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Nella Siria di Al-Sharaa a due mesi dalla caduta di Assad: “A cambiare le cose sarà la società civile”

Fanpage.it ha incontrato a Damasco l’attivista per i diritti umani Giovanna Cavallo: “La storia così gravemente criminale del vecchio governo spinge il popolo siriano a credere impossibile poter stare peggio di come già si è stati”.
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Una grande bandiera a stelle rosse e la scritta “Welcome in Syria” apre la strada che dall’estremo est del Libano arriva fino a Damasco. Un mezzo busto sfregiato è quel che resta dell’immagine di Bashar Al Assad. Dopo il colpo di stato guidato dall’autoproclamato presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, noto anche come Abu Mohammad al-Jolani, il confine tra Libano e Siria è controllato dagli uomini di Hay'at Tahrir al-Sham. Un sorriso e un insolito lasciapassare è quello che la nuova leadership siriana riserva ai giornalisti e agli attivisti internazionali, per libanesi e siriani, invece, sono lunghe file di attesa e controlli.

A Damasco l'entusiasmo di due mesi fa ha lasciato spazio alla voglia di riorganizzarsi ma anche all’angoscia dell’ignoto e di quello che potrebbe diventare “il nuovo regime”, così come lo definiscono tanti siriani. È qui che Fanpage.it incontra Giovanna Cavallo, attivista italiana per i diritti umani che dal 2019 porta avanti progetti di supporto della società civile siriana, in Siria e in Italia.

Uno di questi è il progetto Yalla Study che si inserisce nella generale campagna del Forum Nazionale “Per Cambiare l’ordine delle Cose”. Yalla Study ha come scopo quello di promuovere una politica di accesso sicuro e legale al territorio dell'Ue e rimettere al centro dell’agenda europea una politica dei flussi aperta e includente. Oggi Cavallo si trova in Siria con una delegazione italiana dal nome “La Siria guardata dagli occhi dei civili”.

Perché sei tornata in Siria?

Prima di tutto per distribuire le informative che annualmente forniamo agli studenti siriani sulla possibilità di richiedere visti per motivi di studio in Italia e in Europa, poi abbiamo aggiunto a questa missione anche un'inchiesta specifica sulla condizione dell'asilo, sulla transizione del potere e sul ruolo della società civile nella transizione democratica della nuova Siria. Crediamo fermamente che la pedina più importante di questo scacchiere che è la Siria sia proprio la società civile, la stessa che a causa delle scelte fatte dalla comunità internazionale negli ultimi cinquant’anni ha pagato il prezzo più alto.

Mi riferisco ovviamente non solo alle sanzioni, che hanno determinato una grandissima povertà dell'economia salariale, di accesso al mercato del lavoro, di produzione del mercato del lavoro, ma anche ad una instabilità territoriale importante che poi è degenerata nella guerra civile del 2011. L’ottanta per cento della popolazione siriana è oggi sotto la soglia della povertà. Si tratta di una gigantesca emergenza sociale ora nelle mani del governo di transizione, il quale crediamo debba rappresentare il più possibile la pluralità della popolazione, che a sua volta dovrà essere soggetto attivo e partecipante.

Dal 2019 non ha mai smesso di andare in Siria, com’è la situazione oggi? 

Coloro che abbiamo incontrato ci parlano di vecchio regime, come se quello di oggi fosse il nuovo. Questo ci fa capire che dal punto di vista delle persone sul territorio, il cambiamento ha riguardato finora solo il colore della bandiera, che il sistema di potere attuale è rimasto uguale: c'è una persona al potere che si è autoproclamata presidente ad interim e ha promesso l'apertura di una fase costituente che però tarda ad essere concretizzata.

I siriani si fidano del nuovo governo?

I pochi che ci hanno risposto a questa domanda, dicono di avere fiducia nel governo, ma semplicemente perché sono trascorsi solo due mesi dalla presa del potere da parte degli uomini di HTS, e pensano che probabilmente sono loro a non avere fiducia nella popolazione.

Un altro aspetto molto importante è la storia così gravemente criminale del vecchio governo che spinge il popolo siriano a credere impossibile poter stare peggio di come già si è stati. La speranza e la fiducia nascono anche da questo. Certamente a nessuno piace la forza che sta governando la Siria oggi e tutti sono convinti che a cambiare le cose sarà la collettività, la società civile. Quindi la grande domanda che si pongono i siriani oggi è: il governo si fida dei siriani?

