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Guerra in Ucraina

“Nessuna trattativa segreta tra Russia e Usa”: il consulente di Putin spiega perché la pace è lontana

“Non ci sono colloqui segreti con gli Usa”, rivela il direttore del Russian Council Kortunov a Fanpage.it. La pace resta lontana ma “è possibile”. Attraverso un negoziato bilaterale con Washington “per evitare Armageddon”. Poi, una conferenza internazionale per la soluzione politica.
A cura di Riccardo Amati
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“Nessuna trattativa in corso con gli Usa, a nessun livello”. Ma la pace è possibile. E passa “attraverso un accordo internazionale sulla sicurezza nucleare”. Per lasciar spazio a una conferenza che si occupi della soluzione politica della crisi. Per l’Ucraina si prospetterebbe una soluzione “Cold War II”, col Paese “diviso in due come la Germania durante la Guerra Fredda”.

Andrey Vadimovich Kortunov di mestiere scrive analisi e raccomandazioni di politica internazionale per il Cremlino. È direttore del Russian Council (Riac), istituto fondato dal ministero degli Esteri russo e di cui è partner l’amministrazione presidenziale.

All’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, ci disse di essere “depresso e imbarazzato” perché un Putin “fuori dalla realtà” aveva scartato la via diplomatica scatenando la guerra. Kortunov ha poi ridimensionato le critiche al suo presidente. Resta in sella perché è probabilmente la mente più lucida su cui Mosca può contare per le analisi diplomatiche. Fanpage.it lo ha raggiunto telefonicamente nella sede del Riac a Mosca

Qualche esperto o presunto tale dice che sotto sotto Russia e Usa stanno già trattando per la pace in Ucraina. È vero?

No. Non è in corso alcuna trattativa. Neanche informale. A nessun livello. Me lo ha detto la scorsa settimana il nostro vice ministro degli Esteri Sergey Ryabkov, che ha la delega per le relazioni bilaterali Russia-Usa. Ci sono solo saltuarie telefonate tra i due ministri della Difesa. Niente che possa nemmeno somigliare a un colloquio diplomatico.

È sincera la disponibilità espressa da Putin a riaprire il negoziato naufragato nel marzo scorso?

La Russia vorrebbe certamente iniziare una trattativa. Ma secondo i suoi termini. Non quelli offerti dall’Ucraina né quelli che potrebbe proporre l’Occidente. Solo quelli messi sul tavolo dal Cremlino.

Quali sono questi termini? Tenersi tuttI i territori conquistati in Ucraina? Magari anche quelli che gli ucraini hanno già liberato o stanno liberando?

Se si guarda alle decisioni costituzionali prese riguardo alle quattro regioni più o meno controllate attualmente dalla Russia, è chiaro che il Cremlino vuol tenersele per sé. Oltre a questo, vuole qualche tipo di garanzia di sicurezza che questi territori non saranno attaccati da parte delle forze ucraine in futuro.

Putin potrebbe rinunciare almeno all’oblast di Kherson, che peraltro sta per cadere? E potrebbe questa eventuale rinuncia essere la base per una trattativa? Qualcosa Mosca dovrà pur concedere.

È possibile che ci sia qualche tipo di flessibilità nelle posizioni russe. Alla fine di marzo, durante il negoziato che si tenne a Istanbul, si era vicini a un accordo che essenzialmente lasciava il Donbass alla Russia, mentre lo status formale delle altre regioni — quelle che poi abbiamo annesso — rimaneva indefinito. Così come quello della Crimea. Quindi Mosca era pronta ad accettare le posizioni ucraine sullo status di quei territori. A condizione che gli ucraini non attaccassero militarmente il Donbass e la Crimea. Questa era la situazione allora. Naturalmente, nel frattempo son successe parecchie cose. Il grado di flessibilità si è abbassato.

In diplomazia, spesso dove c’è una situazione indefinita si apre lo spazio per un negoziato. Kherson potrebbe essere un punto di partenza per trattare?

Potrebbe. In fondo. Kherson non era tra gli obiettivi militari originari della Russia. Fu presa perché si colse un’occasione. Ritengo comunque che ogni trattativa, oggi, sarebbe limitata, nell’immediato, al cessate il fuoco. Di un accordo sul futuro dei territori in questione si potrebbe eventualmente parlare dopo. Ora si tratterebbe solo di fermare il bagno di sangue.

Una sospensione delle ostilità però sarebbe utile alle forze armate russe per rafforzarsi e dispiegare le nuove reclute. E poi magari fare una bella offensiva in maggio. Il bagno di sangue, iniziato — è il caso di ricordare — con l’invasione russa, riprenderebbe alla grande.

Se è per questo, un cessate il fuoco converrebbe anche agli ucraini. Dai miei colloqui con entrambe le parti risulta questo: Mosca teme che Kyiv utilizzi un eventuale sospensione dei combattimenti per rafforzarsi militarmente con l’arrivo di altre armi dall’Occidente, e poi riavviare la controffensiva; Kyiv teme che un cessate il fuoco serva ai russi a preparare la campagna della prossima primavera. Manca ogni tipo di fiducia reciproca.

Comunque, per ogni tipo di trattativa Mosca vuole come interlocutore diretto Washington. È così?

Certamente sì.

Il G20 in Indonesia potrebbe essere un occasione per tentare l’avvio di un negoziato?

