Nabi Saleh, la storia del villaggio della Cisgiordania che ha fatto il giro del mondo
Le immagini del soldato israeliano che ferma un dodicenne palestinese con un braccio rotto salendogli sopra, il viso coperto da un passamontagna e il mitra a tracolla, tra le urla di donne e ragazzine che lo difendono strenuamente mentre il militare gli stringe il braccio intorno al collo, hanno fatto letteralmente il giro del mondo. Lo stesso giorno e alla stessa manifestazione è stato arrestato anche l'attivista italiano dell'International Solidarity Movement Vittorio Fera, accusato di aver lanciato sassi all'indirizzo dei soldati e rilasciato oggi su cauzione.
I giornali, italiani e internazionali, quasi mai riportano il luogo dove quelle immagine sono state girate. Invece, i luoghi sono sempre importanti, e bisogna avere delle coordinate più precise per capire il perché quel dodicenne manifestasse assieme alla sua famiglia. Non basta dire: in Cisgiordania.
Il video è stato girato a Nabi Saleh, una decina di chilometri a nord-ovest di Ramallah. In questo villaggio dove tutti, ma proprio tutti, fanno di cognome Tamimi, tanto da costruire un'unica famiglia anche senza essere imparentati tra loro, si è costituito sul finire della seconda intifada un "Comitato popolare", ancora forte e attivo malgrado i tanti anni passati.
Ogni venerdì gli abitanti di Nabi Saleh si riuniscono al centro del villaggio e scendono lungo la strada. Intonano slogan, portano bandiere palestinesi e del Comitato popolare, bambini con elmetti e maschere antigas. Ad accompagnarli attivisti internazionali e pacifisti israeliani. Il loro obiettivo, ormai da anni, è quello di raggiungere la sorgente d'acqua di Ein Al-Qawa, controllata dal 2008 dalla colonia di Halamish, sorta proprio sulla collina di fronte nel 1977. Gli abitanti di Nabi Saleh vedono la fonte ma non la possono usare e ogni venerdì provano a raggiungere quel pozzo, ogni venerdì sulla loro strada trovano l'esercito israeliano.
Ogni tanto la manifestazione finisce con una sassaiola: a farlo sono i più giovani, e si tratta di un simbolo della resistenza più che di un'arma offensiva. A volte le cose vanno diversamente, l'esercito avanza e prova arrestare qualcuno o i manifestanti si fanno più determinati e non si accontentano di rimanere lontani dalla torretta di cemento armato dell'esercito israeliano. Vengono sparati proiettili di plastica, granate stordenti e anche vere munizioni, che hanno ucciso due giovani nel villaggio nel 2012 e nel 2011. I lacrimogeni incendiano i prati e i giardini, quando non le case. Di quei roghi rimangono le macchie nere sulla terra e le grate a tutte le finestre.
Ma i Tamimi, oltre a voler testardamente poter accedere a quella pozza d'acqua che gli impedisce di irrigare i campi, hanno anche capito che raccontare la loro lotta è la cosa più importante. Così hanno organizzato una pagina Facebook, Tamimi Press dove caricano video, foto e interviste, che arrivano da Nabi Saleh. Organizzatissimi con smartphone e macchinette fotografiche. E proprio quel video che è rimbalzato sui canali televisivi di tutto il pianeta è stato girata da quell'artigianale ed efficace macchina comunicativa organizzata dai 550 (circa) abitanti di Nabi Saleh.