Di Micol Meghnagi
Un clima desolante regna in Piazza della Mangiatoia, di fronte alla Chiesa della Natività, che di solito ospita un enorme albero di Natale, addobbi eclettici e bande musicali che si aggirano per la città. Per il secondo anno consecutivo, Betlemme ha annunciato la cancellazione delle festività per manifestare la propria comunanza con Gaza. Il tradizionale ingresso in città del Patriarca latino, il cardinale italiano Pierbattista Pizzaballa, è avvenuto in sordina. «Il messaggio di Betlemme è sempre stato un messaggio di pace e speranza, ma oggi il mondo deve lavorare per porre fine alle nostre sofferenze come popolo palestinese», ha dichiara il sindaco della città, Anton Salman.
Una gigantesca fotografia creata dall’artista palestinese Sabrina Mukarker, che ritrae una donna e un bambino davanti alle rovine di Gaza, accompagnata da un cartello con la scritta «Vogliamo la vita, non la morte», apre la lunga marcia degli scout palestinesi, che hanno percorso le vie della città in silenzio. «Il nostro è un urlo dal cuore di Betlemme, un luogo che è stato testimone di pace, ma che oggi verte sotto il peso dell’ingiustizia», spiega Mukarker a Fanpage. «È un urlo di dolore di fronte alle stragi commesse contro il nostro popolo a Gaza. Ma anche un atto di speranza e resistenza, in una terra dove preserviamo ancora la nostra libertà interiore».
Nelle stesse ore, a pochi chilometri dalla Chiesa della Natività, sotto l’espressione «Un solo popolo», decine di bambini del Coro Amwaj di Bayt Al-Ajab a Betlemme e del Gaza Birds Singing di Dier al-Balah, nel centro di Gaza, si sono riuniti virtualmente nelle sale del Wonder Cabinet per cantare insieme. Il Wonder Cabinet è un hub culturale dove trovano casa musicisti e artisti. Il corto è stato trasmesso in diretta streaming sulla trasmissione radiofonica palestinese AlHara. Lacrime di gioia e dolore, in un momento che ha visto incontrarsi, da una parte all’altra di uno schermo, una intera generazione di palestinesi che, pur vivendo a pochi chilometri, è divisa dal muro di separazione israeliano. «Un tributo alla popolazione di Gaza, annichilita da una guerra genocidaria di cui la comunità internazionale è complice», ha spiegato il musicista italiano Michele Cantoni, fondatore del Coro Amwaj .
Betlemme, che per il secondo anno consecutivo assiste impotente alla distruzione di Gaza, con almeno 45.000 morti sotto le bombe, deve fare i conti anche con la crisi economica, che grava da oltre un anno sulla città. Centinaia di attività sono state costrette alla chiusura, mentre le poche rimaste faticano a rimanere in piedi. «La crisi economica che stiamo vivendo da quasi 15 mesi è senza precedenti», ci dice George, un operatore turistico di Betlemme. «La guerra a Gaza ha distrutto il turismo internazionale, una fonte essenziale di reddito per migliaia di famiglie cristiane e musulmane della città. In tanti riescono a malapena a sopravvivere». Secondo i dati in possesso di Jiries Qumsiyeh, portavoce del Ministero del Turismo, il numero di visitatori della città è crollato da un massimo pre-Covid di circa 2 milioni di visitatori all'anno nel 2019 a meno di 100.000 visitatori nel 2024. La crisi a Betlemme è stata ulteriormente acuita dalle restrizioni imposte dal governo Netanyahu all'inizio della guerra a Gaza, che hanno impedito a circa 150.000 palestinesi della Cisgiordania di accedere al mercato del lavoro dentro Israele. Questa misura ha provocato una contrazione del 25% nell'economia palestinese in tutta Cisgiordania. «Vedete tutte queste stoffe? Le ho comprate a 80 shekel l'una (circa 20 euro, ndr) e sono costretto a rivenderle a meno della metà. La gente sta risparmiando i pochi soldi che ha per mangiare», racconta un commerciante palestinese dalla sua boutique nel centro di Betlemme. «La sospensione dei permessi, l’assenza di turisti, i consumatori palestinesi di Israele e Gerusalemme che non vengono più e il rafforzamento dei posti di blocco, hanno creato una situazione disastrosa», aggiunge.
A causa della rapida crescita degli insediamenti israeliani negli ultimi due anni e degli attacchi dei coloni, Betlemme si ritrova sempre più isolata. La famiglia cristiana Kisya, che vive nella zona nota come Makhrour, alle porte di Beit Jala, a ovest di Betlemme, si è vista confiscare la propria terra nell’agosto del 2024. «Da quel giorno, vengono qui in tanti, palestinesi, ma anche israeliani che lottano insieme a noi contro le vessazioni del movimento dei coloni», dichiara Alice Kisya. «È l’unico sostegno sul quale possiamo contare perché la Chiesa, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e i partiti politici non ci hanno aiutato in alcun modo». Nel settembre del 2024, la famiglia Kisya ha fondato la «tenda della solidarietà», un luogo «dove membri delle comunità ebraiche, musulmane e cristiane, ma non solo, si riuniscono in nome dell’uguaglianza dei diritti». Tra gli assidui partecipanti, anche Munther Isaac, il reverendo luterano di Betlemme.
Quasi 500 famiglie hanno lasciato Betlemme nell’ultimo anno, riferisce Isaac. La maggior parte sono cristiane. Nel 1947, l’85% della popolazione di Betlemme era cristiana. Oggi, dei 220.000 abitanti dell’area, soltanto 23.000 sono cristiani, circa il 10% della popolazione. Un fenomeno che riflette il lento ma costante declino delle comunità cristiane in tutto il Medio Oriente. Nella chiesa di Isaac, il presepe mostra il bambino Gesù che giace in un mucchio di macerie. «Questo dovrebbe essere un momento di gioia e festa», commenta il reverendo dopo il suo sermone. «Ma Betlemme è solidale con i nostri fratelli di Gaza. Nella nostra comunità c’è la costante paura che questa guerra sia infinita e che possa estendersi in tutta la Cisgiordania».