Il numero di sbarchi sulle coste italiane è diminuito drasticamente rispetto all'anno scorso. Secondo il ministero dell’Interno, sono stati poco più di 20.000 i migranti arrivati nel nostro Paese dall'inizio del 2018. Ad aumentare in modo considerevole, però, è il numero di morti e dispersi nel tentativo di raggiungere l’Europa. Nel Mediterraneo centrale, per ogni 18 migranti che ce l’hanno fatta, uno è deceduto. Nel 2017, invece, la proporzione tra chi non è sopravvissuto era di uno ogni 42. I dati sono contenuti nel rapporto “Viaggi disperati” curato dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). “Questo rapporto conferma ancora una volta che il Mediterraneo è una delle rotte migratorie più mortifere al mondo”, ha dichiarato Pascale Moreau, direttrice dell’Unhcr per l’Europa. “Il numero di persone che arrivano sulle coste europee si è ridotto. Non è più una questione se l’Europa sia capace o meno di gestire questi numeri – ha sottolineato Moreau – quanto piuttosto se è in grado di avere l’umanità necessaria a salvare vite umane”.
Numeri sconvolgenti che restituiscono una fotografia implacabile della perdita di vite umane dietro i movimenti migratori. Sono circa 1.600 le persone annegate mentre cercavano di attraversare il mare che li separava dal continente europeo. Nel 2018, lungo la rotta del Mediterraneo centrale ci sono stati dieci naufragi in cui sono morte 50 o più persone – si legge nel rapporto – la maggior parte dopo essere partite dalla Libia. Solo da giugno, sono sette le imbarcazioni colate a picco con il loro carico di esseri umani. La conferma che il Mediterraneo continua ad essere il cimitero per migliaia di uomini, donne e bambini inghiottiti dalle acque nel tentativo di approdare in Europa.
L'Alto commissariato Onu per i rifugiati afferma inoltre che i trafficanti di esseri umani stanno assumendo rischi sempre maggiori per trasportare i migranti verso l'Europa: una situazione che di fatto aumenta le probabilità di morire per le persone che sono a bordo. “La ragione per cui la traversata è diventata più mortale è che i trafficanti stanno assumendo più rischi, perché c'è maggiore sorveglianza esercitata dalle guardie costiere libiche”, ha detto Vincent Cochetel, inviato speciale dell'Unhcr per il Mediterraneo centrale. Le autorità libiche – continua il documento – hanno intercettato o salvato 18.400 persone tra agosto del 2017 e luglio di quest'anno. Se la guardia costiera libica sta impedendo le partenze è anche vero che le condizioni dei migranti riportati indietro rimangono un inferno. “Quando i profughi vengono ricondotti in Libia sono inviati in centri di detenzione e tanti scompaiono”, ha spiegato Cochetel. “Molti di loro sono venduti alle milizie, ai trafficanti e a chi li sfrutta come schiavi”.
Le violenze di questi giorni che stanno insanguinando Tripoli si abbattono anche sui migranti. Medici senza frontiere (Msf) ha denunciato che i combattimenti tra milizie rivali sta mettendo in pericolo la vita delle persone intrappolate nei centri di detenzione nella capitale libica. “Gli scontri, iniziati il 26 agosto, hanno ulteriormente compromesso la vita di circa 8.000 rifugiati, richiedenti asilo e migranti. Alcuni di loro sono rimasti rinchiusi per oltre 48 ore in un’area colpita dai pesanti scontri senza avere accesso al cibo. Coloro che sono stati rilasciati non hanno avuto altra scelta se non quella di fuggire nei quartieri vicini correndo il rischio di essere vittime del fuoco incrociato”, scrive Msf.
L’inviato speciale dell'Unhcr per il Mediterraneo centrale ha detto che l'Europa dovrebbe evitare la retorica contro i migranti in quanto il numero degli sbarchi è in netto calo e che ai livelli attuali i flussi migratori sono perfettamente gestibili. “L'Europa deve essere protagonista, deve essere esemplare nella sua risposta, ma è abbastanza chiaro che è già troppo tardi quando le persone sono in Libia. Abbiamo bisogno di lavorare a valle nel Paese di origine, e per questo ci vuole tempo”. Il dossier dell'Unhcr esce a tre anni dalla morte di Aylan Kurdi, il bambino siriano annegato nel tentativo di raggiungere la Grecia. Le immagini terribili del piccolo riverso su una spiaggia turca avevano scosso le coscienze dei governi e dell’opinione pubblica occidentale, ma, come sottolinea lo scrittore Khaled Hosseini nella prefazione del rapporto delle Nazioni Unite, poco è cambiato da allora. “Il ricordo della tragica fine di Aylan è svanito così come lo sdegno collettivo che hanno suscitato in tutto il mondo le foto del suo cadavere. Oltre 1.500 persone, tra cui molti bambini, sono morte in mare solo quest'anno in viaggi simili a quelli di Aylan e della sua famiglia. Eppure la risposta globale è ora molto più modesta”, ha concluso lo scrittore.