“Obama ha mentito su bin Laden, ex ufficiale l’ha venduto per 25 milioni di dollari”
Barack Obama ha mentito sull'uccisione di Osama bin Laden. Il leader di al-Qaeda, ucciso il 2 maggio 2011 in Pakistan da un commando delle truppe speciali Usa, non oppose resistenza, non venne sepolto in mare, non era più a capo dell'organizzazione terroristica ritenuta la mente degli attentati avvenuti l'11 settembre 2001 negli Stati Uniti.
Ad affermare ciò è Seymour Hersh, uno dei più noti e famosi giornalisti investigativi d'America vincitore del premio Pulitzer e primo occidentale a riportare il massacro di My Lai in Vietnam, che nelle scorse ore ha pubblicato un lungo articolo relativo alle ultime e concitate ore di vita di bin Laden. Nel pezzo, apparso sulla London Book Review e parte di una ricerca più ampia finalizzata alla scrittura di una Storia alternativa della Guerra al terrore (ovvero la campagna militare autorizzata dagli Usa dopo l’11 settembre), Hersh riporta che numerosi dettagli relativi all'operazione militare del 2011, autorizzata dal Presidente Usa, sarebbero – il condizionale è sempre d'obbligo –, falsi, frutto di bugie, ricostruzioni fasulle, costruite ad arte e finalizzate a dare lustro allo stesso Obama all'epoca dei fatti in scadenza di mandato e pronto a ricandidarsi per il successivo quadriennio alla guida della Casa Bianca (obiettivo poi centrato).
“L'uccisione di bin Laden – scrive Hersh – è stato uno dei picchi più alti del primo mandato di Obama e uno dei principali fattori della sua rielezione. La Casa Bianca continua a sostenere che l'operazione condotta dai Navy Seals fu realizzata solo da personale americano e che né i generali dell'esercito pachistano né i dirigenti dell'Isi (i servizi segreti di Islamabad), erano al corrente – o lo erano stati messi in precedenza – del raid notturno. Questo è falso, così come lo sono molti altri elementi del racconto pubblicizzato dall'amministrazione Obama. La bugia più grande è che i due più importanti generali delle forze di sicurezza pachistane, il Capo di Stato Maggiore, generale Ashfaq Parvez Kayani, e il direttore generale dei Servizi segreti, generale Ahmed Shuja Pasha, non erano al corrente di quanto stava avvenendo”.
Nel lungo articolo Hersh fa, come nel suo stile, ampio uso di fonti anonime (per quanto circostanziate) provenienti sia dalle forze armate Usa che da quelle pachistane, fornendo una ricostruzione molto diversa rispetto alla genesi e all'esecuzione dell'operazione notturna. La versione ufficiale diffusa dalla Casa Bianca nelle ore immediatamente successive l'uccisione di bin Laden, riporta che l'ex leader di al-Qaeda era stato rintracciato in una zona di villeggiatura del Pakistan settentrionale, Abbottabad (sita a poco più di 3 chilometri dall'Accademia militare pachistana, meno di un chilometro da uno dei quartier generali dell'esercito di Islamabad e a circa 15 minuti di volo dalla località di Tarbela Ghazi, una delle più importanti basi operativi dei servizi segreti e dove avviene il training delle truppe scelte dedicate alla sicurezza dell'arsenale nucleare pachistano), grazie ad alcuni corrieri che – posti sotto sorveglianza per mesi – avevano condotto gli operativi di Langley a comprendere che in un complesso abitativo della zona si potesse nascondere un comandate di al-Qaeda di alto livello. La versione ufficiale, riproposta con numerosi aggiustamenti anche nei giorni successivi all'evento, riportava inoltre che bin-Laden era stato ucciso al termine di uno scontro a fuoco e che si era fatto scudo di una delle sue mogli per scampare la morte. Al termine del raid vincente, le forze speciali Usa avrebbero poi portato il corpo esanime del terrorista nella base americana di Jalalabad (Afghanistan) per poi successivamente trasportarlo sulla portaerei Uss Carl Vinson (all'epoca dei fatti l'unità di superficie era assegnata alla V flotta Usa), dove seguendo la legge islamica i resti mortali di bin-Laden sarebbero stati gettati in mare.
Tutto questo, secondo la ricostruzione fornita da Hersh non sarebbe mai avvenuto. O, per meglio dire, sarebbe avvenuto solo in piccola parte. “Tutto è iniziato nell'agosto del 2010 – si legge –. in quei giorni un ex ufficiali dell'intelligence pachistana si presentò a Jonathan Bank, all'epoca capo sezione Cia a Islamabad, offrendo di dire all'Agenzia dove si trovava bin-Laden e ottenere così la ricompensa offerta da Washington nel 2001 (25 milioni di dollari, ndr). Normalmente la Cia non ritiene credibili questi approcci, e il quartier generale decise di inviare sul posto una squadra per eseguire dei test con la macchina della verità. L'ex ufficiale pachistano superò il test”. In quel momento specifico, spiega Hersh, i vertici della sicurezza Usa iniziarono a pensare a come provare oltre ragionevole dubbio che davvero bin-Laden si trovava in quel complesso. Obama, subito informato della cosa, chiese di avere maggiori prove che quanto aveva rivelato la fonte fosse non solo attendibile, ma soprattutto vero e che, quindi, il nemico pubblico numero uno degli Usa stesse davvero in quella cittadina del Pakistan.
