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Conflitto Israelo-Palestinese

“È Israele ad aver voluto l’escalation, la guerra si allargherà ancora”: l’analisi del politologo Parsi

L’intervista di Fanpage.it al politologo Vittorio Emanuele Parsi: “Molto probabile un attacco israeliano ai siti nucleari iraniani, Tel Aviv vuole instaurare un proprio ordine in Medio Oriente”.
Intervista a Vittorio Emanuele Parsi
docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano
A cura di Riccardo Amati
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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
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È il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a volere l’escalation in Medio Oriente e non l’Iran, secondo Vittorio Emanuele Parsi. E visto che finora è riuscito nei suoi intenti, non esiterà a perseguirla. L’accademico ritiene che Israele voglia imporre un nuovo ordine regionale ed esserne la guida. Paragona l’azione di Netanyahu a quella di Putin: "La sua strategia è pericolosa, per il Medio Oriente, per le democrazie e per l’intero sistema internazionale", spiega il politologo, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, a Fanpage.it.

Vittorio Emanuele Parsi.
Vittorio Emanuele Parsi.

Professore, l’Iran avrebbe potuto evitare l’attacco missilistico su Israele?

"No, non dopo l’uccisione dei vertici di Hamas e di Hezbollah. Qualcosa doveva fare. E finora è stata una reazione molto calibrata, molto limitata, prendendosi il rischio di una contro-reazione gigantesca da parte israeliana. Ma Teheran non poteva restare inerte".

È stato un attacco più o meno simbolico, anche se più potente e meno “telefonato” rispetto a quello dell’aprile scorso? O possiamo considerarlo una escalation, seppur limitata?

"In realtà l'escalation fino adesso l'ha fatta il governo di Tel Aviv. Gli iraniani sono stati moderati. Non certo perché il regime di Teheran sia moderato per natura. Ma perché sanno che le loro azioni sono già estremamente rischiose. Contano sul fatto che gli Stati Uniti e la Russia, in maniera diversa, possano fare una pressione su Tel Aviv per frenarla".

Netanyahu ha detto che l'Iran ha commesso un grave errore e pagherà. Come, secondo lei?

"La strategia di Netanyahu é di cercare di coinvolgere l'Iran nel conflitto per assestare il colpo definitivo al suo maggior nemico. La visione non punta alla  deterrenza ma all'uso della forza. Per modificare il quadro strategico della regione. Con tutti i rischi che ciò comporta".

E quindi si aspetta un’azione clamorosa? I siti nucleari iraniani di Natanz potrebbero entrare nel mirino?

"È il bersaglio più goloso, per gli israeliani. Oppure potrebbero attaccare le raffinerie, dato che già sono messe male per la mancanza dei pezzi di ricambio dovuta alle sanzioni: si fermerebbe l'industria petrolifera del Paese. Sono ipotizzabili anche attacchi a istituzioni politico-militari. Ma è più complicato, perché estremamente difese. E non è che gli iraniani si difendano con le cerbottane. Ma i siti nucleari sono il primo obiettivo di Israele senza alcun dubbio".

Da Teheran dicono che se ci sarà una reazione israeliana Tel Aviv verrà ridotta in cenere. Lo farebbero davvero?

"Se avessero le capacità, potrebbero anche farlo. Dal 7 ottobre 2023 sono saltati molti tabù. Gaza non è forse stata ridotta in cenere? Ma non hanno i mezzi. Il costosissimo quanto efficace sistema di difesa israeliano, integrato da quello delle forze americane nell’area, renderebbe davvero difficile passare. Soprattutto adesso che c’è il massimo stato di allerta".

Qualcuno in Iran può aver aiutato Israele a far fuori Nasrallah?

"Impossibile dirlo. Con ogni probabilità, nella loro lotta di lungo periodo contro Hezbollah e contro l'Iran gli israeliani sono stati in grado di infiltrare gli apparati di sicurezza. Quelli iraniani, di Hezbollah e della stessa Hamas. Non hanno fatto nulla di serio in passato contro Hamas perché in realtà era funzionale al governo di Netanyahu. È diventata un nemico mortale solo dopo il 7 ottobre. Prima, vi era un’interazione per screditare l'Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania. E per far passare l'equazione secondo cui tutti i palestinesi sono terroristi".

Hamas, organizzazione sunnita e quindi un po’ meno fedele a Teheran rispetto a Hezbollah, il 7 ottobre potrebbe avere agito oltre il mandato dell’Iran? O addirittura indipendentemente?

