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“Ogni giorno lotto per i miei figli”: la nuova vita di Rana, profuga siriana in Ghana

Dalla Siria in guerra fino all’Africa nera. Rana e la sua famiglia vivono ormai da sei anni in Ghana ma non è stato facile abituarsi alla nuova vita. All’amarezza per quello che sta succedendo nella loro patria si aggiunge la difficoltà di vivere da rifugiati in un Paese africano.
A cura di Mirko Bellis
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Rana al lavoro nel suo ristorante ad Accra (Foto Bbc)
Rana al lavoro nel suo ristorante ad Accra (Foto Bbc)

Rana viene da Daraa, la città dove il 15 marzo 2011 iniziò la rivolta contro Bashar al Assad. Assieme al marito, Bassiel, come tanti altri loro connazionali in fuga dalla violenza, furono costretti a pagare un trafficante per abbandonare la Siria. Il viaggio avrebbe dovuto condurli via mare in Europa ma qualcosa andò storto: il trafficante, una volta presi i soldi, sparì nel nulla. Così Rana, incinta del primo figlio e Bassiel, un ex marinaio su navi mercantili, dopo essere passati per tre Paesi africani si fermarono a Accra, la capitale del Ghana. “Non è facile”, racconta l’uomo asciugandosi il sudore della faccia con la maglietta. “Però quando le persone sentono che veniamo dalla Siria cercano di aiutarci come possono – continua – ci danno cibo, latte, soldi”. A raccontare la storia di Rana sono state altre due donne, la fotografa Annie Risemberg e la scrittrice siriana Khulod Hadaq.

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“Quando siamo arrivati in Ghana abbiamo perso i nostri passaporti – ricorda Dara – e così siamo dovuti rimanere qui”. Furono molte le difficoltà che Rana e il marito dovettero affrontare prima di trovare una stanza dove dormire. “Avevamo con noi dei soldi – continua – ma affittare una casa qui è molto caro. Dovevamo pagare due anni di pigione in anticipo, così siamo stati in albergo per sei mesi, spendendo tutti i nostri risparmi”. “Avevo portato con me dei gioielli ma, per poter sopravvivere, sono stata costretta a vendere anche quelli”.

Durante questi lunghi sei anni Rana si è rivolta invano a diverse associazioni caritatevoli per ricevere qualche forma di assistenza. “Ci ho provato un sacco di volte – dice sconsolata – prima con le organizzazioni islamiche, poi con quelle cattoliche però non ho mai avuto niente”. “Un giorno sono andata in una chiesa – prosegue – avevo bisogno di soldi per comprare un litro di latte ma mi hanno risposto: ‘E’ meglio se torni nel tuo Paese’".

Rana, però, non si è persa d’animo ed è riuscita ad aprire un piccolo ristorante, proprio sotto l’appartamento dove vive tutta la famiglia. I suoi tre figli sono nati in Ghana e, per favorire la loro integrazione, i genitori gli hanno dato un nome seguendo la tradizione ghanese. Ma Kojo, Nanayaw e Kwasi (i nomi ghanesi dei bambini) si chiamano anche Pierre, Daniel e Joseph perché – come afferma il padre – “non dimentichino mai da dove provengono”. “A volte è veramente difficile – ammette la donna – però non posso fermarmi. Devo pensare ai miei figli e a mio marito”. Per Rana anche la burocrazia delle organizzazioni internazionali è stata un’altra delle difficoltà da affrontare. Ha fatto richiesta alle Nazioni Unite per il riconoscimento del diritto asilo però, oltre allo status di rifugiata e pochi aiuti per la scuola o per le medicine, non ha ottenuto nient’altro. “Mi hanno risposto che non avevano soldi”, racconta mentre prepara da mangiare nel suo ristorante.

Rana ha provato anche ad ottenere il permesso per andare in Canada ma, ad un oltre un anno dalla sua richiesta, non ha ottenuto ancora alcuna risposta. Uno sfinente rimpallo di responsabilità tra le varie ambasciate e le agenzie Onu ha reso impossibile per lei e la sua famiglia lasciare il Ghana. Ammette che fino a quando in Siria ci sarà la guerra è impensabile fare ritorno in patria. Così ha deciso che valesse comunque la pena tentare di assicurare un futuro ai figli nel Paese africano. “Giorno dopo giorno devo lottare per prendermi cura dei miei bambini”, assicura. I piccoli dormono su dei materassi posti uno sull'altro in una spoglia stanza. Frequentano una scuola gestita da una chiesa locale. Sono fortunati perché – come ricordano le autrici del reportage – non sono molti i bambini stranieri che possono assistere alle lezioni.

Il governo di Accra non è in grado di assicurare alcun aiuto economico ai rifugiati ma ha scelto lo stesso di accogliere tutti i siriani in fuga dalla guerra. Questa decisione ha sollevato le critiche di molti ghanesi che temono che l’arrivo dei profughi dal Paese Medio Orientale costituisca una minaccia alla sicurezza nazionale. D’accordo con i dati diffusi nel 2016 dal ministero degli esteri ghanese sono solo un centinaio i siriani che hanno fatto richiesta d’asilo. Ma con le restrizioni imposte dai Paesi europei ai migranti e richiedenti asilo la tendenza sta cambiando e ci saranno sempre più siriani che, come Rada e il marito, preferiranno trovare rifugio in Africa occidentale piuttosto che tentare il rischioso viaggio verso l’Europa.

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