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Conflitto Israelo-Palestinese

“Parere dell’Aja è un’arma contro occupazione e discriminazione da parte di Israele”: parla la giurista

Fanpage.it intervista Micaela Frulli dopo il parere della Corte dell’Aja: “Illiceità dell’occupazione, entità territoriale comprendente Gaza e riconoscimento di una discriminazione sistemica che ricorda l’apartheid: questi i punti esplicitati dalla Corte da utilizzare per far pressione sullo Stato ebraico”.
Intervista a Micaela Frulli
Docente di Diritto internazionale all’Università di Firenze
A cura di Riccardo Amati
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Non è una sentenza. È solo un parere non vincolante. Ma la Corte internazionale di giustizia (Cig) è il maggiore organo giudiziario delle Nazioni Unite. E quel che ha espresso su richiesta dell’Assemblea Onu riguardo alla presenza israeliana nei Territori palestinesi “costituisce un appiglio giuridico formidabile per una circostanziata pressione della comunità internazionale sullo Stato ebraico”. Affinché disinneschi una situazione creata da sue violazioni del diritto. E si riapra la strada per un processo di pace che mai come oggi appare remoto se non irraggiungibile.

Micaela Frulli, docente di Diritto internazionale all’Università di Firenze, non è esattamente ottimista. Ma sottolinea, commentando a Fanpage.it il parere della Cig, i punti del documento che possono essere utilizzati come sostegno a un’azione politica non più rinviabile. E che non può non prevedere “la fine dell’occupazione dei Territori e l’abrogazione delle leggi che hanno istituito istituito ciò che la Corte è arrivata a un passo da definire apartheid”.

Micaela Frulli
Micaela Frulli

Professoressa Frulli, quali sono i punti più importanti del parere della Corte dell’Aja?

Gli aspetti più importanti sono due. La Corte definisce Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza come un’unica entità territoriale occupata da Israele. Cosa che fuga ogni dubbio riguardo al fatto che la Striscia sia a tutti gli effetti da considerarsi sotto occupazione, nonostante la sua situazione diversa perché — almeno fino al 7 ottobre scorso — non vi era presenza militare israeliana (la richiesta del parere della Cig riguardava la situazione antecedente alla guerra in corso, ndr). Da questa constatazione di territorio occupato, di fatto annesso, derivano per l’occupante tutti gli obblighi previsti dalla Quarta Convenzione di Ginevra, relativi alla protezione dei civili in tempo di guerra. Israele non li ha osservati. L’occupazione viene definita dalla Corte come ‘illecita’. Nel parere si esplicita che deve terminare il prima possibile. Ma finché la situazione non cambia, lo Stato ebraico ha il dovere di proteggere i palestinesi di Gaza.

Ovvero deve applicare la Quarta convenzione di Ginevra…

E non solo: ci sono anche le norme dei trattati internazionali sui diritti umani. I giudici hanno richiamato espressamente la violazione della convenzione sull’eliminazione di ogni discriminazione razziale (adottata dall'Assemblea Generale dell’ Onu nel 1965 entrata in vigore internazionale dal 1969 e riguardante 182 Stati, tra cui — a pieno titolo dal 1979 — anche Israele, ndr). La Corte ha parlato di “discriminazione sistemica”. E questo è il secondo punto molto importante.

Perché?

Perché è un affermazione forte, usata di rado dai giudici internazionali: è qualcosa di molto ma molto vicino all’accusa di apartheid. La Cig, nel parere, ha dichiarato in modo chiaro e dettagliato che le leggi israeliane istitutive di questa “discriminazione sistemica” vanno abrogate al più presto.

Abbiamo parlato di Gaza, ma cosa implica il parere della Cig per la Cisgiordania?

