivare a una risoluzione positiva per Prigozhin dello scontro con i responsabili della Difesa. Ma Putin neanche stavolta ha parlato con lui, anche se il suo tentativo era in teoria molto pericoloso e poteva suonare convincente. Una cosa del genere in Russia non si vedeva dagli anni Novanta (il riferimento è al golpe contro Gorbaciov nell’agosto del ’91, ndr).
E quindi? Tutto come prima, per il regime?
Assolutamente no. Per la reputazione di Putin, per il consenso tra gli ultras del patriottismo e per il regime in generale il tentativo di Prigozhin è stato catastrofico.
Infatti c’è parecchio nervosismo al Cremlino: Putin ha infittito i suoi interventi pubblici. Ha addirittura fatto un bagno di folla — cosa davvero inusuale. Mentre per giorni non si è saputo nulla di esponenti di vertice delle forze armate come il generale Surovikin. Cosa indica tutto questo?
Quel che è successo è estremamente grave e senza precedenti, per Putin. Mai un periodo è stato più pericoloso, per il regime. Almeno dai tempi dello scontro con gli oligarchi, molti anni fa.
Per questo il presidente è così attivo?
Subisce una crisi di fiducia. Deve cercare di riconfermare la fiducia dei suoi sudditi. Anche se in fondo non ha molto da dire, deve proiettare l’immagine del leader che ha la situazione sotto controllo. Ecco il motivo delle performance pubbliche.
Una di queste performance ha avuto una grande coreografia: La medievale Piazza delle Cattedrali del Cremlino, le cupole d’oro, i soldati in alta uniforme, la scalinata da cui lo zar scende su un tappeto rosso per rivolgersi alla Russia. Patria, ortodossia ed esercito: era questa lo slogan implicito?
Al di là degli slogan, mi ha colpito l’arcaicità della scena. Il condottiero medievale con i suoi soldati che sconfigge la rivolta del condottiero che si è ribellato. Una corsa indietro nel tempo.
Lo scrittore Vladimir Sorokin dice che la Russia di oggi “è il Medioevo” e la guerra di Putin in Ucraina “la guerra degli zombie contro il futuro”. Sorokin è un artista dell’assurdo. Ma c’è forse del vero in quel che dice?
Putin distrugge la modernità in nome di un presunto passato glorioso, e sta ora conducendo una guerra del passato. Piena di caratteristiche del passato. Con tanto di condottieri mercenari, cospirazioni e ammutinamenti. Putin ha aperto la porta al passato e ora il passato torna e rischia di travolgerlo. In modi simili a quelli che hanno decretato la fine di tanti regnanti nel passato.
Ed è vicino il momento in cui “il passato” travolgerà Putin? Il regime “è in pericolo”, ci ha appena detto. Ma durerà ancora o cadrà?
La visione politica dei russi è conservatrice. Non amiamo cambiare i nostri governanti. Se lo facciamo, ciò avviene in situazioni estreme: con una rivoluzione o con la dissoluzione dello Stato. Come nel 1917 e negli anni Novanta. Guardiamo ai leader politici come alla miglior garanzia della continuazione dell’esistenza. Vita e potere statale non sono due concetti separati, per i russi. La distruzione del potere e dello Stato è considerata disastrosa dai normali cittadini. È una sorta di trauma originario che la nostra società si porta dietro.
Ma mica può dirmi che nella Storia della Russia non ci siano stati rivolgimenti. Penso alla Rivoluzione comunista. Ma anche all’ascesa al potere di Yeltsin. Non è in contraddizione con ciò che lei dice?
Prima di accettare un cambiamento, i russi devono riconoscere un capo di cui si possano fidare. Yeltsin era un leader popolare in cui i russi si sono riconosciuti. Sapevano bene chi fosse: un funzionario del partito come quelli da sempre visti dappertutto nell’Urss. Con idee liberali, sì. Ma era una figura familiare. Non era certo un intellettuale né un dissidente. Altrimenti quali la popolazione avrebbe diffidato di lui.
Tornando all’oggi: la Wagner si è ritirata da Rostov tra gli applausi. Prigozhin piace ai russi?
Ha avuto un atteggiamento molto “presidenziale”, un po’ come quello di Yeltsin. I cittadini ordinari hanno apprezzato che non avesse idee sovversive o comunque complesse, e che proiettasse un’idea di potere. Ispirava fiducia nella sua capacità di gestire un cambiamento. Al di là di ogni agenda politica, che in effetti non ha mai avuto.
