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Pakistan, cristiani condannati a morte per un sms “blasfemo”. Ma sono analfabeti

La vicenda di Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar, due coniugi cristiani di Gjra (in Punjab) condannati a morte per blasfemia nel 2014, con l’accusa di aver inviato messaggi di testo telefonici ritenuti blasfemi. L’uomo è disabile e in gravi condizioni di salute. In aprile il verdetto di appello.
A cura di Biagio Chiariello
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Una coppia cristiana è accusata di blasfemia e condannata a morte. Succede in Pakistan, dove lui Shafqat Emmanuel, lei Shagufta Kausar, rischiano la pena capitale. A denunciare  marito e moglie, residenti a Gojra, nella regione del Punjab, è stato nel 2013 l’imam locale, Maulvi Mohammed Hussain, secondo il quale l’uomo gli avrebbe inviato un sms contro Maometto utilizzando il cellulare della moglie. Il prossimo’8 aprile l’Alta Corte di Lahore esaminerà il loro ricorso, come comunicato all’agenzia Fides dall’avvocato cattolico Khalil Tahir Sandhu, che ha assunto la difesa dei due imputati, dicendosi “fiducioso”. “Non vi sono prove evidenti a carico dei due. Il caso è chiaramente artefatto”, spiega il legale. Gli sms incriminati, infatti, sono stati scritti in inglese, ma entrambi gli imputati, che hanno quattro figli, sono poveri e analfabeti, non sanno scrivere in urdu e tantomeno in inglese. “Il processo davanti al tribunale di primo grado è stato condizionato dalle pressioni islamiste”, rileva l’avvocato.

Cristiani perseguitati in Pakistan

Attualmente sono 25 i cristiani in carcere per blasfemia in Pakistan, 6 dei quali condannati a morte. Tutte vittime che, evidenzia Sandhu, “sono più sicure all’interno di un carcere piuttosto che al di fuori, dove sarebbero esposte alle vendette dei radicali islamici che vorrebbero giustiziare quanti sono bollati come blasfemi anche prima del processo che ne accerti la responsabilità”.  La legge sulla blasfemia del Pakistan è stata spesso al centro dei dibattiti e criticata dalle associazioni e dai politici che si battono per la libertà religiosa nel Paese musulmano. Non solo perché prevede l’ergastolo e in alcuni casi la sentenza capitale per reati dai confini molto labili e facilmente adoperati come arma contro le minoranze (si veda, su tutti, il caso di Asia Bibi), ma anche perché viene spesso sfruttata per vendette e risolvere questioni personali.

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