“Nemmeno Putin può seppellire un simbolo”. Ecco perché su Navalny non calerà il sipario
Il regime di Vladimir Putin dimostra una volta di più di esser diventato un totalitarismo e seppellisce Alexei Navalny in una galera dura nella quale sarà isolato dal mondo. Il leader dell’opposizione non potrà più far sentire la sua voce. Le sue ultime parole sono un grido quasi disperato ai russi perché non perdano del tutto la volontà di reagire. La sua figura rimane un potente simbolo di resistenza. L’opinione pubblica internazionale può essere importante per mantenerlo vivo. In tutti i sensi.
Parole rivoluzionarie
“So benissimo che, come per molti altri prigionieri politici, la mia è una sentenza a vita. Potrà durare quanto la mia vita oppure quanto quella di questo regime”: è il commento che Navalny ha affidato ai suoi avvocati subito dopo il verdetto che lo condanna a 19 anni di carcere “speciale” per “estremismo”. Il nemico del Cremlino, tra l’altro, sa che non è finita: ha ancora un procedimento penale in corso per “terrorismo”. In Russia gli imputati vengono assolti in meno dello 0,5% dei casi, secondo dati dello stesso governo. E se il processo è politico la percentuale scende a zero. Alexei Navalny sa che si beccherà un’altra decina di anni. “Gli anni delle sentenze non sono per me ma per voi, che siete spaventati e privati della volontà di resistere. Non perdete la volontà di resistere”! Il prigioniero di Putin nei giorni scorsi aveva incoraggiato all’azione, con toni rivoluzionari, ricordando che “ogni cambiamento viene ottenuto dal dieci per cento dei cittadini, quelli più attivi” e che i più attivi, quelli che fanno scoccare la scintilla, “potete essere voi”.
“Questo è un totalitarismo”
Ogni prospettiva rivoluzionaria resta peraltro altamente improbabile: “In Russia oggi è impossibile scendere in piazza a protestare, o anche solo scrivere un post sui social”, spiega a Fanpage.it da Mosca il politologo del think tank Carnegie Andrei Kolesnikov. “L’Occidente non capisce che questo è un regime totalitario, non un ‘semplice’ autoritarismo”. Kolesnikov è tra i pochissimi intellettuali rimasti a criticare il Cremlino dalla Russia. Rischia ogni giorno l’arresto ma non vuole lasciare il suo Paese. Secondo Ben Noble, professore di Politica russa all’University College of London (Ucl) e co-autore di Navalny: Putin’s Nemesis, Russia’s Future (Londra, 2021) “Le ultime parole di Navalny sono una versione della famosa frase di Franklin D. Roosevelt, ‘l’unica cosa che dobbiamo temere è la paura”. L’idea, dice Noble a Fanpage.it, “è che, se il sentimento di paura e di intimidazione diffuso tra la gente potesse esser rimosso, un pilastro portante del sistema di Vladimir Putin crollerebbe”. Difficile però, aggiunge Noble, “non considerare le molte ragioni per cui i russi debbano aver davvero paura del regime”. Un esempio: insieme a Navalny è stato condannato, a otto anni, anche Daniel Kholodny, “colpevole” di aver lavorato come tecnico per il canale YouTube del politico e di non aver voluto testimoniare contro di lui. C’è davvero da aver paura.
L’opinione del mondo conta
Di sicuro, l’appello lanciato da Navalny avrà un seguito internazionale: il suo team, trasferitosi all’estero, continua a lavorare anche senza di lui. Sta organizzando manifestazioni ovunque, con un unico titolo: “Putin è un assassino”. La pressione del mondo è importante. Può salvare la vita dei prigionieri di coscienza. Non importa scomodare Nelson Mandela. Successe così anche ai tempi dell’Urss. Basti pensare — tra molti altri casi — a Solzhenitsyn, accusato di alto tradimento ma poi “solo” costretto all’esilio. O a Natan Sharansky, il dissidente liberato con uno scambio di prigionieri sul Glienicker Brücke, il “ponte delle spie” a Berlino. Il paragone non è azzardato. Oggi in Russia ci sono almeno 564 prigionieri politici, secondo dati — definiti “molto conservativi” — dell’Organizzazione per i diritti umani Memorial. Sono di più che non nell’era Brezhnev. Con una differenza: allora le pene erano più lievi. A Sharansky per “alto tradimento” furono dati 13 anni, nel 1978. Pochi giorni fa, la pena per il politico e giornalista anti-Putin Vladimir Kara-Murza, anch’egli accusato di “alto tradimento”, è stata confermata in 25 anni. Condanne “staliniane”, come ha detto Navalny. I giudici di Brezhnev erano più teneri.
