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Guerra in Ucraina

Perché con l’attacco in Russia l’Ucraina rischia grosso: il parere degli analisti

“Obiettivi strategici poco chiari, l’operazione ha soprattuto motivi politici”, dice a Fanpage.it l’ex consigliere militare di Kyiv Grant. Gli analisti: “Meglio rafforzare le difese nel Donbass che avanzare oltre confine. Però questo era l’unico modo per riprendere l’iniziativa”. Operazione più vasta di quanto sembrava fino a ieri.
A cura di Riccardo Amati
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Un’operazione su vasta scala che comporta molti rischi a fronte degli eventuali vantaggi tattici. E con obiettivi strategici poco chiari. L’intenzione è di distrarre forze russe da alcuni settori critici del fronte ucraino. Ma anche di sviare l’attenzione internazionale dalla lenta ma costante avanzata russa nel Donbass. E, probabilmente, di creare un diversivo che distolga dalla difficoltà della situazione politica a Kyiv.

Una ‘prima’ assoluta

“L’attacco ucraino nella oblast di Kursk costringe le forze armate russe a richiamarvi parte del gruppo operativo strategico Sever (significa ‘Nord’, ndr), che opera nella regione ucraina di Kharkiv”, dice a Fanpage.it Dmitry Kuznets, analista militare che segue la guerra per conto della testata indipendente Meduza.

La presenza di unità del gruppo Sever a contrastare l’attacco è stata poi confermata dal Capo di stato maggiore russo Valery Gerasimov. Secondo cui gli ucraini sono stati fermati e sconfitti.

In realtà la situazione “resta fluida ed è ancora in fase di sviluppo”, afferma Pasi Paroinen, ufficiale della riserva dell’esercito finlandese e analista del website di open source intelligence Black Bird.

Pasi Paroinen
Pasi Paroinen

“Le truppe russe inizialmente sono state travolte, a costo di perdite anche da parte ucraina”, spiega Paroinen a Fanpage.it. “I soldati di Kyiv puntano su Sudzha con l'intenzione prendere quell’area, che presenta un terreno favorevole, e poi di difenderla dai contrattacchi russi”. Sudzha è una cittadina di settemila abitanti a dieci chilometri dalla frontiera. Lo scopo complessivo dell’operazione "resta comunque poco chiaro”, sottolinea l’esperto.

Di certo, non si tratta di un’incursione limitata di 300 uomini e una decina di carri armati, come sembrava nei giorni scorsi. Gerasimov ha già alzato la stima ufficiale russa a mille combattenti nemici. “In realtà siamo a livello di brigate”, nota Dmitri Kuznets. “È certamente presente la 22a corazzata”. Significa migliaia di militari.

Una cosa completamente diversa dai raid dimostrativi oltre-confine operati in passato dai partigiani della Legione Libertà alla Russia. Che in questo caso non c’entra niente. A combattere nella regione russa di Kursk sono reparti regolari dell’esercito di Zelensky. Per la prima volta, apertamente. Il significato politico dell’operazione non passa certo inosservato.

Le forze in campo

A Mosca, Vladimir Putin ha parlato di “provocazione su larga scala” e convocato i suoi generali. Non sembra proprio averla presa sottogamba. Nessuno, al momento, conosce l’entità delle forze russe schierate a difesa della regione sotto attacco. Ovvero, quali unità Sever sono state rimpatriate dal fronte di Kharkiv.

Il gruppo Sever comprende l’11°Corpo d’armata e la 138a Brigata motorizzata fucilieri, secondo il website ucraino Information Resistance. In tutto, 48mila uomini. Con oltre 350 carri armati, più di ottocento Ifv — i veicoli da combattimento per la fanteria —, poco meno di mille sistemi di artiglieria, più di cento lanciarazzi multipli Grad e dai quattro ai sei sistemi missilistici tattici.

Una forza enorme, quindi. “Distoglierne anche solo una parte da Kharkiv potrebbe permettere agli ucraini di contrattaccare in quell’area cruciale”, ipotizza Kuznets. Ma per ora non è avvenuto. “Il fatto è che le forze armate di Mosca hanno abbastanza personale da poter affrontare la situazione senza movimenti di truppe drastici”, nota Paroinen.

L’esperto finlandese considera “estremamente rischiosa” la mossa dei generali di Zelensky. Nel Donbass le linee ucraine stanno cedendo. La situazione in direzione di Toretsk e Pokrovsk “è davvero terribile”. La caduta di una di queste città potrebbe aprire la strada ad attacchi verso il nord della regione, in particolare verso Kramatorsk.

