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Perché Assad in Siria è sempre più solo e quali sono gli obiettivi della Turchia di Erdogan

Bashar al-Assad è sempre più solo mentre continua l’offensiva dei ribelli islamisti. A sostenere Hts la Turchia di Recep Tayyip Erdogan che nei mesi scorsi aveva continuato a chiedere al presidente siriano di trovare un accordo con le opposizioni.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Il presidente siriano Bashar al-Assad è sempre più solo mentre continua l'offensiva dei ribelli islamisti, insieme ai fuoriusciti dell'Esercito siriano libero (Fsa), sostenuti dalla Turchia, del movimento Tahrir al-Sham (Hts). Dopo essere entrati ad Aleppo, lo scorso 30 novembre, gli insorti hanno percorso l'autostrada che collega la seconda città della Siria con la capitale, Damasco, entrando ad Hama, 110 km a Sud di Aleppo, storica roccaforte delle opposizioni islamiste al regime degli al-Assad.

Nell'assenza di forze di sicurezza, centinaia di detenuti hanno potuto lasciare le carceri della città. Non solo, da Hama è arrivata anche la simbolica immagine dell'abbattimento di una statua di Hafez al-Assad dopo l'ingresso dei ribelli. Tuttavia, il ministro della difesa, Ali Mahmoud Abbas, in una rara intervista televisiva ha assicurato che il ritiro dell'esercito da Hama è solo “una misura tattica temporanea”.

Nel 1982 furono migliaia i morti tra i Fratelli musulmani siriani nell'assedio della città da parte dell'esercito regolare guidato dal padre di Bashar, Hafez al-Assad. Come se non bastasse, lo scorso venerdì i ribelli di Hts, guidati da Abu Mohammed al-Jolani, hanno raggiunto la città di Dar al-Kabera, nella periferia di Homs, distrutta dalla guerra civile.

Bashar al-Assad è sempre più solo

Non solo, oltre il 90% della regione meridionale di Daraa in Siria, inclusa la città di Suwayda, da dove sono partite le proteste anti-governative del 2011, è in mano ai ribelli. Gli insorti avrebbero raggiunto un accordo con i militari di al-Assad che avrebbero ottenuto un lasciapassare per rientrare nella capitale
Damasco, a circa 100km più a Nord. E così al-Assad ha promesso un aumento dei salari del 50% per i militari che manterranno le posizioni.

Daraa è vicina al principale valico di frontiera con la Giordania che ha chiuso il confine, così come ha fatto il Libano, a causa dell'"aggravarsi delle condizioni di sicurezza nel Sud della Siria”. Non solo, l'esercito israeliano (Idf) sta rafforzando il confine tra Israele e Siria e ha per questo inviato forze aeree e terrestri sulle Alture del Golan. Un eventuale controllo da parte di Hts di gran parte della Siria potrebbe peggiorare le condizioni di sicurezza per Tel Aviv.

L'indebolito esercito di al-Assad, nonostante la retorica anti-israeliana, non ha risposto nei mesi scorsi ai continui raid di Idf in territorio siriano in funzione anti-iraniana. Dal canto loro, le forze siriane democratiche di (Sdf), guidate dai curdi, che nei giorni scorsi avevano mandato i rinforzi delle Unità di protezione maschili e femminili (Ypg/Ypj) per riprendere il controllo dei quartieri curdi di Aleppo, Ashrafieh e Sheikh Maqsud, controllano la città di Deir Ezzor, a Sud di Raqqa, ultima roccaforte di Isis liberata nel 2017.

I combattenti curdi hanno anche denunciato la presenza ad Aleppo, dopo l'invasione dei ribelli, di Abu Hatem Shaqra, comandante della fazione di Fsa responsabile dell'assassinio della nota politica curda, Hevrin Khalaf nel 2019. “Abbiamo evacuato Tal Rifaat e al-Shahba, dove si trovavano gli sfollati curdi del cantone di Afrin in mano alla Turchia, mentre continuiamo a proteggere i curdi assediati nei quartieri di Aleppo”, ha dichiarato Mazloum Abdi di Sdf.

Secondo la coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, sono andati avanti nella notte di venerdì i raid di Fsa anche sulla linea del fronte di Manbij.

Con l'aggravarsi del conflitto, peggiora poi la situazione umanitaria con oltre 370mila sfollati, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, mentre secondo le opposizioni, sarebbero fin qui 820 i morti, inclusi 111 civili. In particolare ad Aleppo, ospedali, fornai, energia elettrica, acqua e telecomunicazioni hanno smesso di funzionare.

