Mosca alza l’età per la leva militare: più russi sotto la naia. E Putin risarcisce chi muore al fronte
L’innalzamento dell’età della leva di tre anni aumenta il numero dei coscritti che devono farsi 12 mesi di naia e quindi la flessibilità del governo nel poter usufruire di personale militare alla bisogna. Nella prospettiva di una escalation e di un proseguimento dell’impegno bellico russo questo aiuta. La strategia a lungo termine sembra però quella di creare forze armate completamente professionali, incentivate dai privilegi e dai trattamenti economici riservati ai legionari di Putin. Vivi o morti.
La mobilitazione generale non piace allo zar
“Secondo i calcoli di esperti di mia fiducia con la nuova legge ci saranno circa due milioni di sodati in più, e questo aumenta le opzioni del ministero della Difesa nel caso di emergenze”, dice a Fanpage.it Anton Barbashin, direttore editoriale del think tank Riddle. “Si tratterà comunque di soldati di leva, che in teoria — secondo le norme attuali — non dovrebbero mai essere impiegati in prima linea. E ogni abuso in questo senso da parte del governo potrebbe creare tensioni che, alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2024, si cercherà di evitare”. Intanto, il provvedimento allontana la possibilità di un’eventuale mobilitazione generale. Ipotesi che gli spin doctor di Putin vedono come la peste: anche se le elezioni in Russia, specialmente in tempo di guerra, sono un evento “prefabbricato e limitato”, restano sempre un “potenziale momento di crisi”. La mobilitazione innescherebbe malumori potenzialmente destabilizzanti.
Un provvedimento non strategico
Quindi, l’allargamento delle fascia di età da trent’anni per il soldatino Ivan è più un provvedimento “tattico” dovuto anche a motivi di politica interna che una mossa strategica per cambiare la struttura dell’esercito. “Alla Duma sentono odore di una grande guerra”, ha titolato il quotidiano Nezavisimaya Gazeta, riprendendo le parole del presidente della commissione Difesa della camera dei deputati russa, Andrei Kartapolov: “La riforma della leva era stata pensata con in mente una grande guerra, e ora la grande guerra la possiamo annusare”, ha detto nel suo intervento in appoggio dell’emendamento che allarga il numero dei coscritti.
Alla Duma, caso raro, c’è stata qualche voce contraria alla nuova norma. Che comunque, grazie al particolare sistema politico del regime di Putin, non avrà ostacoli e verrà senz’altro promulgata dal presidente. D’altra parte, ha aggiunto Kartapolov, ripreso con vasta evidenza in prima pagina dalla Rossiyskaya Gazeta, “sono gli stessi giovani russi a chiedere di poter fare il limitare in questa fascia di età per poi potersi dedicare al lavoro e alla famiglia: hanno inondato la Duma di lettere in questo senso”.
Verso un esercito di professionisti
“Stupidaggini propagandistiche”, commenta Anton Barbashin al telefono, con parole in realtà più colorite di quelle che riportiamo. “Alla Duma sanno benissimo che la maggior parte dei giovani russi non vuole fare il militare, specialmente con una guerra in corso”. Tanto che la legge in questione vieta ai coscritti di lasciare il paese una volta che l'ufficio di arruolamento ha inviato loro la cartolina di avviso o la ha pubblicata online. Insomma, è molto più difficile scappare.
“Chissà se anche questo è stato richiesto alla Duma dai giovani russi”, scherza con umorismo nemmeno troppo inglese su Twitter il corrispondente da Mosca e Russia Editor della Bbc Steve Rosenberg. “La realtà è che il Cremlino sta andando con piena convinzione nella direzione di creare un esercito di professionisti, attirando la gente con vantaggi economici e benefit inusitati”, spiega Barbashin. “Un po’ come faceva l’antica Roma con i suoi legionari, che potevano contare su terreni, prebende e favori dallo Stato alla fine della vita militare”.
Prebende e immunità
Barbashin non esclude che il modello che hanno in testa Putin e i suoi consiglieri sia proprio quello romano. A supporto di questa sua tesi, anche una recentissima sentenza della Corte Suprema della Russia. Che basandosi sul caso di un militare di professione, certo Vladislav Ustinov, riconosciuto colpevole dell’uccisione di due persone in un incidente stradale, ha deciso che la partecipazione alla guerra può garantire l’esenzione dalla pena.
Ma non c’è solo la promessa dell’immunità, d’altra parte già fatta a migliaia di criminali tolti dalle galere e mandati in trincea in Ucraina sia nella Wagner di Yevgeny Prigozhin che nell’esercito regolare. Le sirene che possono richiamare anche chi altrimenti proprio non ci penserebbe a prendere le armi sono soprattutto economiche.
L’economia della morte
Partendo dal presupposto che la Russia è un Paese dove regna la mentalità commerciale e tutto viene deciso dal denaro, e dove dopo l’invasione dell’Ucraina l’idea della morte è stata sdoganata a colpi di propaganda H24 come “nobile” quanto ai tempi di Orazio, l’economista Vladislav Inozemtsev in un articolo su Riddle nota come durante la guerra di Putin si sia sviluppata un’economia parallela fondata sulla professione di soldato e, addirittura, sulla morte in battaglia.
Tanto sono aumentati i salari dei soldati di professione e i compensi alle famiglie nel caso in cui non tornino vivi che — secondo i calcoli di Inozemtsev — gli “incassi” di un militare che viene ucciso dopo cinque mesi al fronte sono uguali a quanto il nostro eroe mandato da Putin a “denazificare” l’Ucraina avrebbe guadagnato durante 31 anni di vita civile con buste paga medie di 40-42mila rubli al mese (circa 430 euro), tipiche di molte regioni della Federazione.
Una politica amorale
Per fare una comparazione in questo cinico ragionamento, in altri Paesi la morte di un soldato vale due o tre anni di guadagni di un civile. È il caso, per esempio, degli Usa. Per un soldato professionale russo, morire intorno ai 35 anni di età è invece diventato un vero affare. Il paradosso è tragico. Ma si stanno continuando ad aumentare questi macabri incentivi. Il Cremlino ha creato un sistema nel quale vivere non è sempre la scelta più redditizia.
E conta su questo, non sull’allargamento della leva, per continuare la sua “grande guerra”. Le ripercussioni sociali potrebbero essere enormi, nel welfare e nel sistema pensionistico, se non altro. Quelle morali, in un Paese che spinge i suoi cittadini a farsi uccidere e la rende una prospettiva economicamente attraente, sono facilmente intuibili.