Nei mesi successivi, ricostruisce il giornalista americano, s'intensificarono i rapporti tra l'intelligence Usa e quella pachistana con l'obiettivo di ottenere non solo maggiori informazioni su bin-Laden, ma su qual'era la situazione operativa. Al termine dell'attività informativa, si scoprì che dal 2006 bin-Laden era tenuto in custodia dalle forze speciali pachistane e che, di fatto, non contava quasi più nulla sullo scacchiere operativo del terrorismo internazionale. Emergeva, inoltre che era semi paralizzato, e che l'Isi utilizzava la sua prigionia come deterrente per le altre organizzazioni presenti e operanti in Afghanistan. Soprattutto la finalità sarebbe stata quella di stringere una sorta di accordo tra le parti: noi (il Pakistan) non uccidiamo bin-Laden, e voi (talebani e miliziani al-Qaeda) non interferite nelle operazioni che portiamo avanti nelle aree d'interesse nazionale. Infine, dalla ricostruzione di Hersh emerge che l'Arabia Saudita avrebbe pagato fior di quattrini per mantenere in vita e in condizioni ragionevoli il connazionale e molto ammanigliato bin-Laden.
Un quadro, dunque, completamente diverso da quello dato in pasto ai media dal Presidente Obama e quasi unanimemente accettato dal mainstream internazionale. Un quadro che si arricchisce di un altro dettaglio: secondo la ricostruzione di Hersh la Casa Bianca e i vertici militari Usa non avrebbero preveduto di dare conto dell'uccisione di bin-Laden subito dopo l'operazione, ma il piano – di concerto con i militari pachistani –, sarebbe stato quello di diffondere la notizia molti mesi dopo spostando il teatro operativo in Afghanistan e oscurando completamente la presenza di personale di Islamabad. A scompaginare le carte in tavola è stata la sorte o, per essere più precisi, l'errore di uno dei piloti che volava sui cieli pachistani con i Navy Seals a bordo. Uno dei due velivoli, gli elicotteri Black Hawk (Sikorsky UH 60), a causa di un errore di misurazione, si sarebbe schiantato nel muro di cinta del complesso di Abbottabad, compromettendo così la segretezza dell'intera operazione (lo stesso elicottero sarebbe stato successivamente distrutto in loco con delle granate perché impossibilitato a volare, creando una densa e alta colonna di fumo osservabile a molti chilometri di distanza) e inducendo il Presidente democratico Usa a render pubblica la storia per evitare che la notizia si diffondesse attraverso altri canali.
La fanfara mediatica che ne seguì mise in evidenza alcune contraddizioni della ricostruzione ufficiale, senza – salvo rare occasioni citate dallo stesso Hersh –, scavare a fondo in quello che è stato uno degli avvenimenti più importanti della guerra al terrore. La ricostruzione del giornalista americano mette in evidenza poi come le truppe speciali Usa avrebbero potuto benissimo far prigioniero bin-Laden vivo, ma l'accordo col Pakistan prevedeva l'esecuzione del terrorista che se avesse parlato avrebbe potuto rivelare segreti imbarazzanti. Ned Price, portavoce della Casa Bianca per le politiche di sicurezza ha commentato “Ci sono troppe imprecisioni e affermazioni senza fondamento per citarle una ad una. Come abbiamo affermato all'epoca dei fatti, l'operazione era nota ad un ristretto cerchio di persone dell'amministrazione. Il Presidente decise di non informare alcun governo di quanto stava per avvenire, incluso quello del Pakistan che venne informato a raid avvenuto”.
Hersh, in passato criticato per il suo utilizzo di fonti anonime, ha difeso la sua versione dei fatti, ma molti rimangono dubbiosi sulla ricostruzione fornita dal giornalista Usa. Cosa certa è che ancora oggi i dubbi, le incongruenze e le domande relative a quell'operazione militare sono ancora tante e la ricostruzione di Hersh, per quanto tutta da dimostrare e facilmente accusabile di complottismo da quegli stessi che poi – in molte occasioni – anni dopo vengono smentiti dagli archivi desecretati, squarcia attraverso anche nomi e fatti (l'intervista all'ex generale pachistano Durrani) il velo di mistero costruito attorno all'uccisione di Osama bin Laden.