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Nassiriya, il maresciallo sopravvissuto: “I responsabili sono stati promossi e premiati”

Riccardo Saccotelli è uno dei sopravvissuti alla strage di Nassiriya, in Iraq. Quel 12 novembre del 2003, il maresciallo dei carabinieri era di guardia quando un camion bomba è esploso all’ingresso della base Maestrale uccidendo 19 italiani. In tutti questi anni, Saccotelli non ha mai smesso di chiedere che vengano accertate le responsabilità dei vertici militari al comando della missione italiana.
A cura di Mirko Bellis
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Riccardo Saccotelli, il maresciallo dei carabinieri sopravvissuto all'attentato a Nassiriya
Riccardo Saccotelli, il maresciallo dei carabinieri sopravvissuto all'attentato a Nassiriya

“Gli unici ad essere considerati ‘eroi di Nassiriyaʼ sono i responsabili della morte di tante persone”. Non ha peli sulla lingua Riccardo Saccotelli, maresciallo dei carabinieri sopravvissuto al terribile attentato avvenuto il 12 novembre 2003 alla base Maestrale, in Iraq. Saccotelli ha 28 anni quando arriva nel capoluogo della provincia meridionale di Dhi Qar, dove si era stabilito il contingente italiano dell’operazione Antica Babilonia. “Avevamo compiti di vigilanza a strutture civili e militari tipo ospedali, caserme e pozzi petroliferi dell'Eni – spiega il sottufficiale – dovevamo addestrare la polizia irachena e da qualche parte sicuramente erano previsti anche compiti ‘umanitariʼ”.

Dopo venti giorni dal suo arrivo nel Paese mediorientale, due kamikaze a bordo di un camion bomba si fanno esplodere all'ingresso della base che ospitava i carabinieri della Msu (Multinational specialized unit). Il bilancio dell’attentato è pesantissimo: 19 italiani morti, tra cui 12 carabinieri. Saccotelli, il giorno della strage, era di guardia all'entrata della Maestrale. “Erano le 10.30 circa quando all'ingresso ci fu una raffica. Breve. Immediata. Non ebbi il tempo nemmeno di girarmi e urlare buttatevi giù”, è il suo ricordo dei drammatici momenti che seguirono l’esplosione. Riccardo Saccotelli rimane gravemente ferito, vomita sangue. “Fui l’ultimo ad arrivare a Tallil nell'ospedale militare da campo della Croce rossa – continua – nessuno voleva dirmi in che condizioni fossi. Il sangue mi colava dagli occhi, dal naso e dalle orecchie”.

La freccia rossa indica il punto dove si trovava Saccotelli al momento dell'esplosione
La freccia rossa indica il punto dove si trovava Saccotelli al momento dell'esplosione

Sono passati 15 anni da allora e Saccotelli, assieme ad altri sopravvissuti e parenti delle vittime, non ha mai smesso di chiedere che vengano accertate le responsabilità dei vertici militari al comando della missione italiana il giorno dell’attentato. Il maresciallo dei carabinieri, invalido al 100%, oggi vive a Andria e Fanpage.it lo ha raggiunto per un’intervista.

Qual è il suo primo ricordo di quel 12 novembre di quindici anni fa?

Quel giorno ero morto per tutti. Lo leggevo nelle lacrime e sui volti dei colleghi che non riuscivano a guardarmi negli occhi. Persino i medici non avevano il coraggio di dirmi che stavo morendo. Il mio fu uno dei primi nomi a circolare in Italia ma nemmeno ai miei familiari veniva detto cosa fosse successo. Che fossi ancora vivo lo seppero solo da me alle due di notte del giorno dopo.

Quali ferite ha riportato?

Due buchi nelle gambe in cui potevo infilare le dita. Ho schegge nel corpo. Una nella gamba che mi dà perennemente dolore. Le ferite nelle mie gambe si sono rimarginate, eppure io quei buchi li vedo ogni giorno pieni di sangue. . Vivere è più difficile che morire. Sopravvivere è devastante. La gente comune pensa che sei un fortunato. Ma non esiste palestra che ti rimetta in piedi dopo una cosa del genere. Nonostante il mio udito peggiori e stia quasi scomparendo tutte queste ferite sono nulla rispetto alla consapevolezza di essere stato tradito dal mio Paese.

Saccotelli in un letto d'ospedale in Iraq dopo l'attentato (Riccardo Saccotelli)
Saccotelli in un letto d'ospedale in Iraq dopo l'attentato (Riccardo Saccotelli)

Quali sono state le reazioni dei vertici militari dopo l’attentato?

Squilli di trombe e rulli di grancassa. Poi, sparite le telecamere, si sono dileguati e sono corsi a cancellare le loro responsabilità. Ad oggi gli unici eroi di Nassiriya sono proprio loro, i colpevoli. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo: hanno spacciato croci e medaglie commemorative “di oro” elargite con gran fretta e generosità a chi si è prestato al gioco della retorica, ma le vere onorificenze le hanno avute sono gli imputati, che sono stati addirittura promossi di grado.

La visita del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, al sottufficiale dei carabinieri (Riccardo Saccotelli)
La visita del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, al sottufficiale dei carabinieri (Riccardo Saccotelli)

Cosa ha provato quando i giudici hanno stabilito che la strage poteva essere evitata?

Nulla. Lo sapevo già. Mancava solo che gli dessero la targa del camion bomba e per il resto sapevano tutto. E nonostante questo, i comandanti non hanno agito. Anzi, hanno fatto di tutto per uscirne puliti, immuni ed impuniti. Si è permesso che il giuramento equivalesse a un’autentica immunità: perché se giuri fedeltà alla Repubblica devi star zitto. Non servitore ma servo, come vuole il retaggio fascista che si annida nelle fila.

Ha scritto a Napolitano e Mattarella ma non ha mai ricevuto risposta. Cosa chiedeva nelle sue lettere?

Un incontro. Privato. Il presidente della Repubblica è il capo delle forze armate. Almeno lui, se non sa, dovrebbe essere messo a conoscenza di questa situazione assurda e imbarazzante per tutto l’apparato istituzionale. Non è possibile che resti così indifferente.

Siete state vittime di una guerra che nessuno voleva vedere?

Sì, perché quella era una guerra. Ed era sotto gli occhi di tutti. Siamo stati considerati vittime fasciste perché ci hanno identificati con la destra al governo che, con l’apparente missione umanitaria, voleva dare una spinta alla retorica populistica, patriottica e nazionalistica di cui si nutre. Non potevamo essere vittime di guerra, perché per la sinistra italiana non eravamo servitori dello Stato ma occupanti mercenari al servizio di un governo di destra. Ricordate i 10, 100, 1000 Nassiriya! Una sola opzione restava possibile: dimenticare Nassiriya e l’Iraq. Lo Stato ne sarebbe uscito comunque salvo, grazie ad una tenace condotta omissiva adottando tutte le misure necessarie per rendersi immune. Sentenze alla mano, ne resta oggi una perfetta e democraticissima auto-assoluzione non priva però di dimostrata colpevolezza. L’Iraq, insomma, è diventato un brutto ricordo da seppellire e rimuovere in fretta e di cui evitare di parlare. Perché la vergogna politica pian piano è diventata bipartisan. Condivisa e coperta dalla legge.

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