"Ritengo che il 7 ottobre non sia stato pensato a Teheran ma a Gaza. Potrebbero aver informato l’Iran, certo. Ma il rapporto non è poi troppo dissimile da quello tra americani e israeliani. Mica Tel Aviv chiede sempre il permesso. Semmai informa l’alleato. Ma si muove autonomamente, come si è visto nell’ultimo anno".

Quindi a Teheran potrebbe esserci qualcuno arrabbiato con Hamas?

"Arrabbiati con Hamas sono soprattutto i palestinesi e l’Anp".

Si aspetta un ulteriore allargamento del conflitto?

"La strategia di Netanyahu fin dall'inizio è stata quella di allargare il conflitto. E ci sta riuscendo. L’escalation è molto probabile. Il primo ministro vuol riformare a colpi di cannone l'ordine regionale. Ha addirittura detto di voler portare la democrazia in Medio Oriente come strumento per risolvere i problemi".

Parole in libertà?

"Oltre 20 anni dopo l'11 settembre, una persona dotata di senno dovrebbe capire che se non ci sono riusciti nemmeno gli Usa in un periodo in cui nessuno era in grado di opporsi alla politica americana, figuriamoci se può riuscirci Israele nel 2024. Il quadro oggi è molto più composito rispetto agli anni immediatamente successivi al 2001. E Israele non è l’America".

Gli Stati Uniti però lo sostengono.

"Sì, ma bisogna vedere fino a che punto può arrivare la scommessa di Netanyahu. Gli israeliani hanno un tasso di popolarità nella regione ben più basso di quello degli americani. E non possiamo farci illudere dagli accordi di Abramo e dai rapporti che Tel Aviv ha con alcune leadership della regione. È vero che anche i sauditi sarebbero contenti se il problema Iran venisse eliminato. Ma ho dubbi sulla possibilità che poi abbiano voglia di stare in un sistema regionale a totale leadership israeliana. A causa della strategia pericolosa di Netanyahu, è molto facile che la guerra si allarghi".

Come vede la guerra in Medio Oriente nel contesto del confronto globale che si è aperto con l'invasione dell’Ucraina? Chi sta con chi, nella sfida tra autoritarismi e democrazie?

"Non possiamo continuare a far finta che Israele sia una democrazia parte dell'Occidente per diritto di nascita. Il modo in cui gli israeliani si sono comportati e si comportano a Gaza è molto simile a come Putin si è comportato con l’Ucraina. Il fatto che Israele avesse motivi per reagire al 7 ottobre non giustifica le modalità barbare della sua reazione. Né la disumanizzazione dell’avversario. Io credo davvero che ci sia una convergenza tra democrazie speculare a quella tra gli autoritarismi. E da questo punto di vista la guerra in Medio Oriente per le democrazie è stato un disastro. Perché ha distratto risorse e attenzioni dalla guerra in Ucraina. Un conflitto che dal punto di vista del sistema internazionale nel suo complesso è molto più importante perché coinvolge una delle potenze revisioniste in maniera diretta, la Russia. E la Russia è una potenza nucleare".

Distratta dall’escalation in Medio Oriente, la coalizione delle democrazie può perdere l’ Ucraina?

"L'esistenza dell'Ucraina democratica è a rischio. Mentre in Medio Oriente, nonostante il 7 ottobre, non c'era una minaccia esistenziale nei confronti dello stato di Israele. C'era semmai una sfida alla sua invulnerabilità. Il problema più grande è che gli israeliani non vogliono restaurare la loro sicurezza. Vogliono costruire l'onnipotenza di Israele. Netanyahu sembra il dottor Stranamore a cavallo della bomba".

Forse Israele prima di combattere Hezbollah, il “partito di Dio”, dovrebbe liberarsi del suo “partito di Dio”? Ovvero dei fondamentalisti che attualmente governano lo Stato ebraico?

"La deriva clerico-religiosa di Israele è sotto gli occhi di tutti. Il progetto della cosiddetta Grande Israele e la violazione spudorata di tutte le risoluzioni dell’Onu che dal 1967 in poi hanno chiesto il ritiro dai territori occupati durante la Guerra dei sei giorni è frutto di un delirio religioso. C’è chi in Israele prende veramente sul serio la Bibbia come fonte storica. Sono convinti che la Bibbia racconti fatti e non sia quel che è: un sistema di leggende che costituisce il mito fondatore del popolo ebraico. Tutte cose rispettabili se se ne parla in sinagoga. Ma che certo non possono diventare le fondamenta della politica estera e militare di un Paese".

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