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Muoiono in mare 58 migranti – Mediterraneo cimitero di esseri umani, non di “clandestini”

Almeno 58 esseri umani sono morti nel naufragio della loro imbarcazione sulla costa occidentale della Turchia. Per metà si trattava di bambini. Scappavano dalla Siria e dall’Iraq. Scappavano dalla guerra, li chiamano “clandestini”.
A cura di Anna Coluccino
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migranti muoiono in mare turchia

Da Disperati a dispersi, da deceduti a dimenticati. Dalla vita all'oblio in quattro agili mosse. Quando si decide di abbandonare scenari di guerra o di fame, di persecuzione o prigionia si conosce perfettamente ciò a cui si va incontro, nessun migrante immagina una strada lastricata di doni e promesse esaudite. Ciononostante, si incamminano affidandosi a dio, al caso, alla fortuna. È la roulette russa del viaggio della speranza. Si carica la rivoltella, si fa girare il tamburo e poi sotto a chi tocca. Incrociamo le dita. Cinquantotto migranti su cento – oggi – hanno pagato con la vita l'aver voluto azzardarsi a credere che la loro vita poteva essere migliore, altrove. Circa la metà di quei cinquantotto erano bambini. Quarantadue hanno conquistato il diritto a un altro colpo, a un altro giro di tamburo.

Questa mattina, al largo di Izmir, sulla costa occidentale della Turchia, cinquantotto esseri umani hanno perso la vita. Molti media italiani hanno preferito utilizzare il termine "clandestini" riferendosi ai morti. Concetto che non ha alcuna consistenza né sociologica né antropologica (sebbene ne abbia una giuridica…) a meno di non concepite il mondo come fosse un puzzle composto da una miriade di spazi privati su cui alcuni esseri umani hanno diritto a posare il piede e altri no; a meno di non voler ignorare che gli spazi che occupiamo sul pianeta non sono che il risultato di secoli e secoli di movimento e non sono certo il dono immutabile fatto da un qualche dio ad alcuni esseri eletti. Ma la parola "clandestino" serve soprattutto scaricare la coscienza di chi la pronuncia. Perché il clandestino è un fuorilegge, e – quindi – se muore è anche un po' colpa sua.

Circa cento i migranti presenti sull'imbarcazione diretta in Grecia; come di consueto, molte le donne e i bambini. Le quaranta persone tratte in salvo, finora, sono di nazionalità curda, irachena, siriana. L'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu (UNHCR) ha affermato di provare sincero cordoglio "per questa ennesima tragedia del mare che colpisce profondamente anche perché, da quanto si apprende, i naufraghi sarebbero cittadini iracheni e siriani in fuga dal conflitto". Fossero stati magrebini in cerca di un avvenire più dignitoso o mediorientali stanchi del trattamento diseguale che molti governi riservano loro – forse – il cordoglio sarebbe stato un po' meno profondo. Forse che la morte è un po' meno ingiusta se colpisce qualcuno che non scappa da una guerra ma da un cimitero di possibilità?

Occorre fare attenzione alle parole. E lo sottolinea anche Laura Boldrini – portavoce italiana dell'Unhcr – chiedendo ai media italiani di non abusare della parola clandestino. Termine che identifica uno status giuridico molto diverso da quello del rifugiato e che fuorvia la lettura di moltissimi eventi. "Purtroppo i media continuano a non prestare la dovuta attenzione al linguaggio che invece è determinante nella percezione del fenomeno migratorio" ha affermato la Boldrini "Clandestino è una parola piena di pregiudizio tanto più inopportuna in una situazione come questa. Non a caso tutti i media internazionali parlano di 58 rifugiati morti, solo quelli italiani li definiscono clandestini". 

Purtroppo, non basta la morte di cinquantotto persone perché l'ingiustizia di una certa condizione di disperazione venga percepita nel suo valore assoluto. Occorre offrire delle aggravanti: c'era la guerra, c'era la fame, c'era la dittatura. Come se migliaia di donne e uomini potessero voler rischiare di morire con i propri figli per divertimento, per capriccio. Almeno ventimila persone negli ultimi tre anni hanno perso la vita nel Mediterraneo: un mare-cimitero, ormai, con le nuvole al posto dei cipressi. Il Mediterraneo uccide in molti modi, quasi sempre in silenzio. La morte affolla i fondali del mare nostrum e traccia una scia di celata decomposizione che collega i terzi mondi ai primi, tutti affacciati sullo stesso mare a chiedersi se "altrove" non sia migliore che "qui". E tanti abitanti di ex-primi-mondi, oggi, si ritrovano a farsi la stessa domanda sperando di non dover trovare risposta nella roulette russa di un viaggio della speranza, immagine forse ancora lontana nel futuro degli europei, ma vicinissima nel loro passato. Sempre meglio ricordarselo.

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