“C’è da chiedersi perché le forze impiegate per questo attacco oltreconfine non siano state invece utilizzate per rafforzare le difese su quel quadrante”, sottolinea Paroinen. “Il rischio è doppio: non è in ballo solo il destino dei reparti coinvolti nei combattimenti nella regione di Kursk, ma anche la difesa di Toretsk e Pokrovsk”.

I dubbi sull’opportunità strategica dell’operazione sono leciti. Anche se l’offensiva comprende una o più brigate, non sembra prevedere la logistica necessaria per poter difendere a lungo i territori eventualmente conquistati. E poi le riserve di uomini e mezzi della Russia sono notevoli e per il momento intatte, se è vero che a intervenire a difesa della oblast di Kursk per adesso sono stati solo reparti che erano già operativi in linea altrove.

I veri motivi dell’operazione

È probabile che l’attacco in territorio russo sia stato lanciato per tirar su il morale delle forze armate ucraine. E anche quello del Paese, più in generale.

“Si trattava di riprendere l’iniziativa, di dimostrare che è ancora possibile attaccare”, sostiene l’analista Kuznets. “L’esercito russo ha uomini e mezzi sufficienti per poter decidere quando e dove farlo. Quello ucraino no. Ha colto l’occasione, perché la regione russa di Kursk era meno difesa delle linee nemiche sul fronte di Kharkiv, in territorio ucraino”.

Non sono poi da sottovalutare i motivi politici dell’iniziativa. Riguardano gli equilibri al vertice delle forze armate e quelli del potere a Kyiv. “Probabilmente l’attacco oltreconfine è stato lanciato per distogliere l’attenzione dal fatto che l’esercito ucraino sta perdendo”, commenta a Fanpage.it Glen Grant. Ex colonnello britannico e analista del settore Difesa, Grant è stato consigliere militare del governo ucraino e conosce di prima mano le dinamiche che agiscono nei palazzi della capitale.

“Syrskyi (Oleksandr Syrsky, Capo di stato maggiore delle forze armate dell’Ucraina, ndr) potrebbe essere sotto preavviso, perché non sta facendo granché bene. Forse ha pianificato un’operazione così eclatante per risollevare le sue azioni”, si domanda Grant. “Fatto sta che da due anni a questa parte la politica di Kyiv ha preso l’abitudine di creare distrazioni dalle cattive notizie. L’attacco potrebbe essere un esempio di questo vizio”.

Glen Grant
Glen Grant

Buone notizie contro cattive notizie

Secondo Grant, di cattive notizie da nascondere Kyiv ne ha parecchie. “Le truppe ucraine stanno indietreggiando. Niente di drammatico, tutto avviene lentamente. Però si cedono villaggi al nemico e si indietreggia. È naturale che sia così: a combattere è soprattuto gente tra i 40 e i 50 anni. Lo stanno facendo dal 2022, con coraggio e dedizione. Ma non ne possono più. Dov’è la tanto sbandierata nuova mobilitazione”?

Da militare con 37 anni di esperienza e diverse guerre alle spalle, Grant non riesce a individuare alcun obiettivo strategico nell’attacco in Russia: “Quali sono gli ordini per il dispositivo all’attacco? Quanto lontano vogliono arrivare? Dovranno pur tornare indietro, a un certo punto. Non hanno alcuna possibilità di crearsi un corridoio logistico sistemico in territorio russo”, nota l’ex colonnello dell'esercito di Sua Maestà.

“Se la mossa fosse strategica, dovremmo vedere un’azione ucraina altrove. Sul fronte di Karkhiv, per esempio. Bene, non sta avvenendo”. E allora, c’entra solo la politica? “Tutto è politica, in questo conflitto. Che è diretto dall’amministrazione presidenziale, non dai generali. Syrsky è uno strumento nelle mani di Yermak (Andrey Yermak, capo di gabinetto del presidente Volodymyr Zelensky, ndr). È lui, di fatto, a dirigere la guerra”.

Fino a prova contraria, l’"operazione Kursk" ha ragioni più politiche che militari: “Si vuol dare al Paese una buona notizia perché il partito di governo sta diventando sempre meno popolare. Soprattutto per come è gestito l’esercito e per come sta andando la guerra”, conclude il colonnello Grant. Tutto questo, fino a prova contraria, appunto. A fornirla o meno, sarà il campo di battaglia.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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