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Obama contro Romney: l’uomo dei sogni contro quello della tradizione

A poche ore dal voto, nel segno dell’incertezza e della tensione per un risultato che può cambiare faccia (solo) agli Stati Uniti d’America.
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Obama-presidente

A poche ore dai risultati del voto per l'elezione del prossimo Presidente degli Stati Uniti, i sondaggi restituiscono un clima di estrema incertezza, con i due candidati separati da pochissimi punti in percentuale e con Obama che sembra in leggero vantaggio. Le ultime rilevazioni sembrano convergere su un dato: Obama vicino al 48%, Romney circa al 47,5%. Solo le briciole poi per gli altri due candidati "qualificatisi", Gary Johnson (del Partito Libertariano, che sarà presente in 35 Stati) e Jill Stein dei Verdi (presente in 28 Stati). Va detto che si tratta di un dato da prendere con estrema cautela, non solo per la volatilità dei flussi di consenso elettorale. A giocare un ruolo determinante, come già nel 2000 (quando George W. Bush sopravanzò Al Gore nelle "elezioni più discusse della storia") sarà la legge elettorale che prevede che ogni Stato elegga un numero di cosiddetti "grandi elettori", che vanno tutti al candidato che raccoglie la maggioranza dei consensi (una sorta di "winner take all" su base statale). Di conseguenza, in ragione di una legge elettorale datata e criticata da più parti, ad essere eletto non sarà necessariamente il candidato che riceverà il maggior numero di consensi su base nazionale, ma quello che conquisterà almeno 270 "grandi elettori" sui 538 disponibili.

Ecco dunque che l'attesa è per gli stati in cui il divario fra i due candidati è minimo, i cosiddetti swing states, in cui i sondaggi mostrano incertezza nell'esito finale e dunque nell'attribuzione dei seggi. Tra l'altro il test di martedì 6 novembre vedrà anche il rinnovo della Camera (in cui restano favoriti i repubblicani) e di parte del Senato (con i democratici che dovrebbero confermare la maggioranza), nonché di 11 Governatori e 176 referendum su temi di vario genere. Insomma, un appuntamento delicatissimo, anche in considerazione del particolare momento che vivono gli States. E saranno proprio gli swing states a decidere il risultato finale, come mostra la proiezione di Politico.com, che attribuisce la vittoria finale ad Obama, anticipando però che l'incertezza in Ohio, Colorado, Virginia e New Hampshire (attribuiti ad Obama), potrebbe condizionare l'esito finale delle elezioni. Ecco lo schema:

Obama-Romney-sondaggio

Un bivio cruciale dunque, a maggior ragione per una nazione che sta faticosamente uscendo dalla crisi, ma in cui la disoccupazione è al 7,9%. Ed è proprio sui temi della politica economica che i candidati si sono dati battaglia nelle ultime settimane, con Obama che ha anticipato la volontà di continuare sulla falsariga degli ultimi 4 anni (una sorta di riproposizione delle politiche keynesiane "al tempo della crisi finanziaria"), mentre Romney insisteva sulla necessità di tagliare le tasse, ovviamente con particolare attenzione ai redditi medio – alti e con il taglio della spesa pubblica e la cancellazione di alcune riforme di Obama (in particolare quella sanitaria e quella Dodd – Frank sul fisco, ancora priva di norme attuative tra l'altro). "Le ricette di Romney le abbiamo già provate, non hanno funzionato", sentenzia Obama. "Il Presidente ha fallito, io so come uscire dalla crisi", risponde il rivale mormone.

In buona sostanza, il fattore decisivo potrebbe essere la capacità di Romney di presentarsi come "l'uomo delle risposte alla crisi", mentre Obama potrebbe scontare le difficoltà del suo primo mandato ed i troppi compromessi cui è stato costretto anche in considerazione della maggioranza repubblicana ala Congresso. Resta però il senso della battaglia condatta dal Presidente, quel tentativo di "tenere insieme protezione sociale e lotta contro la disoccupazione", con le leve della crescita "fondata su investimenti nelle infrastrutturem nell'innovazione, nella green economy e nella formazione" (per dirla con le parole di Jean-Paul Fitoussi).

La politica estera è invece un tema che ha trovato uno spazio relativamente piccolo nel corso della campagna elettorale, per una serie di ragioni di segno opposto. Da una parte Obama può legittimamente vantare "successi storici" (si veda la pur controversa vicenda dell'uccisione di Osama Bin Laden), nonché un approccio meno timido di quanto lui stesso avesse promesso nella scorsa campagna (si veda il ricorso frequente alle missioni dei droni senza pilota e ); dall'altro Mitt Romney che evidentemente non è sorretto dalla stessa carica ideologica di George W. Bush e che "si limiterà" ad un approccio meno morbido nei confronti dell'Iran. Insomma, non sembra questo il momento di cambiamenti epocali in politica estera, anche in ragione di una "inversione di tendenza mai pienamente realizzata da Obama nel suo primo mandato".

Resta invece l'idea di Paese completamente differente dei due candidati. Da una parte la forza gentile di Obama, l'incarnazione del sogno americano, il fratello immigrato e l'uomo dei sogni. Dall'altra il paese del merito e delle certezze granitiche, quello dell'orgoglio nazionale e delle tradizioni da perpetrare. Da un lato l'idea che la differenze sociali siano un limite, dall'altro che siano una sorta di dato di fatto. Da un lato "il bisogno di un Paese più giusto, che riduca le disuguaglianze e aumenti la mobilità sociale", dall'altro il mondo fatto di valori incrollabili e ostinazioni feroci. Il mondo della libertà di scelta e della "speranza" in un futuro più equo e solidale, contro quello della supremazia della legge morale e delle impostazioni ideologiche. C'è tutto questo nel voto delle elezioni presidenziali USA 2012.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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