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Patrick Zaki si racconta: “Così il calcio mi ha salvato, fuori e soprattutto dentro la prigione”

Il lungo racconto di Patricl Zaki sulla sua ossessione per il calcio, alla vigilia dell’udienza del processo che lo vede imputato in Egitto: “L’amore per il calcio mi ha salvato e più volte mi ha impedito di impazzire. Il sostegno del mondo del calcio è stato uno dei gesti di solidarietà più importanti che ho ricevuto”.
A cura di Ida Artiaco
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In attesa della nuova udienza del processo a suo carico, in programma il prossimo 5 aprile, Patrick Zaki si racconta. L'attivista per i diritti umani e studente dell'Università di Bologna, arrestato il 7 febbraio 2020 di ritorno al Cairo per una vacanza, ha ripercorso in un lungo scritto, pubblicato dal Corriere della Sera, le sue passioni, che lo hanno salvato sia fuori che dentro il carcere egiziano, dove è rimasto per 22 mesi. In particolare, ha parlato del calcio, che ha definito una "ossessione", che ha ereditato da suo padre, tifosissimo, come tutta la famiglia, della squadra dello Zamalek. "Fin da piccolo preferivo il calcio a qualsiasi altra cosa, anche guardare i programmi tv per bambini e i cartoni animati", ha detto, aggiungendo che quella era "un’ossessione che neanche la prigione può turbare".

Ricorda in particolare il suo incontro con "Coulibaly, il professionista maliano che giocava nello Zamalek. Se devo dire la verità, ho messo in imbarazzo i miei genitori parecchie volte in occasione dei miei incontri con i calciatori", ha scritto Zaki. Nel lungo scritto, l'attivista ricorda anche come il calcio sia stato il protagonista dei giorni precedenti e successivi al suo arresto al Cairo nel febbraio del 2020. "Dopo il fermo all’aeroporto e il trasferimento a Mansoura – si legge -, sono stato detenuto nella stazione di polizia di quella città e i primi giorni sono stati sicuramente i più difficili. Ciò nonostante, grazie alla visita dei familiari di uno dei detenuti, potei sbirciare su un giornale quello che succedeva nel mondo del calcio, subito dopo aver cercato le notizie su di me e sul mio caso. Credo che fosse la forza dell’abitudine, o l’incapacità di comprendere che cosa in realtà stava succedendo, o forse era una specie di fuga mentale dalla situazione".

Dalla stazione della polizia di Mansoura fu poi trasferito al complesso carcerario di Talkha, in una cella sovraffollata. Quel giorno giocava lo Zamalek. "Non pensavo nemmeno ai maltrattamenti, o ai bisogni basilari insoddisfatti, perché ero abituato a vivere con poco o niente: acqua pulita da bere e un po’ di sapone mi sarebbero bastati per qualche giorno, in attesa degli eventi. Quel giorno seppi che la partita fra lo Zamalek e i rossi sarebbe cominciata verso le sette, e tentai in tutti i modi di raggiungere una fonte sonora. Mi sedetti vicino alla finestra, ma i trasformatori elettrici e il ventilatore rovinavano ogni tentativo di sentire qualcosa; il loro rumore copriva perfino le grida delle persone sedute al caffè vicino, dalle quali speravo di intuire l’andamento della gara. Dovevo trovare un modo", scrive Zaki, che aggiunge: "Quel giorno, diversamente da quanto facevo di solito, anch’io gli chiesi del tè, così da potergli poi chiedere come procedeva la partita, e in effetti lui arrivò poco dopo l’inizio e mi disse che «il risultato è ancora sullo zero a zero». Poi aspettai un’ora e passa, ma lui non tornava e io avevo perso la speranza di sapere l’esito del match, quando invece eccolo comparire all’improvviso dal nulla e gridare: «Signor Politico, lo Zamalek ha vinto ai calci di rigore!». Provai a chiedergli chi aveva segnato, ma non mi rispose".

Ed anche in seguito, dopo il trasferimento nella prigione di Tora, il suo amore per lo Zamalek contribuì a mantenerlo vivo. "Il calcio in prigione è l’argomento intorno a cui possono ritrovarsi persone dall’estrema sinistra all’estrema destra dello spettro politico. Le discussioni e gli scherzi sul calcio non coinvolgevano solo i compagni di prigionia, ma anche le guardie con cui avevamo rapporti quotidiani", continua. Poi, la conclusione: "L’amore per il calcio mi ha salvato e più volte mi ha impedito di impazzire. Il sostegno del mondo del calcio è stato uno dei gesti di solidarietà più importanti che ho ricevuto. Il mio ringraziamento finale va ai miei compagni di prigionia tifosi, che hanno rischiato molto per procurarsi una radio attorno a cui radunarsi e rubare così 90 minuti a una realtà ingiusta e orribile, che non si meritano".

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