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La Turchia di Erdogan sostiene i ribelli

A sostenere Hts c'è prima di tutto la Turchia di Recep Tayyip Erdogan che nei mesi scorsi aveva continuato a chiedere al presidente siriano Bashar al-Assad di trovare un accordo con le opposizioni. “L'obiettivo è Damasco”, ha tuonato il presidente turco dopo la preghiera del Venerdì. “Abbiamo chiesto ad al-Assad di determinare il futuro della Siria insieme”, ma non ha mai risposto, ha fatto sapere Erdogan, avvertendo che tra i ribelli si trovano fazioni jihadiste pericolose.

Nei giorni scorsi, il presidente turco aveva parlato della necessità di un “processo politico genuino” con le opposizioni con l'obiettivo di evitare a tutti i costi che il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) di Abdullah Ocalan si avvantaggiasse degli sviluppi in Siria. In realtà, questa avanzata così veloce ed efficace verso Homs non avrebbe potuto avere luogo senza la completa approvazione di Ankara e dell'intelligence turca.

Da parte sua, il leader di Hts, Abu Mohammed al-Jolani, ha cercato di rassicurare sottolineando le differenze tra il suo gruppo e i terroristi dello Stato islamico (Isis), che è avanzato in Siria nel 2014, e al-Qaeda, presentandosi come una forza nazionalista anti-Assad. Al-Jolani ha anche confermato al premier iracheno, Mohammed al-Sudani, che il conflitto non si estenderà al paese vicino.

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Russia e Iran hanno chiesto ai loro cittadini di lasciare il paese

I paesi che più di ogni altro continuano a sostenere “incondizionatamente” al-Assad sono la Russia e l'Iran. Ma forse con meno convinzione del passato. Gli aerei militari di Mosca hanno bombardato il ponte di Rastan per ostacolare l'avanzata dei ribelli verso Homs, mentre raid dell'aviazione di Damasco hanno colpito Talbiseh sulla strada tra Hama e Homs.

Sebbene il Cremlino sia impegnato sul fronte ucraino in questa fase, ha tutto l'interesse a mantenere il controllo sul porto di Tartus in Siria, la porta russa sul Mediterraneo. Eppure Mosca, così come Washington, ha chiesto ai suoi connazionali di lasciare il paese, segno del deterioramento delle condizioni di sicurezza interna. Particolarmente indebolito è il fronte iraniano di sostegno ad al-Assad.

I combattenti sciiti libanesi di Hezbollah sono stati centrali nel sostenere il presidente siriano in questi anni ma sono usciti gravemente indeboliti dai raid israeliani che hanno decimato il partito con l'uccisione lo scorso 27 settembre anche del leader, Hassan Nasrallah. Eppure i principali rinforzi a sostegno di al-Assad sono arrivati ancora una volta da Teheran. Le milizie sciite, colpite dai raid israeliani in Siria e in Iraq, sono partite dalle basi irachene per raggiungere il Nord del paese. In particolare si sono diretti nella città della Siria orientale di Bukamal i combattenti delle milizie Kataib Hezbollah e Fatemiyoun.

Teheran è anche impegnata sul fronte negoziale per il suo programma nucleare. E così il capo dell'Agenzia internazionale per l'Energia atomica (Aiea), Rafael Grossi ha avvertito che “l'Iran è pronto ad aumentare in modo drastico la sua riserva di uranio”. Questo potrebbe velocizzare il processo di realizzazione di un'arma atomica da parte iraniana. Il pericolo che il programma nucleare iraniano non fosse solo a scopo civile aveva innescato le sanzioni internazionali che continuano a gravare sul popolo iraniano.

Non solo, l'aggravarsi della guerra in Siria potrebbe mettere a rischio tutte le minoranze nel paese, a partire dai cristiani, ma anche gli alawiti, con radici sciite e di cui fa parte la stessa famiglia degli al- Assad. I paesi partner del processo di Astana (2017), Turchia, Russia e Iran discuteranno domenica a Doha del futuro della Siria.

Saranno questi colloqui a decidere quale sarà la sorte di Bashar al-Assad, se dovrà lasciare il paese, vedrà il suo potere limitato al controllo sulla capitale o se avrà il sostegno per respingere l'avanzata dei ribelli. La Siria è sempre invischiata in una guerra per procura che ha distrutto il paese negli ultimi 13 anni. Questa volta però, il solido accordo tra Mosca e Teheran per mantenere al potere al-Assad è stato duramente sbilanciato dal vuoto di potere lasciato dagli attacchi israeliani contro Hezbollah in Libano e contro le milizie sciite in Siria e in Iraq di cui si sono avvantaggiati i gruppi jihadisti e di ribelli, finanziati dalla Turchia, interessata principalmente a mettere fine al progetto curdo di autonomia democratica del Rojava.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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