Ancora non sappiamo nemmeno se Putin ci andrà (il summit è previsto per il 15 e 16 novembre, ndr). Ma credo che gli Usa e la Russia potrebbero riprendere qualche tipo di colloquio diplomatico. In particolare, sulla dimensione nucleare dell’attuale crisi. E questo potrebbe avvenire anche subito, o immediatamente dopo le elezioni Usa di metà mandato (si terranno, l’8 novembre, ndr). È evidente che l’argomento è di importanza assoluta, e che dovrebbe essere, almeno in un primo momento, discusso in un format bilaterale Mosca-Washington. È un tema la cui discussione non comprometterebbe in alcun modo il sostegno americano a a Kyiv. Biden non potrebbe essere accusato di “appeasing” — cioè di voler fare concessioni a Putin — né di tradire l’alleato ucraino. Quindi, si dovrebbe cominciare con l’agenda nucleare. In un secondo momento, il negoziato potrebbe espandersi sui più generali temi della sicurezza e allargarsi ad altri attori, Ucraina e paesi Nato compresi.

Quindi, colloqui per evitare Armageddon come primo, fondamentale passo per un cessate il fuoco. E poi una trattativa per la pace.

Sì, è quello che raccomando al Cremlino. È il modo in cui riprendere a parlare con Washington. Così nessuna delle due parti sarebbe costretta a bruciare il suo capitale politico.

Che tipo di format servirebbe, per una trattativa di questo genere. Negoziato bilaterale Mosca-Washington come inizio, diceva. E poi? Una conferenza internazionale?

Un confronto internazionale sulla stabilità nucleare. Non solo riguardo alla situazione in Ucraina. C’è la questione della Corea del nord, quella dell’Iran e molte altre. Potrebbero essere tutte affrontate in una conferenza a cui partecipassero gli attori più importanti, quelli in possesso di armi o comunque di tecnologie nucleari. Secondo il format conferenza Npt Review (le periodiche conferenze Onu per verificare l’operatività del trattato di non proliferazione nucleare, ndr).

E come potrebbero, da questa conferenza, nascere soluzioni di pace per l’Ucraina?

Ritengo che il periodo di escalation bellica si esaurirà entro la fine di quest’anno. Quando un cessate il fuoco potrebbe diventare possibile. Poi, starebbe alla comunità internazionale cercare di assicurarne la robustezza e la sostenibilità. E a questo punto si dovrebbero riprendere gli Accordi di Minsk (i trattati con cui si cercò di fermare il conflitto scoppiato nel 2014 nel Donbass, ndr). Allora la linea di contatto era limitata a 400 chilometri arrivarono 700 osservatori dell’Osce (l Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ndr), e si rivelarono troppo pochi. Oggi i chilometri del fronte sono circa 2000. L’Osce non avrebbe le capacità logistiche necessarie. Servirebbe un modello ibrido: osservatori Osce insieme a caschi blu dell’Onu, per esempio. Un dispositivo davvero in grado di stabilizzare la linea di contatto e evitare incidenti. Poi, ci si potrebbe muovere per un accordo politico vero e proprio.

Che tipo di accordo politico ha in testa?

Credo che alla fine potremmo avere una sorta di modello “Cold War II”. Con la maggior parte dell’Ucraina che diverrebbe una versione moderna di quella che durante la Guerra Fredda fu la Germania dell’ovest e un Ucraina orientale che diverrebbe la versione moderna della Germania dell’est. Non è una soluzione ideale. Non sarebbe di certo una soluzione definitiva. Ma sarebbe molto meglio di quel che abbiamo oggi.

Una Ucraina divisa, tipo “Cold War II”. Una seconda guerra fredda che spacca in due il Paese. Gli ucraini mica sarebbero contenti.

Bisognerebbe spiegare agli ucraini che la soluzione è temporanea. Per riunire la Germania servirono 45 anni. Probabilmente in questo caso ne servirebbero molti di meno. Le cose potrebbero muoversi velocemente, dopo Putin e dopo Biden. Ma se ne potrà parlare dopo, appunto. Intanto, si deve fermare la guerra.

Intanto però quella che lei chiama “dimensione nucleare” e dalle nostre parti chiamiamo minaccia nucleare, continua a essere evocata un giorno sì e uno no da figure della élite al potere in Russia. In particolare dall’ex presidente e attuale vice-capo del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev. Solo parole?

È molto improbabile che la Russia utilizzi mai armi nucleari tattiche sul campo di battaglia. Lasciando da parte ogni considerazione morale, per almeno due ragioni. Prima di tutto, è difficile rendere davvero operative le forze nucleari: troppe variabili indipendenti, compresa la direzione del vento. Potrebbe esserci una strage tra i propri soldati tra i civili. In secondo luogo, c’è il motivo geopolitico: Mosca si troverebbe completamente isolata. Nemmeno Cina e India potrebbero mantenere la loro attuale posizione di neutralità sul conflitto in corso.

E quindi, perché le minacce di Medvedev?

Non sono solo parole. La dimensione nucleare sarebbe quanto mai attuale semmai si arrivasse a un confronto militare diretto tra la Russia e la Nato. Con forze Nato sul terreno, voglio dire. Se Mosca stesse perdendo il conflitto convenzionale, cosa probabile perché la Nato è molto più forte, allora potrebbe essere costretta a usare armi atomiche. Come ultima ratio per evitare una sconfitta altrimenti inevitabile. A meno che Putin non volesse a quel punto arrendersi.

E purtroppo non ci pare il tipo. Grazie, Andrey Vadimovich.

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