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Guerra in Ucraina

Mariupol caduta, Alegi (Luiss): “Nessuna svolta, è in Donbass che si gioca la partita decisiva”

L’analisi a Fanpage.it di Gregory Alegi, docente dell’Università Luiss di Roma e membro del Consiglio Scientifico della Fondazione ICSA e del Centro Studi Militari Aeronautici dell’Associazione Arma Aeronautica: “In termini militari la caduta formale di Mariupol non cambia nulla, perché la città era già al 98% in mani russe e le acciaierie Azovstal avevano un valore per lo più simbolico. La vera partita si sta giocando in Donbass”.
Intervista a Gregory Alegi
docente dell'Università Luiss di Roma e membro del Consiglio Scientifico della Fondazione ICSA e del Centro Studi Militari Aeronautici dell’Associazione Arma Aeronautica.
A cura di Ida Artiaco
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"In termini militari la caduta formale di Mariupol non cambia nulla perché la città era già al 98% in mani russe e le acciaierie avevano un valore per lo più simbolico. Ma dal punto di vista politico potrebbe avere un qualche significato per Putin perché è un primo successo territoriale che con abile propaganda si potrebbe usare per bilanciare le sconfitte subite a Nord e Est, a Kiev e Kharkiv. In ogni caso, la vera battaglia è quella che si sta combattendo in Donbass". A parlare a Fanpage.it è Gregory Alegi, docente dell'Università Luiss di Roma e membro del Consiglio Scientifico della Fondazione ICSA e del Centro Studi Militari Aeronautici dell’Associazione Arma Aeronautica, che ha spiegato perché dal suo punto di vista la caduta di Mariupol nella mani dei russi non segna nessuna vera svolta nel conflitto tra Mosca e Kiev.

Gregory Alegi
Gregory Alegi

Prof. Alegi cosa rappresenta la caduta di Mariupol per Russia ed Ucraina?

"In termini militari la caduta formale di Mariupol non cambia nulla, perché la città era già al 98% in mani russe e le acciaierie Azovstal avevano un valore per lo più simbolico. Nelle scorse settimane la Russia aveva anche ridotto la sua presenza, certificando la limitata rilevanza militare di questa resistenza e spostando le truppe in Donbass dove invece si gioca una partita importante. Sul campo, dunque, l'esito non era solo già scritto ma anche già avvenuto. Sotto il profilo politico, invece, quanto avvenuto potrebbe essere utile sotto un certo aspetto per Putin perché è un primo successo territoriale che con abile propaganda si potrebbe usare per bilanciare le sconfitte subite a Nord e Est, a Kiev e Kharkiv. Ma porrà un problema serio quando si andrà al tavolo delle trattative. Qualcosa bisognerà pur concedere al leader del Cremlino per salvargli la faccia dopo la non spettacolare riuscita della sua operazione militare speciale. Ma comprensibilmente l'Ucraina non vorrà amputazioni del proprio territorio. Quindi da questo punto di vista il fatto che la Russia abbia completato l'occupazione di Mariupol e che questa resistenza di forte valore simbolico durata 12 settimane sia finita, qualcosa significherà".

Occhi puntati sul Donbass, quindi?

"La guerra si gioca a Est, in Donbass, dove ci sono scontri terrestri abbastanza tradizionali, con carri armati, cannoni e fanterie. Se gli ucraini riescono a tenere o riprendere quelle città di fatto viene respinta in quella zona l'avanzata russa e quindi svanisce il sogno di collegare la Regione con la Penisola di Crimea. Se invece vincono i russi possono avanzare in quella pianura. Sarà questa l'ultima grande battaglia della guerra, probabilmente. Anche perché dopo 12 settimane entrambi i Paesi sono abbastanza stanchi, seppur in modo diverso, per le perdite, per l'impatto della guerra sulla vita civile e sul commercio. Tutto questo ha un prezzo: per quanto la Russia sia più grande e per quanto l'Ucraina abbia alle spalle il supporto della comunità internazionale, questo sforzo bellico prolungato costa. Io non ce li vedo i due contendenti ad andare avanti con questa intensità per altri 3 mesi".

Secondo lei dunque non ci sarà alcuna svolta nel conflitto dopo la caduta di Mariupol?

"No, nessuna svolta. I russi avevano tolto truppe da lì lasciando la città in mano a milizie già un paio di settimane fa. In effetti, il fatto di chiudere un fronte per combattere su quello principale già è avvenuto ed è stato metabolizzato. Ha un valore simbolico, un puntello per dire di aver ottenuto qualcosa e di essere disposti a trattare. Anche se pure qui è tutto da vedere".

Ma al momento è stato annunciato che le trattative sono sospese…

"Non mi sembra importante, perché oltre i canali ufficiali e diretti ci sono anche quelli paralleli. Ciò che mi sembra interessante però è capire su cosa debbano discutere e su cosa mettersi d'accordo. Il fatto che entrambe le parti proseguano con la stessa narrazione pubblica sin dall'inizio sembra rendere difficile trovare un punto di contatto. Quando gli ucraini dicono che si deve tornare alla situazione pre 24 febbraio significa chiedere ai russi di lasciare Mariupol, ma è difficile che dopo tutta la fatica che hanno fatto lo facciano, anche simbolicamente. Continua a mancare logica e apertura. Sul fronte Sud i russi non avanzano da un mese e mezzo, in mare le hanno prese, stessa cosa a Kiev e Kharkiv, ora c'è la battaglia ad Est per vedere se riescono a ottenere qualcosa. Questa sarà l'ultima grande battaglia della guerra perché poi chiunque la perda non avrà più fiato e su quelle linee di fronte raggiunte si tratterà. Una prima prova di dialogo comunque c'è stata, perché hanno consentito di evacuare i feriti da Azovstal, evidentemente un canale di comunicazione aperto c'è.

Mi sembra interessante anche la notizia, tutta da valutare, dei colpi di cannone presunti ucraini che sarebbero caduti nel villaggio russo in provincia di Kursk. Potrebbe essere un messaggio ucraino. I russi come la prenderanno? Capiranno l'antifona o si arrabbieranno di più? Vedremo nei prossimi giorni se ci saranno altri colpi e se qualche unità ucraina dovesse attraversare il confine. È comunque in questo quadrante che mi aspetto dei risultati, che a loro volta andranno a influire sul tavolo delle trattative. Possiamo anche dire che si fermerà la fase attiva della guerra con un cessate il fuoco di fatto e magari si rimarrà sulle linee guardandosi in cagnesco finché non si arriva ad un accordo ma non mi aspetto combattimenti attivi dalle dimensioni che abbiamo visto finora, anche perché serve una quantità di uomini e mezzi non da poco".

Secondo lei se non dovessero arrivare i risultati sperati neanche da questo quadrante, Putin potrebbe reagire ricorrendo ad armi più pesanti?

"Non credo, per quanto l'uso di armi nucleari tattiche abbia sempre fatto parte della dottrina militare russa e prima ancora sovietica, di fatto pensare che la usino resta molto difficile perché sanno bene quali sono le conseguenze. Le loro dichiarazioni sono spesso più rivolte a un pubblico interno, servono più a sostenere il morale interno perché per quanto in Russia le informazioni circolino meno che da noi, che non stiano vincendo si sa, anche se non è sulla prima pagina dei giornali. Il fatto stesso che tentino di nascondere i morti non portando a casa i cadaveri per la sepoltura la dice lunga sul timore rispetto alla reazione dell'opinione pubblica".

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