Nel 2015 sono stati uccisi 110 giornalisti, due su tre non erano in zone di guerra
Nel 2015 sono stati uccisi 110 giornalisti. La maggior parte sono morti mentre svolgevano il loro lavoro, altri in circostanze misteriose. Il dato più importante dell'ultimo dossier dell'organizzazione Reporters senza frontiere -RSF è un altro: solo in un caso su tre il decesso è avvenuto in zone di guerra o conflitto.
Secondo l'analisi, sessantasette giornalisti sono morti mentre erano in servizio. Un numero che porta a 787 il totale dei reporter uccisi a causa del loro lavoro dal 2005 in poi. Altri quarantatrè, invece, sono deceduti in circostanze misteriose. Nel conteggio rientrano anche ventisette "citizen journalist" e altri "media workers".
Tra i paesi più a rischio ci sono l'Iraq con undici reporter uccisi, la Siria con dieci così come lo Yemen. La Francia quest'anno raggiunge la terza posizione, con gli otto morti nella sparatoria alla redazione di Charlie Hebdo lo scorso 7 gennaio. E poi c'è il Sud Sudan con sette vittime, l'India (nove morti), il Messico (otto), le Filippine e l'Honduras (sette) così come l'Honduras.
Violenze ad opera di "gruppi non statali", mentre molti governi "non assolvono ai loro doveri dettati dal diritto internazionale", si legge nel rapporto. "I 110 giornalisti uccisi quest'anno hanno bisogno di una risposta", ha dichiarato Christophe Deloire, segretario generale di RSF. Non solo giornalisti uccisi, però. Cinquantaquattro reporter sono stati rapiti e tenuti in ostaggio: ventisei in Siria, tredici in Yemen, dieci in Iraq e cinque in Libia.
Ben 154 giornalisti, invece, sono finiti in prigione a causa del loro lavoro. Di questi ventitrè sono detenuti in Cina, ventidue in Egitto, diciotto in Iraq, quindici in Eritrea, e nove nella Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan. RSF ha chiesto che sia nominato "un rappresentante speciale del segretario generale dell'Onu per proteggere i reporter".