Quindi se fosse andato avanti avrebbe potuto avere sostegno tra la popolazione?
Penso di sì. Dava l’idea di qualcuno che poteva portare giustizia. Il suo stile, la sua personalità, l’aura di eroe militare e il controllo di un esercito privato, oltre che di una vera e propria galassia mediatica (le agenzie e i siti propagandistici del gruppo Ira, ndr), gli davano un appeal popolare.
Ma è davvero finita la rivolta di Prigozhin? O c’è da aspettarsi un seguito?
Quasi certamente è stato del tutto esautorato. non sappiano che ne sarà di lui. Buona parte del suo esercito privato verrà assorbito dalle forze armate regolari russe. E né Putin né il leader bielorusso Lukashenko vogliono utilizzare quel che rimane della sua Wagner con lui al comando. Prigozhin è tagliato fuori.
E i presunti sostenitori del capo della Wagner nelle forze armate russe? Ci sarà una purga?
Ci saranno senz’altro investigazioni a tutti i livelli tra i militari, nei servizi di sicurezza e negli apparati dello stato. Fa parte della natura degli uomini del Cremlino vedere cospirazioni ovunque. Non crederanno mai all’ipotesi che Prigozhin si sia mosso da solo e per motivi personali e contingenti. Pensano al complotto e daranno la caccia ai complottisti. E ci saranno promozioni, aumenti di paga e stelle al merito per chi troverà colpevoli o presunti tali.
Ci saranno ulteriori repressioni anche nella società civile?
Ma la società civile non c’è più. Liberali e dissidenti sono quasi tutti emigrati all’estero o in prigione. E il resto tace. Sì, ci sarà ancora repressione, ma di un nuovo tipo: si cercheranno i nemici tra i sostenitori stessi del regime. E questo è una delle conseguenze più destabilizzanti del tentativo di Prigozhin.
Un suo libro sta andando a ruba in Russia. Titolo: “La fine del regime”. Non parla di Putin. È uno studio sulla fine delle dittature in Spagna, Portogallo e Grecia. Ma è indicativo che sia un best seller nelle librerie di Mosca. In che fase si trova il regime in Russia?
Siamo alla fine del periodo del consenso. Come successe per Franco a Madrid, per Salazar a Lisbona e in parte per Papadopoulos ad Atene, anche per Putin c’è stato il periodo della lotta per il potere, poi il periodo del consenso e adesso si è arrivati al periodo della fine del consenso. Non significa la fine del regime. Ma il modo in cui è guidato il Paese, il modo in cui vengono presentati pubblicamente gli obbiettivi politici, sono entrati in crisi. Si è nella fase che potrebbe precedere la morte del regime.
Ma Putin ha sempre goduto di un consenso che i leader politici europei se lo sognano.
Il consenso c’è stato eccome per Putin. E non solo da parte della maggioranza dei russi, ma anche da parte dei capi di stato e di governo mondiali. Ecco, quella fase si è consumata.
Parliamo di fine del consenso anche nelle élite russe?
Putin non è più una figura di consenso per le élite. Né lo sono i suoi obbiettivi e la sua visione. Si capisce dalle dichiarazioni pubbliche e private di chi lavora per il regime. E che continua a lavorare perché andarsene è troppo rischioso e comunque non saprebbe che fare. Ma in molti sarebbero ben contenti di andare in direzioni diverse da quelle attualmente imposte da Putin.
C’è da aspettarsi una rivolta da parte di qualche alto papavero scontento?
Putin resta l’unica garanzia di posizioni e privilegi. Il declino però è iniziato. Per ora le élite aspettano. Potrebbe esserci una lotta per il potere in futuro. E non è detto che le cose vadano peggio, per la Russia, prima di andare meglio.
Ma che aspettano le élite, di preciso? Che Putin muoia di vecchiaia, come Franco in Spagna?
Forse c’è chi aspetta proprio questo.
Il regine russo potrebbe finire “alla spagnola”, con una transizione indolore verso una democrazia moderna?
Sarebbe forse lo scenario migliore. Non dal punto di vista morale, perché molti dei protagonisti del regime resterebbero impuniti. Ma dal punto di vista della sicurezza sarebbe auspicabile, visti la grandezza del Paese, l’entità della sua popolazione e il suo arsenale nucleare.
Le pare uno scenario realistico, per la Russia?
Certo. È già successo qualcosa di simile, con la pacifica transizione che pose fine al sistema sovietico. E fu l’avverarsi del migliore scenario possibile, dati i presupposti.