Paola Caridi: “Uccidendo i leader di Hamas fuori da Gaza Netanyahu ha scelto di allargare il conflitto”
In 48 ore lo scenario del conflitto in Medio Oriente si è allargato da Gaza a tutta la regione. Prima l'omicidio extragiudiziale del numero due dell'organismo politico di Hamas, Saleh al-Arouri ucciso a Beirut con un drone, poi in Iran due bombe – i cui mandanti e esecutori sono quanto mai incerti – sono esplose tra la folla che andava a rendere omaggio al generale Qasem Soleimani nel quarto anniversario della morte facendo oltre cento morti. Ne abbiamo parlato con la giornalista e analista Paola Caridi, autrice di "Hamas. Dalla resistenza al regime" (Feltrinelli) e esperta di Medio Oriente.
Martedì 2 gennaio un drone ha ucciso sette esponenti di Hamas a Dahieh, quartiere di Beirut Sud, roccaforte di Hezbollah. Tra loro Saleh al-Arouri, tra i principali leader dell'organizzazione. Chi era il dirigente eliminato da Israele?
Saleh al-Arouri era tra i fondatori delle Brigate Ezzedin al-Qassam e il numero due del pulitburo di Hamas, quindi dell'organismo esecutivo del movimento, che è formato da dirigenti che si trovano sia in territorio palestinese che fuori, in paesi considerati sicuri come la Siria, la Turchia, il Qatar e appunto il Libano. Questo perché l'omicidio mirato extragiudiziale, questa è la definizione delle associazioni che si occupano di diritti umani per questo tipo di pratica, è stata una costante di tutti i governi israeliani. Omicidi all'estero di dirigenti delle fazioni palestinesi sono avvenuti anche negli anni Settanta e Ottanta, diversi sono avvenuti anche in territorio italiano. Il primo omicidio mirato di un dirigente di Hamas è avvenuto nel 1996, quando Yahya Ayyash conosciuto come "ingegnere morte", colui che sosteneva anche dal punto di vista tecnico gli attentati suicidi, è stato ucciso con un telefono bomba.
Qual'è la strategia dietro le esecuzioni extragiudiziali? Già un mese fa il Wall Street Journal aveva parlato di un piano per colpire i leader di Hamas ovunque nel mondo, non solo a Gaza e in Cisgiordania…
Si tratta di una strategia che non ha colpito solo i "falchi", quindi gli esponenti più intransigenti o i vertici dell'ala militare di Hamas, ma anche i "pragmatici", coloro che sono deputati al negoziato e alle manovre politiche. Non parlo di colombe, perché di colombe dentro Hamas non ce ne sono. La strategia israeliana è stata sempre quella di tagliare la "testa del serpente", ovvero di decapitare il movimento privandolo del vertice. Ma parliamo di un'organizzazione in grado di rimpiazzare i propri leader. Quando Israele ha assassinato con un missile Ahmed Yassin, il fondatore e padre spirituale di Hamas, questo non è andato in crisi.
L'attacco a Beirut mette la parole fine alle trattative per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi?
Il tempo scelto per l'assassinio extragiudiziale di al-Arouri non è casuale credo. È stato colpito un quartiere residenziale di Beirut, un quartiere si controllato da Hezbollah, ma parliamo di una zona popolare, dove vivono persone normali. Un'azione che arriva all'indomani della decisione della Corte Suprema che boccia la riforma della giustizia di Netanyahu, che avrebbe aumentato il potere esecutivo, e avviene due giorni dopo l'uscita della portaerei americana Gerald Ford dal Mediterraneo, ma soprattutto nel momento in cui sembrava possibile un cessate il fuoco.
Che ruolo ha avuto il dirigente di Hamas ucciso a Beirut dopo il 7 ottobre?
Al-Arouri è stato uno dei protagonisti della trattativa per il cessate il fuoco. Parliamo di un dirigente politico e militare che ha condotto importanti trattative sia con Israele che all'interno della politica palestinese, un uomo chiave della diplomazia di Hamas. Ma senza dubbio era anche l'esponente dell'organizzazione più vicino all'Iran, e probabilmente uno dei pochi dirigenti informati dell'operazione del 7 ottobre poche decine minuti prima dell'attacco.
Colpendo nella capitale del Libano Israele punta davvero all'allargamento del conflitto?
Il governo israeliano vuole allargare il conflitto, è un fatto. Netanyahu vuole cambiare la dinamica del conflitto, anche per mantenere il suo potere. Dopo ottantotto giorni di bombardamenti su Gaza Hamas non è stata distrutta, oggi è chiaro che l'obiettivo è una nuova Nakba, svuotare Gaza di centinaia di migliaia di palestinesi. E accanto a questo colpire gli alleati dell'Iran, perché l'Iran è il vero obiettivo. Bisogna vedere se la guerra si allargherà al Sud del Libano, dove ricordiamo ci sono le truppe Unifil compreso il contingente italiano, parliamo di oltre 10.000 soldati.
Nel pomeriggio di ieri due bombe sono esplose a Karman in Iran, nel cimitero dove è sepolto il generale Qassem Soleimani, di cui ricorreva ricorre il quarto anniversario della morte avvenuta all'aeroporto di Bagdad a seguito di un attacco ordinato da Donald Trump il 3 gennaio del 2020. Il bilancio per ora è di oltre 100 morti e 140 feriti…
È presto per fare luce su chi sia il mandante dell'attentato e su chi lo abbia eseguito materialmente. Certo se mettiamo in fila tre fatti, ovvero l'omicidio in Siria in un attacco israeliano il generale dei pasdaran Razi Moussavi, l'omicidio di Saleh al-Arouri a Beirut e oggi l'attentato a Kerman, è chiaro che è in corso una destabilizzazione dell'area e che in qualche modo Hezbollah e l'Iran dovranno rispondere, anche se riluttanti. Quel che è certo è che più l'area si destabilizza, più la questione palestinese diventa marginale e si allontana ogni possibile soluzione. Più il conflitto più Netanyahu può sperare di rimanere aggrappato al potere, rimandando il momento magari di comparire di fronte a una commissione d'inchiesta sul 7 ottobre.
Sembra però che finora ne Hezbollah né l'Iran si siano voluti far trascinare direttamente nel conflitto in corso a Gaza. D'altronde il cosiddetto "asse della resistenza", che coordina le milizie sciite in tutto il Medio Oriente, è tutt'altro che un monolite…
Sono d'accordo, né Hezbollah né l'Iran al momento sembrano voler reagire facendosi trascinare in una guerra. Hamas non è solo un movimento islamista che usa il terrorismo, è un movimento nazionale e nazionalista, che agisce sempre dentro i confini di Israele-Palestina. E anche le milizie sciite irachene, gli houti e Hezbollah hanno le proprie agende nazionali. Ad esempio la dialettica politica libanese mette Hezbollah in una posizione difensiva, l'insofferenza per la presenza di un partito armato così forte e così legata ai suoi sponsor regionali, l'Iran ma anche la Siria di Assad, è sempre più forte. E anche il regime iraniano ha le sue vicende interne di cui curarsi.