Giovanna Cavallo in visita dal Nunzio Apostolico a Damasco. Foto di Lidia Ginestra Giuffrida
Giovanna Cavallo in visita dal Nunzio Apostolico a Damasco. Foto di Lidia Ginestra Giuffrida

Qual è il ruolo dell'Italia in questa nuova Siria? 

L’Italia aveva deciso di normalizzare i rapporti con la Siria di Assad quando è stata aperta l'ambasciata e inviato l'ambasciatore, lo scorso agosto. Un mese dopo la caduta del regime il nostro Ministro degli Esteri ha fatto visita al nuovo governo ad interim della Siria, per questo oggi abbiamo voluto incontrare l’ambasciatore italiano a Damasco Stefano Ravagnan.

Nell’incontro con l’ambasciatore il primo tema è stato quello delle sanzioni che hanno un impatto molto importante sulla vita delle persone e che dobbiamo trovare il modo di allentare, cercando di dare nuova linfa al paese da un punto di vista economico e sociale.

Le altre richieste che abbiamo posto sono relative a un'auspicabile cooperazione internazionale che vada verso la costruzione di un supporto umanitario e aiuti a superare la grandissima crisi sanitaria, economica, sociale che ha fatto sprofondare la vita delle persone in un limbo enorme.

In Siria non si sa come andare avanti, le persone hanno fame, le medicine fanno fatica ad entrare nel paese a causa dell’embargo. L’altra questione affrontata è stata la creazione di una cooperazione che possa supportare la società civile: non si tratta di esportare democrazia, non si tratta di sostituirsi ad un governo, di sostituirsi a una transizione, di sostituirsi a una fase costituente. Si tratta invece di individuare le decine di organizzazioni che a livello locale stanno costruendo spazi di agibilità democratica e che stanno cercando di dare il loro meglio affinché ci sia una consapevolezza della fase che si sta attraversando. E noi crediamo che l'Italia debba fare la sua parte perché queste organizzazioni, le loro attività e i loro spazi di agibilità democratica vengano sostenuti.

La partecipazione in questo momento è l'unico antidoto che la Siria può anteporre al radicalismo che invece il nuovo governo, nonostante le sue parole, sta producendo. Ricordiamo gli attacchi alla comunità LGBTQ+ degli ultimi giorni, ricordiamo le sommarie esecuzioni degli alawiti, ricordiamo le aggressioni ai cristiani.

La delegazione ha incontrato anche il Nunzio Apostolico, qual è il parere del Vaticano rispetto alla condizione dei cristiani nella nuova Siria?

Incontrando il Nunzio Apostolico a Damasco, abbiamo chiesto aiuto al Vaticano per orientarci, soprattutto nel mondo cristiano, tra le opportunità che possono essere offerte a tutela delle minoranze politiche e religiose. Il Nunzio Apostolico ha dato un messaggio chiaro, quello di fare in modo che la diaspora rientri nel territorio, perché secondo lui è la cittadinanza che deve contribuire al futuro della Siria. Siamo d’accordo su questo ma crediamo sia necessario allo stesso tempo costruire delle garanzie a tutela delle minoranze, che in questo momento di fatto sono ancora a rischio.

Qual è la posizione dell'Italia rispetto alle sanzioni imposte alla Siria?

Da quello che noi sappiamo c'è una volontà dell'Italia e dell'Europa di spingere affinché le sanzioni vengano allentate. Però ci sembra doveroso riportare le preoccupazioni dei cittadini siriani, i quali chiedono di osservare l'andamento di questo nuovo corso affinché l'allentamento delle sanzioni non vada solo a beneficio di quella che sarà l'attività di governo, ma anche a beneficio dei cittadini e delle cittadine, di fatto impossibilitati in questo momento a condurre una vita dignitosa.

In Siria abbiamo incontrato donne e uomini stanchi di un regime che è durato cinquant'anni, uomini e donne disabituati alla democrazia, che non sanno che cosa sia una fase costituente, che cosa voglia dire ricostruire una democrazia dopo essere stati oppressi per così tanto tempo da una feroce dittatura. Abbiamo visto una grande sofferenza, una grande tristezza che ci ha fatto veramente molto male.

Crediamo siano necessarie missioni a supporto dei cittadini e delle cittadine e delle loro associazioni, che sappiano stabilire un dialogo tra queste e la comunità internazionale. La prima cosa che chiediamo con urgenza però è che la diaspora possa tornare ad essere attiva, partecipare, votare, eccetera, ma anche che possa  ritornare nel Paese in condizioni di sicurezza, cosa che solo una cooperazione internazionale concreta potrà garantire.

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