Tra le altre cose, implica che le colonie vanno evacuate. Tutti gli insediamenti avvenuti a partire dal 1967 sono stati dichiarati illeciti e devono essere abbandonati (con la Guerra dei sei giorni, nel 1967, Israele conquistò la penisola del Sinai la striscia di Gaza dall’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est dalla Giordania e le alture del Golan dalla Siria, ndr). Ancor più importante: è previsto il “diritto al ritorno“ per i palestinesi. Gli sfollati del 1967 devono poter tornare a casa loro, dice la Corte. Che poi si addentra nei dettagli tecnici della “restituzione della terra e delle proprietà” a chi di dovere. Prevedendo compensazioni finanziarie per chi ha avuto la sua casa distrutta. Oltre a definire una serie di atti illeciti da parte di Israele, la Cig ne ha affrontato le conseguenze dal punto di vista pratico della riparazione dei danni subiti. Non solo si è espressa per l’interruzione immediata degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e per l’evacuazione di quelli esistenti, ma ha anche previsto che i palestinesi che hanno subito danni alle loro proprietà a causa della colonizzazione israeliana venga risarcito.

Tutto questo è bello e giusto. Ma Israele sembra proprio non voler tener conto, del parere dell’Aja…

Comunque questo parere mette in chiaro molte cose e dà alla comunità internazionale appigli giuridicamente sicuri per far pressione al fine di correggere la disastrosa situazione attuale. Gli Stati terzi, ovvero anche noi, hanno adesso strumenti legali in più per non riconoscere l’occupazione israeliana e non facilitarla in alcun modo. Sono chiamati a non fornire armi a Israele. E anche alcune forme di boicottaggio diventano più apertamente lecite. Questo potrebbe portare a una maggioranza nell’Assemblea generale dell’Onu per l’approvazione di risoluzioni che sanzionino Israele. Solo un ingenuo potrebbe aspettarsi decisioni vincolanti da parte del Consiglio di Sicurezza. Ma le risoluzioni dell’Assemblea hanno il loro peso politico. E poi, gli Stati le sanzioni potrebbero adottarle anche per conto proprio. Quelle contro la Russia non sono mica state imposte da risoluzioni o decisioni prese all’interno del Palazzo di vetro. Si è agito soprattutto al di fuori del contesto delle Nazioni Unite, in base alla convinzione — fondata sulle norme vigenti — che la Russia abbia violato il diritto internazionale.

Ci dà un esempio di cosa potrebbero fare gli Stati terzi chiamati a tener conto del parere della Cig?

Addirittura in questi giorni si sta parlando di escludere Israele dai giochi olimpici o dalla Fifa. I puntelli giuridici forniti ora dalla Corte dell’Aja rendono più realistica la possibilità di sanzioni di questo tipo. È solo un esempio. Alcuni Stati hanno già imposto sanzioni unilaterali o addirittura rotto le relazioni diplomatiche col Paese di Netanyahu. Il parere di giudici dell’Aja adesso suona come una sfida per Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna a intraprendere una strada per quanto possibile simile.

Lei è ottimista, in merito?

No. Però piano piano, un passo alla volta, la situazione potrebbe davvero cambiare. Ricordiamoci del Sudafrica: c’è voluto molto tempo perché l’apartheid diventasse Storia. Ma alla fine è successo. Intanto, è diventato più chiaro come l’occupazione prolungata da parte di Israele di territori altrui sia una violazione del principio che vieta di ottenere conquiste territoriali con la forza. E che è una violazione grave del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Ma, al di là di questo aspetto “macro giuridico”, colpisce tutta la serie di passaggi tecnici previsti dalla Corte riguardo all’applicazione e alle conseguenze dei principi individuati. Si va nei dettagli. Si parla dell’illegalità di distruggere le case espropriate e prese con la forza. Si parla anche di violazione della “proprietà culturale” palestinese, dei beni culturali compromessi. E di risarcimenti. La pressione su Israele potrebbe aumentare. Perché la Corte dell’Aja ha esplicitato in modo inequivocabile e dettagliato cosa è necessario fare per disinnescare una situazione disperata divenuta insostenibile.

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