Sepolto vivo
Tutt’altro paio di maniche il seguito che il grido di Navalny potrà avere in Russia. Dove la società civile, già fortemente limitata dal controllo delle autorità, è stata quasi completamente distrutta dopo l’invasione dell’Ucraina. Sulle poche organizzazioni indipendenti rimaste attive, incombe quotidianamente la spada di Damocle dell’estinzione. I media di Stato, che diffondono 24 ore su 24 una propaganda che nemmeno George Orwell saprebbe descrivere, su Navalny tacciono da tempo. Se la voce della “nemesi di Putin” era già molto fioca, adesso rischia di spegnersi del tutto. “Sarà tecnicamente impossibile udirla”, sostiene Andrei Kolesnikov. Le condizioni di detenzione nelle “colonie carcerarie a regime speciale”, dove Navalny verrà presto trasferito, “renderanno ancor più difficile il contatto con il mondo esterno”, osserva, più possibilista, il professor Noble: “Il team di Navalny cercherà comunque di amplificare i messaggi”. Di fatto, il regime carcerario speciale prevede isolamento, divieto di comunicazione con gli altri detenuti e molte altre misure draconiane. La peggiore delle quali è forse il limite severo alle visite di familiari e avvocati, alle telefonate e alla corrispondenza. “Il messaggio da parte delle autorità è chiaro: Navalny resterà in prigione almeno fino a quando esisterà Putin”, nota Ben Noble. “Il Cremlino vede quest’ultima sentenza come un passo cruciale nel suo piano per tenerlo fuori dalla visuale pubblica. Per neutralizzare ogni minaccia che può porre, anche per le menti di chi lo sostiene o potrebbe sostenerlo”.
Simbolo di resistenza
Secondo Noble, “l’obbiettivo è di intimidire le masse”. Ma la risposta di Navalny è “semplice in un modo disarmante: un appello ai russi a non lasciarsi intimidire, perché questo è un modo per resistere al regime di Putin”. Intanto “L’incredibile resistenza che ha dimostrato, anche di fronte a questo verdetto, rende ancor più forte l’immagine del più fiero oppositore del Cremlino”. Alexey Navalny “rimane il maggior nemico del sistema anche in una situazione in cui la sua voce non viene udita dal russo medio”, afferma Andrei Kolesnikov. Non lo si può davvero seppellire, perché “resta un forte simbolo di resistenza, come Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin e altri martiri. E questa, politicamente, è una funzione importante”.
Se il “simbolo” Navalny risulterà o meno così forte da suscitare movimenti all’interno della Russia lo vedremo solo in un futuro non immediato. Per il momento, il regime ha soffocato sia Navalny che la società civile. Dovrebbero cambiare molte cose, perché la valenza simbolica possa diventare anche pratica. L’immagine di Navalny è certamente più potente all’esterno che all’interno del Paese di Putin. E dall’estero qualcosa si può fare fin da subito. I 15 punti in cui nel febbraio scorso Navalny ha espresso la sua visione per il futuro della Russia del dopoguerra sono chiari, delineano un sistema politico democratico e fanno piazza pulita delle accuse di nazionalismo del passato. Chi ha a cuore libertà e democrazia agisca di conseguenza. Pressioni politiche e proteste non sono necessariamente vane. L’opinione pubblica internazionale può aver un peso importante. Per mantenere in vita il simbolo. E l’uomo.