Paraguay: Il ‘golpe non-golpe’ di Federico Franco, molti paesi ritirano gli ambasciatori
Non avrà vita facile il governo di Federico Franco, nuovo capo di stato del Paraguay, subentrato a Fernando Lugo in condizioni che rivelano la matrice tendenzialmente golpista del passaggio di potere; e non avrà vita facile soprattutto perché i paesi sud americani non mostrano di gradire affatto le modalità di destituzione dell'ex presidente, ma soprattuto non accettano che dietro la destituzione si muovano – nell'ombra – gli interri economici delle grandi aziende internazionali, delle lobby, delle oligarchie paraguaiane. Il Venezuela di Chavez ha interrotto le attività diplomatiche e ha già imposto il blocco dei rifornimenti di petrolio: Brasile, Cile, Perù e Uruguay hanno ritirato gli ambasciatori, l'Argentina lo aveva già fatto due mesi or sono; Alianza Biodiversidad, colazione composta da organizzazioni ambientaliste provenienti da Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costarica, Ecuador, Messico e Uruguay, ha affermato di voler accompagnare "il popolo paraguayo nella sua resistenza" dichiarando che s'impegnerà "a sostenere la denuncia di illegittimità dell'attuale governo e ad appoggiare la lotta del popolo paraguayo e le rivendicazioni delle organizzazioni campesinas e dei popoli indigeni del Paraguay", ma il comunicato di Aliaza Biodiversidad prosegue con una chiara denuncia in cui si afferma che il golpe-non-golpe si inserisce all'interno di "una complessa trama, nella quale migliaia di campesinos sin tierra vedono avanzare i grandi produttori brasiliani sul Paraguay per seminare soia transgenica, insieme a quella imbastita contro il governo per introdurre definitivamente gli Ogm in tutto il Paese, ha concluso un colpo di Stato "express" come quello che gli alleati politici dell'agribusiness hanno attuato rapidamente per destituire il Presidente del Paese".
Gli USA tentato di mostrare equidistanza chiamando il popolo alla calma e i politici alla responsabilità, avallando – di fatto – il passaggio di governo. Su tutto, poi, aleggia lo spettro di Wikileaks che, già nel 2008 – dopo appena un anno dall'elezione del vescovo dei poveri – rivelava l'intenzione dei liberali presenti in parlamento di complottare contro Lugo, sottoponendolo a un processo politico con il placet degli USA. Gli Stati Uniti, infatti, erano da tempo informati riguardo il clima complottista che circondava Lugo ma, essendo il parlamento espressione di potenti lobby economiche (ovvero di quel 2% di popolazione che possiede l'89& delle terre paraguaiane) l'alleanza tra i liberal radicali autentici paraguaiani e gli Stati Uniti è un'alleanza naturale. Ma è pur vero che il governo di Lugo non è stato caratterizzato da grandi rivoluzioni, né nel settore sanitario, né in quello dell'equa ripartizione delle ricchezze, né in quello dell'indipendenza dalle grandi aziende straniere, né in merito all'attacco alle oligarchie. Ciononostante, quelle stesse oligarchie – dopo quattro anni di lavoro sotterraneo – sono riuscite a metterlo alla porta attraverso un procedimento sì legale, ma non per questo legittimo.
Il casus belli riguarda un tragico episodio che ha portato alla morte di diciassette persone e al ferimento di ottanta; episodio di cui Lugo è stato ritenuto moralmente responsabile. L'evento risale allo scorso 15 giugno e si inserisce all'interno del contesto delle lotte dei campesinos sin tierra, i poverissimi contadini paraguaiani che rivendicano il diritto di coltivare terreni lasciati allo stato brado da proprietari tanto satolli quanto avidi. I contadini costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione e Lugo aveva dato loro una speranza. A causa di questa speranza e per aver sostenuto i principi della rivendicazione contadina – ma non sempre la lotta dei campesinos – il senato ha accusato Lugo di essere moralmente responsabile della morte di 11 contadini e 6 poliziotti; morti avvenute nel corso di una violenta protesta andata in scena a Curuguaty. Incredibilmente, Lugo viene accusato sia di aver "sobillato" i contadini che di aver "represso la protesta" e, sebbene le mosse che hanno portato alla destituzione dell'ex vescovo siano state studiate perché rimanessero all'interno dei confini delle legalità, non pochi dubbi sorgono intorno alle ragioni che hanno portato alla sua rimozione. L'accusa di impeachement, infatti, è stata giudicata fondata dal senato paraguaiano con una maggioranza schiacciante – e a nulla sono valse le proteste riguardanti l'anticostituzionalità del procedimento – ma è pur vero che lascia enormemente perplessi il fatto che a Lugo siano state concesse solo ventiquattro ore per prepararsi e due per presentare la difesa. Risultato? Un processo lampo che si è concluso con l'ex presidente che scegli di prendere atto della decisione del senato, senza opporvisi. E così, l'uomo che nell'aprire del 2008 riuscì a portare la sinistra al potere dopo trentacinque anni di violenta dittatura e diciassette di "democradura", viene messo da parte.
La ragione di tale manovra non sta tanto in quel che Lugo ha fatto, ma in quel che non avrebbe mai potuto fare. L'operato dell'ex presidente, pur essendosi contraddistinto per un buon numero di riforme in favore dei campesinos, non ha certo avuto il sapore della rivoluzione, anzi: c'è stata grande attenzione, cautela, rinuncia, compromesso, estenuante contrattazione, il tutto nella convinzione che fosse preferibile procedere a piccoli passi, senza scuotere troppo gli interessi particolari. E invece il Paritito Liberal Radicale Autentico del Paraguay non ha mai smesso di complottare negli interessi delle lobby. Perché l'obiettivo, secondo quanto dichiarato dal giornalista paraguayo Idilio Méndez Grimaldi, è quello di agevolare "l'avanzamento del commercio agricolo estrattivista per mano di multinazionali come la Monsanto mediante la persecuzione dei contadini e alla confisca delle loro terre e, infine, l’installazione di una platea conveniente all’oligarchia e ai partiti di destra per il loro ritorno trionfale al potere esecutivo nelle elezioni del 2013”. E questo, Lugo, non lo avrebbe fatto mai.