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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Perché dopo gli attacchi tra Houthi e Israele si rischia un’escalation in Medioriente: l’analisi di Ispi

L’intervista di Fanpage.it a Luigi Tonineli, ricercatore ISPI dell’Osservatorio Medioriente e Nord Africa: “Gli Houthi hanno tutto a guadagnare politicamente contrattaccando Israele, anche se corrono pericoli dal punto di vista economico. Il rischio di escalation resta. L’unico modo di allentare la tensione nella Regione è un cassate il fuoco a Gaza”.
Intervista a Luigi Tonineli
ricercatore ISPI dell'Osservatorio Medioriente e Nord Africa.
A cura di Ida Artiaco
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"Anche se corrono un enorme rischio dal punto di vista economico, gli Houthi hanno tutto a guadagnare politicamente contrattaccando Israele. Resta difficile capire cosa succederà adesso, ma il pericolo di escalation c'è".

Così Luigi Toninelli, ricercatore ISPI dell'Osservatorio Medioriente e Nord Africa, ha commentato a Fanpage.it gli ultimi eventi che stanno tenendo alta la tensione nella Regione mediorientale, con i ribelli yemeniti che hanno lanciato un attacco con droni che ha provocato una vittima a Tel Aviv e la risposta di Israele, che a sua volta ha attaccato il porto di Hodeida, in Yemen, controllato dagli Houthi. I quali infine hanno promesso che "Israele pagherà il prezzo per aver preso di mira le strutture civili".

Dott. Toninelli, come interpretare quello che è successo tra Israele e Houthi alla fine della scorsa settimana?

"Da una parte abbiamo visto come gli Houthi, con un drone partito da migliaia di chilometri di distanza, siano riusciti a colpire direttamente Tel Aviv, il che ha messo in mostra ancora una volta la fragilità del sistema di difesa israeliano. Israele a sua volta ha dovuto rispondere per dimostrare in qualche modo che a ogni attacco corrisponde un contrattacco. L'attacco subito dagli Houthi, oltre a mostrare una certa forza da parte di Israele, mette in evidenzia due cose per i ribelli yemeniti: da una parte è una sorta di guadagno politico, perché possono capitalizzare questo tipo di attacco per dare forza allo slogan "Morte all'America, morte a Israele", e permettere anche di perpetuare la retorica di aggressione subita.

Dall'altra parte, però, è un fortissimo rischio perché è stato colpito il porto di Hodeida, ed è la prima volta che viene colpita una infrastruttura prettamente economica. Da qui passa il 90% del fabbisogno di cibo dello Yemen e gran parte delle rendite doganali viene proprio dal commercio che passa in questo porto che è in mano agli Houthi. Finora i raid statunitensi e britannici, che c'erano stati nei mesi scorsi e che continuano ad esserci contro gli Houthi, erano avvenuti contro obiettivi militari".

Cosa significa e cosa dovremmo aspettarci nelle prossime settimane?

"Sulla base di tutto questo, il guadagno nel breve periodo per gli Houthi sicuramente c'è, ma a livello economico il rischio è talmente grosso che un allargamento della guerra o un continuo innalzamento della tensione tra i due attori potrebbe costare caro al gruppo yemenita.

Al momento è complicato definire quali possano essere i loro calcoli, si parla anche di una crescente triangolazione con le milizie irachene che sembrerebbero disposte a supportare in qualche modo gli Houthi in questa fase. Sicuramente avrebbero le capacità per colpire Tel Aviv, hanno dimostrato di poterlo fare anche se Israele ha dichiarato che ci sono stati errori umani e falle nel sistema difensivo, che non è la prima volta che vengono fuori. Questo potrebbe fare gola agli Houthi. Resta difficile capire cosa succederà ma il rischio di escalation c'è".

Come si inserisce questo botta e risposta tra Houthi e Israele nel complesso quadro della Regione Mediorientale? 

"C'è una certa circolarità in quella che è la fase di escalation e che notiamo sia sulla Striscia di Gaza che al confine con il Libano. Ci sono attacchi, tentativi di mediazione e poi ancora nuovi attacchi. Sembra quasi un vortice da cui non si riesce ad uscire. Anche per quanto gli Houthi, abbiamo visto che già avevano iniziato a colpire Israele subito dopo gli eventi del 7 ottobre in supporto ad Hamas, ma soprattutto per rafforzare la propria agenda politica interna, dal momento che si trovavano in una fase di stallo della guerra civile e non sapevano più come portare avanti la propria azione di governo all'interno. Questo è servito a loro per legittimare la propria azione. Il fronte al momento più caldo sempre dunque essere proprio quello con gli Houthi perché portano avanti una agenda politica autonoma e al momento hanno vantaggio a mantenere alto il livello della tensione e a perpetuare questo stato di guerra e insicurezza anche nel Mar Rosso.

Cosa sta cambiando? C'è un maggiore coordinamento tra le milizie irachene e gli Houthi che potrebbe essere sintomo della volontà di tenere fuori dai giochi l'altro attore, o meglio l'elefante nella stanza, che è Hezbollah. Perché, se nelle scorse settimane abbiamo visto un innalzamento del livello di tensione lungo il confine libanese e in molti hanno pensato che quello potesse essere un nuovo fronte che si andava ad aprire, c'è un forte rischio per entrambi, sia per Hezbollah che perderebbe gran parte delle proprie capacità militari, che per Israele, perché Hezbollah è molto più forte di Hamas, per cui hanno riportato il livello di tensione ad una situazione accettabile per le parti. Allo stesso tempo, anche l'Iran non vorrebbe sacrificare Hezbollah, che è quasi un partner all'interno dell'asse della Resistenza. Questo coordinamento che sembra esserci in questa fase tra gli Houthi e le milizie irachene potrebbe fungere da contrappeso ad un allentamento della tensione al confine libanese o almeno è quello che potremmo osservare nelle prossime settimane".

Lei ha parlato di vortice. Come è possibile uscire secondo lei sa questa circolarità?

"L'unico modo è attraverso un approccio negoziale nel conflitto tra Hamas e Israele. Alla fine la palla è più che altro nelle mani di quest'ultimo, deve convincersi – e qualcuno deve fare pressione sulla leadership israeliana – che è il momento di fermare le ostilità a Gaza. Da qui potrebbe in qualche modo svilupparsi anche de-escalation lungo altri fronti. Ma il punto nevralgico per allentare la tensione a livello regionale è sicuramente un cessate il fuoco nella Striscia".

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