Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“Per noi non ci sono rifugi, non contiamo per nessuno”, l’attacco dell’Iran visto dai palestinesi

Il racconto a Fanpage.it di alcuni cittadini palestinesi: “Qui non abbiamo bunker, in tutta la Cisgiordania occupata non ci sono rifugi aerei se non per le colonie israeliane, non abbiamo posti dove stare al sicuro”.
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“Ho paura, vedo i fili elettrici di fronte casa mia in fiamme. Io e i miei genitori non sappiamo dove andare, noi palestinesi qui non abbiamo rifugi”, racconta a Fanpage Islam, un giovane palestinese con cittadinanza israeliana dalla sua casa a Taibe, una città a nord di Tel Aviv. Da qui i missili lanciati dall’Iran contro Israele, in risposta (come dichiarato dalla guardia rivoluzionaria iraniana) all’assassinio di Ismāʿīl Haniyeh, capo politico di Hamas, Sayed Hassan Nasrallah e Martyr Nilforousan, rispettivamente leader e segretario generale di Hezbollah, si vedono nitidamente.

“Uno, due, tre, quattro”, li conta il giovane indicandoli in cielo, prima che uno di loro arrivi a terra. Un forte boato poi, a diversi chilometri di distanza, un bagliore rosso illumina il cielo. Qui vivono solo palestinesi, come in tutte le città arabe dentro Israele, ma i missili non badano ad etnia, e durante l’attacco iraniano di questa sera alcuni razzi sono caduti anche nella Cisgiordania occupata. Come dimostrano alcuni video postati sui social, un missile sarebbe caduto ad Hebron, e le schegge di un altro missile avrebbero ucciso un giovane a Gerico.

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“Per me oggi non c’è davvero niente da festeggiare. Il palestinese che è stato ucciso dalle schegge di un missile iraniano a Gerico, era un uomo di Gaza, un ex operaio a cui, dopo il 7 ottobre, Israele non aveva permesso di tornare a casa sua. Per tutti questi mesi era stato ospitato in un dormitorio offerto dall’autorità palestinese. A me viene solo da piangere”, ammette Akka, residente a Ramallah, capitale della Palestina occupata. “Abbiamo vissuto dei momenti orribili. L’unica cosa che ho fatto quando è iniziato l’attacco è stato svegliare mia figlia e dirle che c’erano i missili sopra la nostra testa. Il vetro delle finestre tremava, abbiamo visto i missili così vicini che avevo il cuore fuori dal petto per la paura”, continua.

“Le sirene suonavano ma non per noi, per le colonie circostanti. Non sapevamo niente di quest’attacco, l’Autorità Palestinese non ci ha neanche mandato un messaggio di allerta, ma anche se ci avessero avvertito dove saremmo potuti andare? Qui non abbiamo bunker, in tutta la Cisgiordania occupata non ci sono rifugi aerei se non per le colonie israeliane, non abbiamo posti dove stare al sicuro”, continua la donna con rabbia. “Di noi non frega niente a nessuno. Non contiamo, noi palestinesi non contiamo niente. Non capisco la felicità di alcune persone all’interno e all’esterno del paese, noi palestinesi siamo quelli che paghiamo e pagheremo il prezzo più alto ma per il mondo intero siamo solo numeri”.

A circa trenta chilometri di distanza, a Betlemme, nel quartiere di Beit Jala, Jamal è ancora chiusa nel garage di casa sua. “Siamo nel garage di casa – racconta a Fanpage poco dopo l’attacco mentre prova a calmare i suoi due figli terrorizzati – dicono che questo sia il posto più sicuro se dovesse cadere un missile. Non avevo altra scelta che scendere qui, la situazione era troppo pericolosa, il cielo sopra noi era pieno di missili”, conclude.

In alcune città c’è chi festeggia, da alcuni video girati a Nablus si sentono canti e urla di gioia. Per qualcuno, evidentemente, quella dell’Iran è la vendetta attesa, che nella disperazione del silenzio complice della comunità internazionale, mostra al popolo palestinese che qualcuno è ancora disposto a colpire il loro nemico.

I fatti, però, raccontano ancora una volta una storia incapace di sottrarsi al paradosso della guerra: l’unico morto accertato dell’attacco iraniano su Israele è, fin’ora, un palestinese.

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