Mosca ha ammesso di aver deportato bambini ucraini in Russia, ma ora “possono tornare a casa”
Mattinata di tensione quella di ieri, 5 aprile, al Palazzo di Vetro dell’ONU. La Russia ha usato la sua presidenza di turno del Consiglio di sicurezza Onu per organizzare una riunione informale sulla questione dei bambini ucraini deportati con la forza, difendendosi da un’accusa che la Corte penale internazionale (Cpi) di giustizia ha contestato come crimine di guerra.
Diversi paesi tra cui Usa, Regno Unito e Malta sono usciti dall’aula.
Già prima della riunione era esploso il caso dell’annunciata partecipazione, con collegamento video da Mosca, di Maria Lvova-Belova, la Commissaria ai diritti dei bambini della Federazione Russa, incriminata dall’International Criminal Court dell’Aja insieme al presidente Vladimir Putin con l’accusa di aver illegalmente deportato migliaia di bambini dai territori occupati in Ucraina per portarli in Russia.
Lvova-Belova ha ammesso che i piccoli "sono stati presi" ma che è stato fatto "per la loro sicurezza" e Mosca si sta coordinando con le organizzazioni internazionali "per restituirli alle loro famiglie".
Ha ripetuto che i bambini “non sono stati dati in adozione”, ma solo temporaneamente affidati a tutori legali temporanei in famiglie affidatarie.
Ha quindi sostenuto che molti sono stati ricongiunti con i loro genitori o familiari, e solo alcune decine rimangono in istituti o con famiglie ospitanti in attesa di poterli ricongiungere: “Ma è molto difficile per ora riuscire a organizzare questi ricongiungimenti. Le autorità dell’Ucraina non comunicano con noi, quindi è una situazione molto difficile” si è giustificata.
Anche Vassily Nebenzia, ambasciatore del Cremlino alle Nazione Unite, è intervenuto sostenendo di voler smascherare “il palese doppiopesismo dell’Occidente. Questa campagna propagandistica non vuole ammettere che vengono portati via anche i figli dei rifugiati in Europa”.