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Organi espiantati a detenuti ancora vivi, dalla Cina nuove prove sui chirurghi diventati boia

Uno studio condotto sulle cartelle ciniche ha scoperto che in molti casi gli organi sarebbero stati espiantati a detenuti ancora vivi trasformando di fatto i chirurghi in boia.
A cura di Antonio Palma
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Che la Cina permettesse l’espianto di organi da detenuti condannati a morte, anche senza il loro assenso, è cosa nota e ammessa, dopo molte reticenze, anche dallo steso governo di Pechino prima della marcia indietro e dell’abolizione ufficiale della pratica oltre cinque anni fa. Uno studio condotto sulle cartelle ciniche di quei lunghissima anni di questa discutibile pratica, però, ha portato ora alla luce una verità ancora più agghiacciante. In decine di casi infatti gli organi sarebbero stati espiantati a detenuti ancora vivi e cioè prima dell’esecuzione della pena capitale.

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L’accusa arriva da uno studio accademico pubblicato sull'American Journal of Transplantation, rivista medica specializzata sul trapianto di organi, e riassunto sul quotidiano statunitense Wall Street Journal dagli autori: un ricercatore israeliano e un australiano. Jacob Lavee, direttore dell'unità dei trapianti dell'ospedale Sheba Medical Center di Tel Aviv, e Matthew P. Robertson, ricercatore della Victims of Communism Memorial Foundation, hanno analizzato quasi 3.000 rapporti clinici in lingua cinese arrivando a identificare decine di casi di trapianto da persone ancore vive.

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Non solo, in molti di questi casi le vittime sarebbero morte proprio sul tavolo operatorio, trasformando di fatto i chirurghi in veri e propri boia. Come raccontano i due studiosi, il primo caso in cui si sono imbattuti risale al marzo del 1994 quando otto medici dell'ospedale Tongji Medical College di Wuhan, in Cina, hanno viaggiato per oltre 60 chilometri per procurarsi un cuore da un prigioniero detenuto nel braccio della morte che stava per essere giustiziato.

Il cuore però serviva subito e così, invece di aspettare che le autorità giudiziarie avessero giustiziato il prigioniero, i medici hanno eseguito loro stessi l'esecuzione, per estrazione del cuore. “Nei rapporti consultati abbiamo poi trovato diversi chirurghi che riconoscono tali azioni più e più volte” hanno raccontato i due ricercatori.

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In pratica nel documento del 1994, così come in altri report, alcuni medici hanno annotato che il donatore è stato intubato solo a metà intervento, rivelando inavvertitamente che il detenuto era vivo quando è iniziata l'operazione. L’espianto però può avvenire solo dopo la dichiarazione di morte cerebrale ma affinché questa sia legittima il donatore deve aver perso la capacità di respirare spontaneamente ed essere già stato intubato. "In questi casi, la rimozione del cuore durante l'estrazione degli organi deve essere stata la causa della morte del donatore", ha spiegato Robertson.

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I ricercatori hanno invidiato almeno 71 casi analoghi di congruenza tra dichiarazioni dei chirurghi e pratica dell’espianto. Il periodo a cui si riferiscono i report e dunque lo studio è quello dal 1980 al 2015 ma per i due ricercatori è possibile che tali pratiche siano andate avanti clandestinamente anche dopo questo periodo anche se Pechino assicura di aver vietato categoricamente l’espianto da condannati a morte. “È altamente probabile che questo genere di operazioni, considerate le statistiche e i brevi tempi di attesa per i trapianti nella Repubblica Popolare, siano in realtà continuate clandestinamente” sostengono i ricercatori. Accuse respinte con sdegno dalle autorità di Pechino che bollano la ricerca come “piena di errori logici e accademici” come ha sostenuto ad esempio Wang Haibo, capo del sistema ufficiale di distribuzione degli organi in Cina.

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